Fate largo all'horror dell'anno
Se non altro ricorderemo il 2016 per gli horror
mediorentali, dopo l’ottimo e viscerale Baskin
dalla Turchia l’Asia centrale compie infatti un altro strike. Con Under the Shadow, stavolta ci spostiamo
a Teheran durante il conflitto Iran-Iraq che ha imperversato per tutti gli anni
Ottanta, anche se la pellicola è una co-produzione tra Giordania, Qatar e Gran
Bretagna – quest’ultima sicuramente complice nel dare maggior respiro
internazionale (meritatissimo, per carità), così come lo zampino statunitense
nella bomba di frattaglie di Can Evrenol.
Lei è una donna sveglia e al passo con i tempi,
indossa i jeans, vorrebbe continuare gli studi, guida la macchina e si allena
con le VHS di ginnastica in tv. Lui è un medico chiamato a intervenire nel bel
mezzo del conflitto a fuoco. Hanno una figlia deliziosa, e insieme affrontano
una realtà difficile, quasi incomprensibile ai nostri occhi, e uno dei pregi
maggiori del film è proprio la creazione di uno scenario vero e credibile di un
qualcosa che non siamo abituati a vedere.
Entrare nella casa di una famiglia musulmana,
poter quasi toccare la quotidianità di una coppia in fondo normale che, pur in
uno scenario allucinante, deve scontrarsi con piccoli problemi, è qualcosa che
il cinema raramente ci offre, soprattutto con un’etichetta horror appiccicata
sopra. Se al cinema americano in fondo siamo abituati, e se Giappone, Corea del
Sud e Hong Kong rispondono comunque a meccanismi fortemente occidentalizzati,
visitare così da vicino qualcosa che, sotto sotto, non si discosta poi molto
dai nostri tran tran giornalieri, è preziosissimo e importante, ma che sia
l’horror a permettere questo è valore ancora più sostanzioso.
I divieti, le negazioni, tutto ciò che non viene
concesso a Shideh per motivi fin troppo noti si ripercuote su un rapporto di
coppia che offre alcuni tra i migliori dialoghi visti negli ultimi tempi:
finalmente dei litigi concreti, finalmente delle argomentazioni sincere sulle
quali costruire opinioni, finalmente dei botta e risposta orientati verso un obiettivo
comune e non delle semplici frasi casuali con cui tessere uno straccio di trama
per sostenere una sequenza di spaventi sterili.
No, Babak Anvari, al suo primo film, ritaglia
una fetta geografica/sociale e la serve a un pubblico (o almeno lo sono io) scontento
di questo brutto anno orrorifico, senza giudizi, rancori, infantilismi e
melodrammaticità: Under the Shadow è
un bellissimo spaccato di vita “semplice” in un periodo catastrofico, passato
eppure ancora molto attuale, dove si continua a vivere, o si cerca di farlo,
mentre le bombe cadono.
L’innesto dello djinn non va molto distante dal
concetto di fantasma a cui siamo addestrati, ma in un periodo dove la ghost
story è stata ormai demolita dal cinema e dalle produzioni sciocche e sterili
di James Wan, questa è manna di cui abbuffarsi a lungo.
Il folklore mediorientale è utile per una
manciata di aspetti caratteristici esteriori con cui definirne diversi modelli
d’attacco, eppure le apparizioni di questa cosa terribile sono tra le più
devastanti e agghiaccianti che l’horror abbia incontrato di recente.
Anvari ha una guida salda e ricca di inventiva,
e il primo incontro con lo djinn è qualcosa di così potente, sia da un punto di
vista visivo che concettuale, che non lascia indifferenti. Non sono da meno le
seguenti intrusioni che, dal piano spirituale, si accaniscono su quello
materiale attraverso una crepa causata da un missile inesploso: c’è fantasia,
attenzione, gioco e totale sicurezza, un qualcosa che può ricordare molto
quanto fatto da Jennifer Kent nel suo The Babadook, pur senza la forte impronta simbolica.
Un film da incorniciare, ora come ora il miglior
esempio di horror uscito quest’anno, quasi incredibile che sia un PG-13.
Appena visto e recensito, un film che mi ha sorpreso... concordo col tuo giudizio
RispondiEliminaHo letto, e mi fa piacere. Credo sia un film molto importante e che, come The Babadook un paio d'anni fa, deve lasciare un segno molto profondo. :)
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