Come ingannare il tempo tra un horror e l'altro: l'home invasione
secondo Flanagan
È
un piccolo contentino quello che concede Mike Flanagan
nell’attesa delle prossime due tappe promesse nel 2016, ma mentre Oujia 2
pare essere classica timbratura per imbottire il conto bancario, e se Before
I wake è il vero colpo grosso e sospiratissimo dopo la bomba raffinata di Oculus,
Hush è progettino
disimpegnato e divertito che si modella perfettamente a una destinazione
direct-to-video.
Strano
che Blumhouse non abbia tentato il solito colpaccio furbetto, la combo di pochi
attori e poche location ha funzionato molto bene in più occasioni e, sebbene di
tutto l’horroraccio prodotto sia poco quello che ha realmente qualcosa da dire,
va detto che l’approccio economico di mr Blume ha comunque il suo valore ed è
realtà da tenerci stretta.
A
ogni modo, lo zampino di Netflix probabilmente copre bene ogni spesa, e la
scelta di mantenere il segreto sull’intero progetto deve avere valenza
strategica che il team si può permettere.
L’approccio
Flanagan all’home invasion è dei più classici, non presenta innovazioni o
singolarità e preferisce marciare composto con storia e personaggi
tradizionali: casa isolata nel bosco, lei sola soletta con la maggiorazione di
un handicap che la rende in apparenza indifesa, mancanza di soluzioni per
comunicare all’esterno, lui sadico e sfrontato che trova piacere nel
sovrapporsi crudelmente a lei, poi lei reagisce e si ingranano le consuete
marce di sangue e tensione.
Era
giusto attendersi di più da un autore già confermato e preparato, ogni premessa
viene purtroppo mantenuta ed è in fondo è inutile crearsi un’aspettativa per
una qualche estirpazione delle regole: tutto viene rispettato con una
precisione anche banale, nei suoi tempi stretti emerge un’ordinaria
sopravvivenza e in generale l’imprevedibilità viene fortemente accantonata per
una comodità lineare che toglie pochi dubbi sulla natura del film.
Hush
è un compitino svolto bene, nient’altro, ma pur trattandosi di filmetto
volutamente circoscritto e limitato, è proprio in questo “bene” che Flanagan
spara le sue frecce migliori.
Non
si tratta solo di un discorso tecnico, non si premia la messinscena sulla
scarsità narrativa, non è un mero impatto visivo che nasconde la banalità della
storia (elementi comunque tutti presenti, con un bel thumb up per la carrellata
fotografica nel momento più drammatico e lo sbalzo di epicità sonora nel prefinale):
è una riflessione più ampia che va a toccare una serie di scelte molto
appetitose e che ottimamente confermano certe bontà dietro la natura low di
molti progetti.
Le
modalità con cui Maddie (Kate Siegel, anche
sceneggiatrice) si scontra con l’estraneo e cerca di non rimanerci secca sono
il chiaro esempio di competenza in materia, da sole salvano il film da una
sequenza di lacune e/o leggerezze che potevano frantumarlo, e alla fine forse poco
importa che in mezzo al bosco ci si un segnale wi-fi che copre centinaia di
metri, poco interessa che il villain non riesca a incutere né il timore né
quell’aria annoiata che tenta di inseguire dopo la svolta a inizio pellicola, e
poco conta che pur in ottanta minuti scarsi si arrivi alla fine con una certa
arsura.
L’umanità
di Maddie le garantisce infatti un interessante spettro di azioni laddove la
natura invasion del film diventa soltanto un innesco per rendere la sua home
ricca di spunti: se infatti l’estraneo fallisce (in parte anche volutamente)
nella creazione di uno strato di turbosoffocamento, Maddie basta e avanza per
autoalimentarsi dapprima con le situazioni angoscianti partorite dal suo
handicap (è sordomuta, è comprensibile quindi che l’impossibilità di parlare e
udire sia facilmente schiacciante, l’estraneo stesso si compiace meravigliato
della sua superiorità) e in seguito con le difficoltà acquisite dalle sue
condizioni di persona sostanzialmente normale.
Rubare
l’arma del killer ma non saperla usare (un arco, sfido chiunque a poterlo anche
solo maneggiare), maneggiare coltelli e martelli più d'istinto che di reale
intenzione, cercare di fuggire rubando il tempo per poi tornare sui suoi passi
con una situazione ben peggiore di prima, trovare un’ottima soluzione ma
doverla rielaborare subito dopo perché l’udito non la supporta… è chiaro che in
un home invasion queste sono meccaniche necessarie per costruire la tensione,
ma in Hush il sacco di spunti è bello pieno e sopperisce alla carenza
negli altri aspetti.
Gli
impedimenti di Maddie sono reali e tosti, le mazzate sulla schiena sono
dolorose e irritanti, e la sua decisione appare molto più credibile del tipico
femminismo che si può incontrare in film simili (anche senza per forza toccare
estremizzazioni di supereroine millajovovichiane che sparano in minigonna e con
tre mitra in braccio).
E
a questo è giusto sommare quei piccoli dettagli che irrobustiscono le scene e
danno una caratura quasi metanarrativa al film, con i rewind che cancellano le
morti e la valutazione dei finali possibili Flanagan dà quel particolare in
più, che non è molto e non è nuovo ma è piacevole e inserito nei momenti
giusti, setta ritmo e tensione su una tacca più alta e confeziona un prodotto
very easy, fatto con le mani legate e gli occhi bendati (ehm), che non cambierà
niente all’interno della scena horror ma che per ottanta minuti restringe gola
e polmoni con una certa delizia.
Non mi è piaciuto per nulla e mi dispiaccio per un regista che ho amato profondamente. Questo è uno di quei casi in cui c'è veramente poco da dire, per me, visto che oltre al compitino ci ho trovato solo un paio di momenti veramente interessanti. Ma alla fin fine cosa aggiunge questo film, cosa da allo spettatore? Per quanto mi riguarda solo noia!
RispondiEliminaCapisco che non possa piacere, a me guarda non ha mica esaltato, anzi: non offre nulla di nuovo, al genere dà poco o niente.
RispondiEliminaPerò penso sia semplicemente un modo con cui Flanagan prova un genere (in questo caso l'home invasion): il risultato non è epocale, è vero (ci sono molte banalità sulle quali si poteva lavorare meglio) ma ci sono vari dettagli che mostrano attenzione, professionalità e, perché no, divertimento.
Il modo in cui lei sopravvive, gli sbagli, le difficoltà, i nuovi tentativi: niente di speciale, niente da ricordare con piacere, ma se fossero tutti così i b-movie economici... :)