Uscire da una setta può essere un bel casino, come in questo incerto ma feroce home invasion, dal
regista degli ultimi capitoli di Saw
Che strana carriera per Kevin Greutert. Dai
rigurgiti gore degli ultimi due Saw,
dove il trasloco in cabina di regia forse arrivava come premio dopo aver
montato e rimontato l’intera saga in sala di editing, è passato all’horror
innocuo dei pessimi Jessabelle e Visions, per venire quindi scaricato
dalla Blumhouse e ritrovarsi a lavorare in semi indipendenza (è pur sempre
distribuito da una major come la Eagle) con questo sghembo Jackals, dove riabbraccia molte caratteristiche dal cinema con cui
si è formato. Spogliato quindi dalla presenza ingombrante del signor Blume e
della Lionsgate, Greutert, su una sceneggiatura dell’esordiente Jared Rivet,
recupera l’irruenza sanguinaria degli esordi e l’atmosfera spettrale di un cult
come The Strangers, di cui aveva
curato il montaggio nel 2008, e mette a ferro e fuoco una baita dispersa tra i
boschi.
La storia è quella di una famiglia a pezzi che
assume un ex militare per rapire il figlio, da anni entrato a far parte di una
setta di violenti fanatici. Una volta a casa, inizia un delicato gioco
psicologico per frantumarne le nuove credenze e annullarne il lavaggio al
cervello subito in questo periodo. Ma i suoi compagni chiaramente non accettano
la situazione e accerchiano la casa dove il padre, la madre, il fratello e la
fidanzata lo tengono quasi in ostaggio.
Un film come Jackals
non può vantare grande richiami, la sua stessa arma migliore è qualcosa
sfruttato altrove già molte volte ma ciò non toglie comunque un certo
divertimento nel mix di atmosfere sulfuree e maschere di divinità mostruose che
fuoriescono dalla nebbia. Non sappiamo molto di questo culto né dei suoi
adepti, l’impersonificazione del male puro è una visione sicuramente banale ma
fa il suo effetto grazie a una parata di maschere indovinate e a una ricerca
ben studiata dei movimenti, che porta ogni adepto a muoversi al rallentatore in
una sorta di enfasi ultraterrena che sottolinea ogni gesto.
Il meglio Jackals
lo offre nella violenza prorompente e irrazionale di queste figure private di
ogni umanità, l’impatto visivo è infatti sempre robusto e doloroso con largo
dispendio di fiotti di sangue, ferite profonde, lingue staccate e in generale
sequenze che colpiscono per una ferocia acuta nella messinscena. La scena
iniziale è un magnifico piano sequenza di sei minuti in soggettiva, e riprende
un membro della setta mentre entra di notte in una casa e stermina l’intera
famiglia che dormiva ignara. Greutet sa quindi gestire l’impianto truce senza
per forza ricorrere a enormi spargimenti di budella, il gore è presente ma gli
omicidi brillano proprio per la furia glaciale e incomprensibile di chi li
commette.
Quello che non funziona è purtroppo
l’allestimento psicologico, con una serie di dialoghi mai troppo superficiali
ma più che altro mai abbastanza approfonditi, che rimangono sempre in un limbo
desolante e lasciano tutto il confronto verbale a una serie di frasi di
circostanza invero piuttosto fastidiose. Non aiuta molto la scelta di un cast
davvero pallido, con un sole attore, Nick Roux nei panni del giovane Campbell,
a ergersi per isterismi e animaleschi ma in fondo comprensibili spunti di
riflessione. Ma il fardello più difficile da inghiottire è la scarsa tensione e
la poca consistenza nel graffiare i momenti più rabbiosi. Per quanto veloce e
serrato, Greutet non dovrebbe accontentarsi ma raddoppiare portando le mani al
collo dello spettatore, invece non sono pochi i momenti di stanca dove
l’esercito malvagio produce una pressione alla quale la famiglia protagonista
sembra in realtà immune, persa com’è nei suoi drammi personali e nelle sue
interminabili accuse l’uno all’altro.
Jackals è un film a metà, suddiviso tra un riuscito
slancio battagliero e un soporifero approccio psicologico. Sa dove colpire e
come fare male, ma quando c’è da chiarire l’argomento balbetta e va in corto
circuito. Greutet è un regista che deve lavorare ancora molto, ma senza la
torchiatura degli studios sarà forse più libero di sviluppare in futuro gli
input sanguinari che scorrono nel suo DNA. Concediamogli questo passaggio.
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