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It Comes at Night (2017)

By Simone Corà | martedì 17 ottobre 2017 | 08:00

Uno film molto discusso, una storia di sopravvivenza atroce, una delle migliori prove di un 2017 ancora pieno di sorprese                          

La vita quotidiana nel post apocalisse è il cuore del racconto di Trey Edward Shults, che si spoglia di tutti gli abiti e rimane nudo, uno scheletro di ansia e sopravvivenza che ricorda molto l’esperienza cruda de Il tempo dei lupi di Haneke. It Comes at Night è un film scarno, essenziale, costruito attorno alla realtà di una famiglia in un imprecisato dopo-qualcosa: per Shults è infatti superfluo fornire informazioni che vanno oltre il bisogno primario di aprire e chiudere una parentesi su un pezzo di mondo che non è più quello che conosciamo. È un discorso che devia dalla ricerca di una nuova storia da narrare, di idee e fantasia verso cui spingere l’horror, qui si cerca un realismo fatto di sguardi, litigi e ansie che non ha per forza necessità di un contesto in cui venire inserito. Il background è in fondo tanto interscambiabile da non aver nemmeno bisogno di una propulsione per forza soprannaturale: che ci siano gli zombie (come in Here Alone) o una ben più palpabile guerra a imprigionare cinque persone dentro una stanza poco cambia.
In questo caso, il morbo che riduce il corpo in carne putrescente è il giusto input per un controllo cauto e totale della casa in cui si svolge quasi interamente il film: rendere sicuri gli ambienti, sterilizzare il cibo, tenere a bada l’esterno (con quella maledetta porta rossa, quale grazie visiva!), forse non è mai stato così puntiglioso e verosimile. Lo dimostra anche la quasi inespressa macellazione grafica, con effetti e mutazioni che si possono realmente vedere solo in minuscole porzioni, prima che il fuoco bruci tutto. It Comes at Night è una prova di resistenza, e credo sia molto più difficile mantenere la lucidità se la minaccia non è mai manifesta, favorendo l’angoscia come stato naturale di quiete, e trasformando la paura in un fragile meccanismo di difesa, così facile da rompere.

È un raro caso in cui l’elemento di disturbo, la famiglia di Will, ha le stesse pezze al culo della famiglia di Paul che li accoglie con grande diffidenza, e non vive di tentate prevaricazioni o di subdole intenzioni: sopravvive, questo è quanto, altro non è consentito fare. È per questo motivo che il delicato dipanarsi degli avvenimenti colpisce come un calcio nelle gengive: a queste persone non è dato muoversi in maniera differente. È inevitabile che il confronto tra pari non possa mai essere pieno, bensì incrinato da sospetti e perplessità perché la fiducia stessa non fa più parte di questo mondo.
Shults gioca su particolari molto ambigui e carica sulle spalle di un grande Joel Edgerton una serie di responsabilità già a loro volta appesantite dalla pressione esercitata dalla famiglia che protegge. Sequenze amarissime come il drink bevuto assieme a Will, o la snervante serie di decisioni che si trova a prendere nella parte finale rendono l’intero film un lungo tormento che non trova mai pace.
Questo è in fondo It Comes at Night, una sofferenza imprecisata ma costante, sottile ma feroce, che si incorpora nella figura del giovane Tavis, tenero e innocente adolescente, ago di una bilancia a causa di una triste, genuina curiosità che presto disintegra ogni vana sicurezza. Shults si incunea nei corridoi stretti della casa, gestisce gli spazi privilegiando uno scorrimento della camera che dà agilità a un film chiuso e buio, lento ma con sprazzi di nervosismo e corse furibonde. It Comes at Night sembra un lavoro sempre sul punto di scoppiare, e solo quando ci si avvicina all’inevitabile conclusione ci si rende conto che tutto è già scoppiato da molto, molto tempo.


Mi spiace leggere pagine di commenti su imdb che si chiedono cosa arrivi di notte, è un peccato non poter condividere la mole di tensione che si respira per tutta la durata e che proprio nella notte si concretizza in un grumo di incubi e paure che non hanno spiegazione terrena. La notte è fonte del terrore, e nel nuovo mondo disegnato sa Shults il giorno non esiste più.    

5 commenti:

  1. Mi incuriosisce tantissimo e penso che lo recupererò il prima possibile.

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    1. Mi fa piacere, spero che ti intrappoli e ti lasci a bocca aperta come è successo a me. :)

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  2. Gli americani sono un popolo di meenchie, chiedersi cos'arriva di notte fa ridere, ma al limite, se proprio vogliamo certezze a tutti i costi, la spiegazione c'è ed è biblica.
    Detto questo, a me il film non ha fatto impazzire. Bellissimo visivamente ma non mi ha comunicato né emozioni né inquietudine, solo un incredibile e fastidioso pessimismo cosmico.

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    1. Ma chiaro, però quei commenti così beceri sono comunque uno specchio del pubblico che va a vedere gli horror. Io mi faccio sempre luuunghi giri su imdb e mi dispiace molto leggerli, non tanto perché chi li scrive si perde il valore di un film (che poi può piacere o non piacere per vari motivi), ma perché proprio non viene toccato da sensibilità o ambizioni artistiche e considera come unico horror valido le merdacce mainstream che puntano solo alla frustata di paura.
      Finché sarà questo il pubblico che prevale, sarà difficile andare davvero lontano, anche se bisogna dire che il 2017 è stato un grande anno con grandi successi monetari e di critica, e spero davvero che anche il 2018 possa proseguire sulla stessa strada. :)

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  3. Ricordo le ENORMI critiche quando uscii Babadook. Gli "spettatori" sapevano solo lamentarsi del film dicendo che non si capiva niente, che era stupido, e che anche loro avrebbero ucciso il bambino perchè era insopportabile. In generale non riuscivano assolutamente a percepire la limpidissima metafora, e ricordo in particolare una che mi rispose che un horror non doveva avere "un senso", doveva solo farti saltare dalla sedia con gli spaventoni, e siccome Babadook non l'aveva fatta saltare era un film di merda. Ecco lo spettatore medio di film horror, che a sua volta è anche il cittadino medio.

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