L’ultimo romanzo di Clive Barker è realtà anche
in Italia: lucidate le catene, Pinhead è
tornato per leggere i suoi Vangeli di sangue
È dal 2001 che non leggiamo più Clive Barker.
Erano gli ultimi scorci dell’horror in libreria, i grandi nomi degli anni
Ottanta e Novanta già da anni non venivano solleticati da contratti italiani, e
ben presto i baluardi editoriali sarebbero stati inglobati dalla massa tumorale
che ha in poco tempo ucciso l’industria dei libri. Era l’anno del bizzarro Il canyon delle ombre, targato Sonzogno,
con il quale Barker cercava un viscido e strano approccio horror dopo quasi
dieci anni di fantasticherie in bilico tra delizie mostruose e meraviglie
fantastiche. Ci sarebbe stato ancora posto negli anni venire, con i romanzi di Abarat targati Rizzoli, la saga per i
più piccoli in cui si è dilettato per gran parte degli anni 2000, ma Barker è
sempre stato quel macellaio raffinato che ha ingravidato l’horror con uncini e
catene, e a questo immaginario, cristallizzato nei Libri di sangue, rimarrà inevitabilmente sempre legato.
Ed è proprio a questa visione di elegante
brutalità che si spinge con Vangeli di sangue, l’atteso sequel a una novella, Schiavi
dell’inferno, che in un centinaio di pagine aveva reinventato i romanzi del
terrore e preparato le basi per un’icona cinematografica e non vivissima ancora
oggi. Lo pubblica Independet Legions – che sta portando in Italia
tantissime cose e tutte bellissime e, non contenta, dopo Jakabok – Il demone del libro si prepara a barkerizzare ancora gli
store online (e ancora!) – con un’edizione curata e ben tradotta, che è un vero
peccato non possa raggiungere gli scaffali di tutte le librerie nostrane e stuzzicare
il gran pubblico che ancora non conosce il verbo dell’autore inglese.
Barker comincia a parlare di The Scarlet Gospels sin da metà degli
anni Novanta, quando la mutazione dall’horror dei primi vagiti al dark fantasy
dei romanzi fiume era ormai del tutto completa. Il romanzo invece arriva solo
nel 2015, dopo un lungo girovagare tra comics, collaborazioni videoludiche e
soggetti cinematografici, e anche se non va incontro a un’ovazione generale, è
una storia con una potenza grafica piuttosto unica. Inutile girarci attorno, Vangeli di sangue è il miglior romanzo
di Barker dai tempi de La casa delle
vacanze.
È vero che era forse utopico attendersi un
ritorno prepotente all’horror più schietto, d’altronde Barker è uno sporco
ibrido con il fantasy da quasi trent’anni: era quindi inevitabile che la
propensione per creare scenari e contesti di bizzarro stupore confluisse anche
nell’Abisso più torbido e mostruoso che descriveva nei Libri di Sangue. L’Inferno in cui precipita Harry D’Amour per dare
la caccia a Pinhead ha ben poco a che vedere con il ghiaccio insidioso e i
fetori purulenti che accompagnavano le creature tanto folli da sbirciare nella
nostra realtà: qui ci troviamo in un paesaggio tetro dove i demoni sono
umanizzati, mangiano, pregano e in generale vivono all’interno di mega città e
costruzioni di sconvolgente maestosità. Barker spende interi paragrafi per
disegnare palazzi astrusi descrivendo architetture enigmatiche, si perde in una
geografia storica costruita attraverso una politica indecifrabile di regnanti,
condottieri e leader, e disarma di fronte ad allucinanti aberrazioni viventi,
elencando creature tanto solenni quanto feroci.
La concezione horror che forma Vangeli di sangue trascende quello sbalordimento
annichilente che firmava i Libri di
sangue sulla carne umana, non abbiamo infatti a che fare con un elemento
soprannaturale che scardina la realtà comune ma con una moltitudine di
intuizioni fantastiche che da sempre fanno parte della realtà dei protagonisti.
Sarebbe sciocco pigiare i tasti della suspance e del lento introdursi nel
quotidiano quando D’Amour ha già affrontato demoni di ogni cerchia e il suo
avversario, addirittura Pinhead in persona, è protagonista al cinquanta
percento del romanzo. Il gioco quindi ora è diverso: chiarito che l’impronta
ultraterrena è così ingombrante, il pedale da pigiare è un altro, ed è qui che
Barker riabbraccia il suo miglior sé stesso.
Il cuore di Vangeli
di sangue è chiaramente Pinhead. Spogliatosi della sua figura glaciale e
silenziosa, e stanco del suo ruolo di eterno torturatore, il sacerdote
infernale tende le mani verso il trono stesso dell’Inferno, incapace di controllare
la sete di potere che lo porta a sterminare chiunque gli sia attorno. E con un
esperto di supplizi come star, era golosamente inevitabile che Barker
abbattesse ogni limite: raramente ho letto sequenze di una violenza così straordinaria,
una creatività gore di organi strappati, complicate mutilazioni e un’infinità,
davvero un’infinità di torture bestiali.
Il romanzo si apre con un lunghissimo massacro,
illustrato nei minimi dettagli, ai danni di un gruppo di maghi, e si chiude con
una battaglia tra divinità che sporca letteralmente le pagine di sangue e
fluidi organici, chiodi estirpati e muscoli lacerati. Ogni capitolo è devastato
da una scrupolosa ricerca lessicale e raffigurativa che porta anche la scena
più innocua a trasformarsi in un martirio che trapassa la carne, e anche se la
prosa ricca e meravigliosa di un tempo è lontana, quell’impronta che combina
lirismo e bagni di sangue è ancora personalissima a trent’anni di distanza.
In una prima metà il romanzo è brillante, dominato
dall’investigazione di D’Amour c’è infatti uno spirito più tradizionale, che
richiama le anomalie dei Libri di sangue,
mentre gli improvvisi ingorghi sanguinari causati da Pinhead lasciano senza
fiato. Purtroppo il ritmo diminuisce in parte una volta che il gruppo raggiunge
l’inferno, i comprimari sono poco caratterizzati e ci sono lunghi scambi di
battute del tutto ininfluenti allo svolgersi dell’intreccio. La storia stessa sembra
perdere consistenza e addirittura a un certo punto il team di protagonisti
viene messo in secondo piano per svincolare del tutto Pinhead, come se quanto
accaduto in precedenza non fosse che un preambolo al mastodontico scontro
finale che occupa da solo l’ultima parte del libro.
Si tratta comunque di un viaggio impressionante,
un tragitto in uno zoo satanico che forse, di contro, ha solo un accumulo davvero
esorbitante di situazioni e personaggi che si potevano sacrificare per una
miglior linearità. Ma anche questo è Barker, l’eccesso è la sua dimora,
l’esibizione il suo prestigio: la sua grandezza sta anche nelle sproporzioni,
fa tutto parte di una concezione narrativa che non ha rivale al mondo e che è
un gran piacere poter di nuovo leggere in italiano perché, ad aspettare i
grandi editori, saremmo ancora qui a pregare in ginocchio.
Nei mesi scorsi, quando ho cercato di parlare
dello scenario patetico dell’editoria di genere italiana sfruttando l’uscita
isolata di un horror niente male, Nel buio della mente, l’intenzione era quella di approfondire l’argomento con
un articolo apposito, ma la desolazione e la tristezza sono stati così
predominanti da avermi convinto a rinunciare alle intenzioni iniziali. Perché è
inutile cercare nel marcio e sbattere la testa contro muri spigolosi quando le
realtà esistono e vanno incoraggiate e seguite senza domande. Tanto di cappello
a Independet Legions, che ha fatto una cosa ritenuta impossibile fino all'altro giorno, nella speranza che il loro parco autori possa diventare
sempre più folto.
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