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Killing Ground (2016)

By Simone Corà | venerdì 1 settembre 2017 | 00:01

Quando l'Australia sforna un killer bastardo dietro l’altro, e nonostante questo andate ancora in campeggio nell’outback                         

Con i suoi enormi territori isolati e primitivi, l’Australia è un terreno fertile per personalità deviate che crescono con un fucile in mano e una grande sete di sangue. L’ignoranza è da sempre un grande spunto per meccanismi brutali che hanno messo in moto grandi film horror, forse perché giustifica molto sadismo senza bisogno di alcuna spiegazione, cementificando l’orrore in forme incomprensibili e in qualche modo ancestrali, e Killing Ground cerca di dire la sua dopo film enormi (Wolf Creek 1 e 2) e film più piccoli ma non meno agguerriti (100 Bloody Acres), rimanendo su sentieri molto più vicini all’horror che a un certo modo di raccontare la realtà più estrema (Snowtown).  
Quello che serve in questi casi sono dei villain che oscillano tra il più becero analfabetismo e sprazzi di saggezza criminale da far venire i brividi, e Damien Power, all’esordio dopo un quintali di corti, ne costruisce due che, quasi in un team comico, si spalleggiano con un gran carisma catastrofico e rubano la scena a ogni inquadratura: uno è un idiota logorroico incapace di tenere il pisello nelle mutande, l’altro un omone all’apparenza silenzioso ed equilibrato ma con improvvisi guizzi di malvagità che lasciano basiti per compostezza, stabilità e una certa armonia della violenza.
Per completare il disegno è necessario forse un lavoro ancora più complesso, perché la capacità di dare vita a protagonisti che abbiano qualcosa da dire, oltre a un corpo da offrire a umiliazioni e sbudellamenti, non è cosa, o interesse, per tutti. Per fortuna l’approccio australiano si diversifica dal più comune temperamento yankee a base di alcolici, ed è molto facile empatizzare con la coppia di fidanzatini alla ricerca di un posticino tranquillo in riva al fiume, soprattutto in un preciso momento del film in cui viene sollevato un interessante e per nulla scontato interrogativo sulla sincerità dell’amore, del sacrificio e della reale attenzione verso la persona amata, accavallando rabbia, egoismo e sensi di colpa in un’interpretazione piuttosto anomala della sopravvivenza.


Siamo tuttavia nella più classica melma survival, dove ignari innocenti si trovano alla prese con la furia immotivata di gente che nulla ha avuto dalla vita e che nulla impiega a toglierla. Alternativa e in qualche modo preziosa è la scelta, in una lunga e insidiosa corsa tra i boschi paludosi, di lasciare la violenza spesso fuori campo senza mai perdere un solo grammo di ferocia e di intenzioni disturbanti: Killing Ground è colmo di stupri, omicidi, mutilazioni e spari ravvicinati alla testa che non vediamo mai, ma se in altre occasioni sarebbe stato facile innervosirsi per una mancanza di coraggio nel mostrato, qui non c’è nulla da obiettare alla direzione di Power, che inietta grandi quantitativi di bestialità e disagio attraverso gli sguardi obliqui dei due redneck aussie e i loro sproloqui di filosofia malata, insistendo con largo minutaggio in molte sequenze di terrorismo psicologico che altri autori avrebbe comodamente tagliato proprio in favore della più appagante quintalata di frattaglie. Aaron Pedersen e Aaron Glenane due grandi macellai, veri leader di un film con ben più di uno spunto anticonformista. 
Un lavoro che colpisce duro e che lascia indolenziti stomaco e cuore, ben costruito e arricchito da un meccanismo temporale sicuramente intuitivo ma che permette un insolito addentrarsi alle pratiche disumane dei due villain. L’ennesimo centro austrialiano, e una delle prove migliori di un 2017 sempre più convincente.

2 commenti:

  1. Siamo usciti in stereo, oggi, con lo stesso film :D
    Almeno speriamo di spingerlo un po', che ne sento parlare poco in giro e invece è una delle cose più belle viste quest'anno.

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    1. Le coincidenze!
      Comunque vero, e più che parlare poco ne ho letto male, un vero peccato perché è un film che riesce a dare quel qualcosa in più e a farsi distinguere.

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