Finalmente un film calibrato e coerente dal papà di Excision
Finalmente Richard Bates jr. sembra aver
imboccato una direzione giusta, e con il ritmo di un film puntualissimo ogni
due anni è stato bravo a correggere il tiro senza venire schiacciato dalla
troppa voglia di fare.
Dopo le sproporzioni scioccanti di un Excision e l’umorismo mal calcolato di Suburban Gothic, con Trash Fire mette insieme tutte le sue
ossessioni ma le ricondiziona a favore di una storia più misurata, intima e in
qualche modo realistica, che non ha bisogno del gore o del grottesco, comunque
presenti, per una stabilità narrativa.
Owen è uno dei personaggi più assurdi e
sconclusionati che il genere umano abbia mai proposto: alcolizzato, epilettico,
soffre di attacchi di panico e rabbia repressa, scorbutico, senza amici, intollerante,
persino la psicologa da cui è in terapia preferisce offenderlo piuttosto che
aiutarlo.
Isabel, la sua compagna, a stento ormai lo
sopporta ma per quanto ci provi non è ancora in grado di lasciarlo una volta
per tutte: la loro storia è in crisi da tempo ma lei ancora vive dell’ideale
d’amore con cui si sono conosciuti e amati in passato, e cerca con tutte le sue
forze di tenere insieme una relazione che invece lui frantuma gesto dopo gesto.
È una brutta situazione sentimentale, credo che
ci siamo passai tutti in momenti di turbolenza così totale dove anche solo un
respiro complica il contesto già traballante. A volte bisognerebbe essere un
po’ più femmine e meno uomini, per poter davvero capire e afferrare quel bene
superiore con cui portare avanti una storia d’amore, e infatti Owen non
possiede ancora quella maturità con cui lasciarsi alle spalle le sue
strambissime abitudini per aiutare Isabel nell’unica cosa che davvero importa.
Per buona parte della sua durata Trash Fire è essenzialmente una terapia
di coppia tra i due, e il loro rapporto viene sviscerato in ogni punto di
vista: affetto, sessualità, interesse, cura, rispetto, tutto viene esplorato
attraverso una rete fittissima di dialoghi, tra i più sinceri, ispirati e verosimili
che si siano mai visti all’interno della scena horror.
Seppur con una dose importante di stravaganze
anche abbastanza difficili da inquadrare (in una scena, per scusarsi, Owen
regala a Isabel una corona mortuaria di fiori), i piatti della bilancia sono
così ben equilibrati da discussioni, scoppi di rabbia, sensi di colpa e un
meraviglioso senso affettivo da poter assorbire senza troppi grattacapi tutti
gli aspetti allucinanti che formano Owen, passato compreso.
La componente più truculenta e macabra risiede
proprio lì, nelle vesti scomode di una nonna scontrosa e nei capelli dietro cui
si nasconde una sorella sfigurata e impazzita. Il soggiorno nella casa materna
per rinsaldare i rapporti tra i due prosegue con la psicoterapia, ma alla
quotidiana ricomposizione tra Owen e Isabel si innestano una serie di atmosfere
sinistre, laceranti flashback e la consueta sfilza di provocazioni ed
esagerazioni tipiche del cinema di Bates, seppur anche qui limate in favore di
una narrazione più asciutta e coerente.
Quest’ultimo troncone è quindi affidato a
sospetti e occhiate sprezzanti, visite nel bel mezzo della notte e segreti che
emergono lentamente, in un fioccare di dialoghi sempre brillanti e ironicamente
amari. Non c’è un grande enigma da scoprire, né il finale svela considerazioni inaspettate,
è tutto molto lineare e in qualche modo prevedibile, ma è una progressione così
inarrestabile e plausibile che la storia non potrebbe trovare altro degno
svolgimento.
Qualcuno si lamenterà dell’eccessiva lentezza e
di uno sviluppo pressoché nullo, il trailer in fondo è un po’ ingannevole e fa
presagire altri ritmi e differenti gestioni dell’elemento fantastico, ma Trash Fire è un film di dettagli e sono
proprio questi ultimi a scintillare.
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