Quando l'Australia sforna un killer bastardo dietro l’altro, e nonostante questo andate ancora in campeggio
nell’outback
Con i suoi enormi territori isolati e primitivi,
l’Australia è un terreno fertile per personalità deviate che crescono con un
fucile in mano e una grande sete di sangue. L’ignoranza è da sempre un grande
spunto per meccanismi brutali che hanno messo in moto grandi film horror, forse
perché giustifica molto sadismo senza bisogno di alcuna spiegazione,
cementificando l’orrore in forme incomprensibili e in qualche modo ancestrali,
e Killing Ground cerca di dire la sua
dopo film enormi (Wolf Creek 1 e 2) e film più piccoli ma non meno
agguerriti (100 Bloody Acres),
rimanendo su sentieri molto più vicini all’horror che a un certo modo di
raccontare la realtà più estrema (Snowtown).
Quello che serve in questi casi sono dei villain
che oscillano tra il più becero analfabetismo e sprazzi di saggezza criminale
da far venire i brividi, e Damien Power, all’esordio dopo un quintali di corti,
ne costruisce due che, quasi in un team comico, si spalleggiano con un gran
carisma catastrofico e rubano la scena a ogni inquadratura: uno è un idiota
logorroico incapace di tenere il pisello nelle mutande, l’altro un omone
all’apparenza silenzioso ed equilibrato ma con improvvisi guizzi di malvagità
che lasciano basiti per compostezza, stabilità e una certa armonia della
violenza.
Per completare il disegno è necessario forse un
lavoro ancora più complesso, perché la capacità di dare vita a protagonisti che
abbiano qualcosa da dire, oltre a un corpo da offrire a umiliazioni e
sbudellamenti, non è cosa, o interesse, per tutti. Per fortuna l’approccio
australiano si diversifica dal più comune temperamento yankee a base di
alcolici, ed è molto facile empatizzare con la coppia di fidanzatini alla
ricerca di un posticino tranquillo in riva al fiume, soprattutto in un preciso
momento del film in cui viene sollevato un interessante e per nulla scontato
interrogativo sulla sincerità dell’amore, del sacrificio e della reale attenzione
verso la persona amata, accavallando rabbia, egoismo e sensi di colpa in un’interpretazione
piuttosto anomala della sopravvivenza.
Siamo tuttavia nella più classica melma survival,
dove ignari innocenti si trovano alla prese con la furia immotivata di gente
che nulla ha avuto dalla vita e che nulla impiega a toglierla. Alternativa e in
qualche modo preziosa è la scelta, in una lunga e insidiosa corsa tra i boschi
paludosi, di lasciare la violenza spesso fuori campo senza mai perdere un solo
grammo di ferocia e di intenzioni disturbanti: Killing Ground è colmo di stupri, omicidi, mutilazioni e spari
ravvicinati alla testa che non vediamo mai, ma se in altre occasioni sarebbe
stato facile innervosirsi per una mancanza di coraggio nel mostrato, qui non
c’è nulla da obiettare alla direzione di Power, che inietta grandi quantitativi
di bestialità e disagio attraverso gli sguardi obliqui dei due redneck aussie e
i loro sproloqui di filosofia malata, insistendo con largo minutaggio in molte sequenze
di terrorismo psicologico che altri autori avrebbe comodamente tagliato proprio
in favore della più appagante quintalata di frattaglie. Aaron Pedersen e Aaron
Glenane due grandi macellai, veri leader di un film con ben più di uno spunto
anticonformista.
Un lavoro che colpisce duro e che lascia
indolenziti stomaco e cuore, ben costruito e arricchito da un meccanismo
temporale sicuramente intuitivo ma che permette un insolito addentrarsi alle
pratiche disumane dei due villain. L’ennesimo centro austrialiano, e una delle
prove migliori di un 2017 sempre più convincente.
Siamo usciti in stereo, oggi, con lo stesso film :D
RispondiEliminaAlmeno speriamo di spingerlo un po', che ne sento parlare poco in giro e invece è una delle cose più belle viste quest'anno.
Le coincidenze!
EliminaComunque vero, e più che parlare poco ne ho letto male, un vero peccato perché è un film che riesce a dare quel qualcosa in più e a farsi distinguere.