Pensi di avere un problema con i demoni? Chiamaci subito.
Siamo ancora qui a parlare di possessioni
demoniache, è il 2016 e sembra non esserci alcun freno ai vari Exorcism of e
Possession of, scacciare il Caprone dai corpi di innocenti fanciulle sta
diventando sempre più la nuova moda e si candida a next hate thing dopo vampiri
e zombi. Sì, è un modello facile da copiare e quindi si azzerano tempi di
scrittura e lavorazione, basta poco per mettere insieme novanta minuti, pare
che i distributori facciano a cazzotti pur di lanciarli modello frisbee, ma
all’appiattire e all’annientare che tutti seguono senza pensieri c’è invece sempre
qualcuno che reagisce in maniera brillante screditando i colleghi copioni con
gli stessi ingredienti.
L’idea è quella di cominciare dove di solito
si finisce, in questo piacevole brulicare d’horror degli ultimi tempi è spunto
già adoperato (molto bene, sia in Blue Ruin che in Bound to Vengeance),
ma è ancora materia così fresca e appetitosa da poter essere modellata con gran
dispendio di trovate.
Quindi Ava è sopravvissuta alla possessione
di un demone e ora deve fare i conti con i danni combinati durante il periodo
di convalescenza infernale: la casa distrutta, vandalismo sfrenato all’esterno,
violenza incontrollata, una libertà sessuale senza limiti, forse addirittura un
omicidio.
In caso di esorcismo con esito positivo, la
prassi non è mica semplice da affrontare: l’unica soluzione è quella di
partecipare agli incontri degli impossessati anonimi e cercare di allontanare
le tentazioni demoniache. Altrimenti c’è la galera, mica cazzi.
È vero, sembra una situazione grossolana
dove la comicità dilaga senza troppe misure e con molte poche risate, soprattutto
l’elemento degli A.A. in versione 666 rischia di superare subito il limite del
perdonabile e invece è incastrato con una compostezza che fixa qualsiasi dubbio
prima di poter storcere il naso.
Ava’s Possessions, pur avendo un’andatura da commedia, con un’atmosfera a
tratti leggera e simpatica, poggia infatti le basi su una struttura sofisticata,
fortemente e squisitamente horror, dove le risate sono solo una conseguenza
dello scenario disegnato.
Siamo infatti in un mondo dove gli esorcismi
sono comuni e trattati alla stregua di una dipendenza, i demoni esistono e si
interscambiano spesso con il nostro piano reale, sono parte della società nei
vari aspetti che li compongono e questo comporta un microcosmo di effetti
collaterali che va dall’accettazione dei problemi causati da chi ospita un
demone al mercato illegale di magia nera, ma tutto questo non ha alcuna
accezione comica ed è invece trattato con un carattere ben preciso, compatto e
stabile (basti pensare alla rigida classificazione delle cerchie infernali o
alla mitologia propria sulle invocazioni) nonostante le numerose stramberie e
il tono da fumetto sopra le righe (su tutte l’amuleto che richiama il demonio).
Far ridere senza nulla togliere alla
fierezza horror non è cosa semplice, ma Jordan Galland gestisce bene
l’equilibrio e l’umorismo è dosato con sprazzi eleganti, gentili, appena
accennati (non ho visto gli altri suoi film ma sembrano muoversi sulle stesse
coordinate, dev’essere quindi stile che sta costruendo di anno in anno), la sua
è una ricerca di un sorriso con cui sottolineare da una parte l’esasperazione
di Ava nel ricostruire la sua vita post-possessione (i colloqui con gli altri
ex-indemoniati, le fisse dei genitori), e dall’altra l’assurdità di questo
scenario, accentuato da un’esigenza fotografica meravigliosa nelle sue
esplosioni di colori accesi e nostalgici (giallo, viola e rosso a gogo), e da
uno stile visivo molto interessante, fatto di inquadrature sbilenche e zoomate
improvvise.
È una storia costruita con cura, Ava piano
piano rimette assieme i pezzi e inizia a formare un puzzle che la sbanda verso
luoghi che, prima della possessione, non avrebbe mai pensato di frequentare: ne
nasce una sorta di giallo scintillante e fantasioso con tanto di omicidi da
risolvere e personaggi misteriosi di cui svelare i piani, arricchito da
dialoghi ficcanti, sempre puntuali, delimitati da un ritmo veloce che detta
tempi perfetti e ne impedisce qualsiasi eccesso lessicale.
C’è spazio anche per qualche twist, sono bei
lustrini sui caratteri semiseri in linea con i toni del film ai quali ci si
affeziona subito, a partire da Ava, che pare ragazzetta sprovveduta e
ingenuotta e invece è manager discografica con personalità ed energia realmente
dispersa in una confusione che le annebbia ogni cosa.
Corona il tutto una tra le migliori OST
nostalgiche di questi ultimi tempi, preparata con un sentimento passato senza
che però questo ne prenda il sopravvento, tanti i synth come è recente
tradizione ma parecchi anche gli interventi di chitarra che creano un clima
abbastanza unico.
Piccola chicca, una commedia horror o forse,
meglio, un horror con molta ironia che non sempre si può rintracciare nella sena
con simili connotati di gusto e classe.
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