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Red Christmas (2016)

By Simone Corà | lunedì 30 ottobre 2017 | 00:01

Quando per regalo chiedi un buon slasher old school e Babbo Natale ti porta Red Christmas                                                  


Sempre un piacere rivedere grandi glorie del passato horror riaffiorare qua e là ancora bellissime e con grande presenza scenica. Dee Wallace porta i pantaloni in una famiglia spaccata tra chi segue una religiosità molto ortodossa e chi la disprezza ferocemente, una donna caparbia con un trauma nel passato, che ora cerca di tirare le redini delle figlie che non si possono vedere e di un marito fin troppo molle, di nuovo tutti insieme per festeggiare il Natale. 
Non c’è momento migliore di un bel raggruppamento di persone per dare inizio a uno slasher old school come questo antipasto natalizio intitolato Red Christmas. È un film infatti che a dispetto di un trailer divertente che promette umorismo e spassosa macelleria, mantiene una corposa serietà nei temi trattati (l’aborto e la religione, pilastri fondamentali del prodotto) e pur sbavando su qualche momento ironico non esce mai da queste coordinati molto ferree e rispettose. Il problema della gestione di un approccio tanto rigoroso da una parte sostiene il valore di un film povero e artigianale, dall’altra però lo inchioda a una disciplina che il buon Craig Anderson, al suo primo film, non è sempre in grado di garantire. 

Per fare uno slasher in fondo non servono grandi ambizioni, personaggi indovinati e morti colorite è tutto quello che è giusto chiedere, e di certo in Red Christmas abbiamo entrambi: i membri della famiglia, con le loro differenze e i loro rancori garantiscono un buon frullato di provocazioni, riflessioni e battutacce, mentre gli omicidi sono molto, molto, molto generosi in quanto a brutalità, spargimento di sangue e ingegno omicida. Le considerazioni che nascono in seguito al prologo sull’incendio alla clinica abortista e alla visita del killer necessitano però di un adeguamento ben al di sopra della normale sospensione dell’incredulità che può richiedere un film come questo. Troppo ben definite la scelta degli ambienti, le motivazioni che portano a una vendetta tanto assurda e la plausibilità con cui viene accettato ogni elemento, mentre sarebbe servito un minor lavoro di accetta in favore di un compromesso più morbido tra il killer e le sue vittime. Va anche detto che, dopo i primi momenti un po’ sconfortanti, non è difficile rilassarsi e dimenticare l’improbabilità di un killer con un simile aspetto (una sorta di lebbroso vestito con un saio nero), perché il gioco funziona bene, la tensione sale e si rimane anche piacevolmente disorientati dal cospicuo e inatteso body count.
Apprezzo la scelta di Anderson nell’insistere su un argomento come quello del senso di colpa, che agisce su vari aspetti all’interno dei legami d’affetto e che poco a poco unifica, grazie al dolore, ciò che rimane di un famiglia da sempre sventrata. La conclusione è un bel pugno nello stomaco e concretizza la serietà inseguita sin dal primo minuto, e nel suo castigo lascia un buon punto di domanda su un confronto religioso magari superficiale ma che offre un gradevole leit motiv all’andamento del film.  

2 commenti:

  1. Ancora un po' fuori stagione per Halloween, ma mi hai convinto a metterlo in lista!

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