Una donna sola sopravvive di
stenti mentre un’orda di zombie ha ormai distrutto il mondo. Here Alone: un
dramma a tinte horror
Nonostante tutto, gli zombie cinematografici
sembrano ben lontani dal lasciare il posto a qualche nuova mitologia da
saccheggiare. Li abbiamo visti in tutte le salse e diventa difficile, adesso,
riuscire a costruire un film, o ancora prima una storia, che possa presentare
un minimo motivo di interesse quando la minaccia soprannaturale è stata ormai
così spolpata da non riuscire a offrire alcun tipo di reale contrasto. Mi è
davvero difficile capire perché un autore si debba confrontare con una simile
base di partenza, e non credo che neanche la semplice sfida sia un motivo
sufficiente per l’ennesima vicenda di morti resuscitati. Provo ormai un
fastidio così grande per gli zombie che ogni volta che sbatto il muso contro un
nuovo film che reimmagina, o più che altro crede di farlo, il solito minestrone
insopportabile, mi dico che no, basta così, non si può andare ancora avanti in
questa maniera. E ogni volta, puntualmente, mi ritrovo a ricacciare dentro ogni
rancore quando guardo opere come Here Alone.
È inutile fare un elenco di tutti gli autori in
grado di far fiorire soluzione brillanti da un concime filmico calpestato da
chiunque, e sulla base di questa considerazione è ancora più incredibile
scoprire quante idee e quanti nuovi film, se non belli quantomeno affascinanti,
possano emergere da uno dei peggiori cliché della scena horror. Bisogna pur
rinfrescare l’idea di base, ed è chiaro che a farsi ricordare saranno solo
quelli in grado di mettere l’ingegno prima della bassa macelleria.
Here
Alone si colloca un bel gradino
sotto tutte le recenti produzioni meritevoli (i vari Train to Busan, Seoul Station, The Battery fino al recentissimo It Stains The Sands Red), ma ha dalla
sua un approccio drammatico reso con la massima serietà, come forse solo Robert
Kirkman era riuscito a fare nei primi, storici numeri di The Walking Dead. Qui in
fondo abbiamo una donna, Ann, che da tempo sopravvive nei boschi, isolata dal
mondo e dall’epidemia zombie che l’ha messo in ginocchio. Sarà lontana dalla
minaccia soprannaturale, ma la vita è tremenda, il cibo scarseggia e trovare un
motivo per affrontare il giorno successivo è sempre più difficile.
Rod Blackhurst ha diretto Amanda Know per Netflix, e anche in Here Alone il suo stile ha un taglio documentaristico che si rivela
perfetto per la storia, scritta da David Ebeltoft, che ha scelto di raccontare.
I silenzi accompagnano Ann mentre deturpa la sua umanità coprendosi di
escrementi e versandosi addosso il piscio accumulato per annullare il proprio
odore, oppure mentre sfrutta il suo corpo e il suo sangue per costruire
trappole per ingannare gli zombie. Here
Alone si presente feroce e pessimista con immagini molto dure, nessun
commento vocale o musicale a sottolinearle, ma è nel solo sguardo appassito di
Ann che si trova lo scheletro di quanto è rimasto di lei, ormai orfana della
famiglia con cui era inizialmente fuggita dalla città. Caccia le sue prede,
cuce le sue ferite, piscia in una tanica, stringe i denti, resiste.
Molto simile a quanto visto un paio d’anni fa
nel bel The Survivalist, qui la
scelta di evidenziare il tipo di minaccia che ha distrutto l’ordine mondiale è
forse una definizione non così necessaria, in fondo gli zombie non si vedono
mai per tutto il film, se non nell’ultima parte, e la loro presenza è
riconducibile solo a gorgoglii e urla che si odono da lontano, come a impedire
ad Ann di dimenticare quanto accaduto. Il passato è infatti un elemento
importante del film e sono numerosi i flashback che la straziano, inquadrandola
nei vagiti di sopravvivenza boschiva quando vi si recò con marito e figlia. Pochi
dialoghi, molta angoscia, una valanga di tristezza: l’immagine sensoriale è
talmente ben dipinta da annullare, o quanto meno da mettere in secondo piano,
il motivo apocalittico alla base di tutto.
Fino a una sua prima metà Here Alone è un film asciutto e spietato, privo di ghirigori
inutili con cui sovrastrutturare la cruda realtà. Purtroppo quando Ann non è
più here alone la calibrazione degli eventi è meno calcolata, e la nascita
dell’amicizia con Olivia e Chris, per quanto fondamentale al prosieguo, è lunga
e sostenuta da fatti dove proprio quella crudissima realtà viene meno. Troppe
parole, troppa limpidezza, l’intensità cala drasticamente e se prima si
dubitava di avere a che fare con un film di zombie, talmente era umiliante
l’annuvolamento drammatico, ora ci si chiede se questa facile complicità possa
essere permessa in un film di sopravvivenza. È un peccato, uno scivolone
sbadato che aveva l’intento di ammorbidire i toni prima di colpire con maggior
cattiveria, ma che invece li inzuppa oltremodo, facendo zoppicare l’incedere
nerissimo del film.
Un secondo atto in parte annacquato non è però
abbastanza per rovinare un prodotto che si risolleva prepotente nel terzo ed è
in grado di sparare un paio di devastanti fucilate a bruciapelo, per poi
sconquassare il cuore con un epilogo davvero amaro. Bravissima Lucy Walters,
soprattutto in questi momenti di grande energia estrema, un po’ meno Gina
Piersanti e Adam David Thompson, entrambi oscurati dalla freddezza e dalla
precisione di un’attrice che ha sulle sue spalle il peso dell’intero film.
Un’opera desolante, ancora debitrice di un banale attrito horror che non riesce
a smussare via del tutto (quanto, quanto più raffinato poteva essere questo
film con una minaccia anche solo leggermente diversa?), ma con una personalità
che fa molto ben sperare per i progetti futuri del duo Blockhurst/Ebeltoft.
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