Scienziati pazzi, cadaveri rianimati e siringhe
piene di liquido verde: fate largo a Herbert West Re… ah, ehm, Patchwork!
Sì, non c’è dubbio che Patchwork abbia un pesante debito nei confronti dell’epocale Re-Animator di Stuart Gordon, ma credo
non ci sia niente di male in simili omaggi nostalgici. Se il retro-cinema è
ormai stato sdoganato e non si tratta più di casi isolati che trovano nel look
vintage un modo per farsi chiacchierare, lasciamo che siano i film a parlare
per sé stessi, senza tanto appellarsi a mode e intenzioni. Patchwork non picchia forte e ha un richiamo estremo nella
locandina a Horror in Bowery Street
che raramente viene anche solo sfiorato, ma è un film con una scrittura e una
visione piuttosto curiose e in fondo tanta basta per sorvolare su tutti quei
limiti che questo tipo di approccio al cinema del terrore inevitabilmente si
porta dietro.
Tre donne si risvegliano dopo una notte di
eccessi e scoprono di essere cucite assieme in un unico corpo deforme.
Costrette a unire tre menti contrastanti per scoprire cosa sia successo, devono
far fronte a un professore pazzo con il pallino dei cadaveri.
Tyler McIntyre fa bene a scegliere una proposta
differente alla classica storia del mad doctor e del suo magico fluido, un po’
dispiace che in questa maniera eviti di seguirne le peripezie sanguinarie e la
bassa macelleria ma lo spirito del film è comico e, inchiodando il punto di
vista sulle tre vittime e sulla loro impossibile convivenza, può spumeggiare in
tutta la sua verve di dialoghi tra lo scemo e il brillante, non sempre efficaci
ma nel complesso divertenti, dai. I battibecchi delle tre donne, il loro
scendere a patti per risolvere il mistero e le scelte comiche a cui obbligano
il loro unico corpo mostra come a McIntyre interessino più le battute che i
bagni di sangue (che comunque ci sono) e in fondo va bene così. Purtroppo il
gioco non regge sempre, e non appena il Frankenstein femminile viene lasciato
da parte per i deliri dello scienziato, anche la qualità umoristica tende al
ribasso, in una ricerca demenziale non molto ispirata, ma si tratta per fortuna
di parentesi precise che vengono subito spazzate via.
La parte più interessante è probabilmente la
struttura tarantiniana non lineare che, anche se ha poco a vedere con la grana
grossa dei b-movie anni Ottanta, è ben pensata e incredibilmente anche fin
troppo rifinita: tre donne per tre storie che si incastrano attraverso capitoli
che spaziano avanti e indietro nel tempo, in un buon variegato di antefatti,
colpi di scena e strambe motivazioni. Di certo non era cosa che ci si poteva
aspettare, e McIntyre centra un bel bersaglio. Mille punti per lui.
Nel finale trovano finalmente spazio carni
squartate e fiumi di sangue, e anche se gli effetti speciali sono mediocri
(bene le protesi, male i liquidi), tra motoseghe, trapani e amputazioni varie
lo show sveste i panni da commedia e raggiunge un climax di simpatiche
efferatezze che tolgono finalmente la sete.
Un film minore, quindi, non indispensabile ma
piacevole, ingiustamente abbandonato nel limbo per due anni (era pronto nel
2015, ma è disponibile giusto in questi giorni, mentre non c’è traccia di future
release dvd o bd) mentre porcheria ben peggiore trova sbocco con molta più
facilità.
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