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Here Alone (2016)

By Simone Corà | martedì 19 settembre 2017 | 00:01

Una donna sola sopravvive di stenti mentre un’orda di zombie ha ormai distrutto il mondo. Here Alone: un dramma a tinte horror               

Nonostante tutto, gli zombie cinematografici sembrano ben lontani dal lasciare il posto a qualche nuova mitologia da saccheggiare. Li abbiamo visti in tutte le salse e diventa difficile, adesso, riuscire a costruire un film, o ancora prima una storia, che possa presentare un minimo motivo di interesse quando la minaccia soprannaturale è stata ormai così spolpata da non riuscire a offrire alcun tipo di reale contrasto. Mi è davvero difficile capire perché un autore si debba confrontare con una simile base di partenza, e non credo che neanche la semplice sfida sia un motivo sufficiente per l’ennesima vicenda di morti resuscitati. Provo ormai un fastidio così grande per gli zombie che ogni volta che sbatto il muso contro un nuovo film che reimmagina, o più che altro crede di farlo, il solito minestrone insopportabile, mi dico che no, basta così, non si può andare ancora avanti in questa maniera. E ogni volta, puntualmente, mi ritrovo a ricacciare dentro ogni rancore quando guardo opere come Here Alone.
È inutile fare un elenco di tutti gli autori in grado di far fiorire soluzione brillanti da un concime filmico calpestato da chiunque, e sulla base di questa considerazione è ancora più incredibile scoprire quante idee e quanti nuovi film, se non belli quantomeno affascinanti, possano emergere da uno dei peggiori cliché della scena horror. Bisogna pur rinfrescare l’idea di base, ed è chiaro che a farsi ricordare saranno solo quelli in grado di mettere l’ingegno prima della bassa macelleria.

Here Alone si colloca un bel gradino sotto tutte le recenti produzioni meritevoli (i vari Train to Busan, Seoul Station, The Battery fino al recentissimo It Stains The Sands Red), ma ha dalla sua un approccio drammatico reso con la massima serietà, come forse solo Robert Kirkman era riuscito a fare nei primi, storici numeri di The Walking Dead.  Qui in fondo abbiamo una donna, Ann, che da tempo sopravvive nei boschi, isolata dal mondo e dall’epidemia zombie che l’ha messo in ginocchio. Sarà lontana dalla minaccia soprannaturale, ma la vita è tremenda, il cibo scarseggia e trovare un motivo per affrontare il giorno successivo è sempre più difficile.
Rod Blackhurst ha diretto Amanda Know per Netflix, e anche in Here Alone il suo stile ha un taglio documentaristico che si rivela perfetto per la storia, scritta da David Ebeltoft, che ha scelto di raccontare. I silenzi accompagnano Ann mentre deturpa la sua umanità coprendosi di escrementi e versandosi addosso il piscio accumulato per annullare il proprio odore, oppure mentre sfrutta il suo corpo e il suo sangue per costruire trappole per ingannare gli zombie. Here Alone si presente feroce e pessimista con immagini molto dure, nessun commento vocale o musicale a sottolinearle, ma è nel solo sguardo appassito di Ann che si trova lo scheletro di quanto è rimasto di lei, ormai orfana della famiglia con cui era inizialmente fuggita dalla città. Caccia le sue prede, cuce le sue ferite, piscia in una tanica, stringe i denti, resiste.
Molto simile a quanto visto un paio d’anni fa nel bel The Survivalist, qui la scelta di evidenziare il tipo di minaccia che ha distrutto l’ordine mondiale è forse una definizione non così necessaria, in fondo gli zombie non si vedono mai per tutto il film, se non nell’ultima parte, e la loro presenza è riconducibile solo a gorgoglii e urla che si odono da lontano, come a impedire ad Ann di dimenticare quanto accaduto. Il passato è infatti un elemento importante del film e sono numerosi i flashback che la straziano, inquadrandola nei vagiti di sopravvivenza boschiva quando vi si recò con marito e figlia. Pochi dialoghi, molta angoscia, una valanga di tristezza: l’immagine sensoriale è talmente ben dipinta da annullare, o quanto meno da mettere in secondo piano, il motivo apocalittico alla base di tutto.


Fino a una sua prima metà Here Alone è un film asciutto e spietato, privo di ghirigori inutili con cui sovrastrutturare la cruda realtà. Purtroppo quando Ann non è più here alone la calibrazione degli eventi è meno calcolata, e la nascita dell’amicizia con Olivia e Chris, per quanto fondamentale al prosieguo, è lunga e sostenuta da fatti dove proprio quella crudissima realtà viene meno. Troppe parole, troppa limpidezza, l’intensità cala drasticamente e se prima si dubitava di avere a che fare con un film di zombie, talmente era umiliante l’annuvolamento drammatico, ora ci si chiede se questa facile complicità possa essere permessa in un film di sopravvivenza. È un peccato, uno scivolone sbadato che aveva l’intento di ammorbidire i toni prima di colpire con maggior cattiveria, ma che invece li inzuppa oltremodo, facendo zoppicare l’incedere nerissimo del film. 
Un secondo atto in parte annacquato non è però abbastanza per rovinare un prodotto che si risolleva prepotente nel terzo ed è in grado di sparare un paio di devastanti fucilate a bruciapelo, per poi sconquassare il cuore con un epilogo davvero amaro. Bravissima Lucy Walters, soprattutto in questi momenti di grande energia estrema, un po’ meno Gina Piersanti e Adam David Thompson, entrambi oscurati dalla freddezza e dalla precisione di un’attrice che ha sulle sue spalle il peso dell’intero film. Un’opera desolante, ancora debitrice di un banale attrito horror che non riesce a smussare via del tutto (quanto, quanto più raffinato poteva essere questo film con una minaccia anche solo leggermente diversa?), ma con una personalità che fa molto ben sperare per i progetti futuri del duo Blockhurst/Ebeltoft.

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