Patchwork (2015)

By Simone Corà | venerdì 16 giugno 2017 | 00:01

Scienziati pazzi, cadaveri rianimati e siringhe piene di liquido verde: fate largo a Herbert West Re… ah, ehm, Patchwork!                                                                        

Sì, non c’è dubbio che Patchwork abbia un pesante debito nei confronti dell’epocale Re-Animator di Stuart Gordon, ma credo non ci sia niente di male in simili omaggi nostalgici. Se il retro-cinema è ormai stato sdoganato e non si tratta più di casi isolati che trovano nel look vintage un modo per farsi chiacchierare, lasciamo che siano i film a parlare per sé stessi, senza tanto appellarsi a mode e intenzioni. Patchwork non picchia forte e ha un richiamo estremo nella locandina a Horror in Bowery Street che raramente viene anche solo sfiorato, ma è un film con una scrittura e una visione piuttosto curiose e in fondo tanta basta per sorvolare su tutti quei limiti che questo tipo di approccio al cinema del terrore inevitabilmente si porta dietro.

Tre donne si risvegliano dopo una notte di eccessi e scoprono di essere cucite assieme in un unico corpo deforme. Costrette a unire tre menti contrastanti per scoprire cosa sia successo, devono far fronte a un professore pazzo con il pallino dei cadaveri.
Tyler McIntyre fa bene a scegliere una proposta differente alla classica storia del mad doctor e del suo magico fluido, un po’ dispiace che in questa maniera eviti di seguirne le peripezie sanguinarie e la bassa macelleria ma lo spirito del film è comico e, inchiodando il punto di vista sulle tre vittime e sulla loro impossibile convivenza, può spumeggiare in tutta la sua verve di dialoghi tra lo scemo e il brillante, non sempre efficaci ma nel complesso divertenti, dai. I battibecchi delle tre donne, il loro scendere a patti per risolvere il mistero e le scelte comiche a cui obbligano il loro unico corpo mostra come a McIntyre interessino più le battute che i bagni di sangue (che comunque ci sono) e in fondo va bene così. Purtroppo il gioco non regge sempre, e non appena il Frankenstein femminile viene lasciato da parte per i deliri dello scienziato, anche la qualità umoristica tende al ribasso, in una ricerca demenziale non molto ispirata, ma si tratta per fortuna di parentesi precise che vengono subito spazzate via.
La parte più interessante è probabilmente la struttura tarantiniana non lineare che, anche se ha poco a vedere con la grana grossa dei b-movie anni Ottanta, è ben pensata e incredibilmente anche fin troppo rifinita: tre donne per tre storie che si incastrano attraverso capitoli che spaziano avanti e indietro nel tempo, in un buon variegato di antefatti, colpi di scena e strambe motivazioni. Di certo non era cosa che ci si poteva aspettare, e McIntyre centra un bel bersaglio. Mille punti per lui.

Nel finale trovano finalmente spazio carni squartate e fiumi di sangue, e anche se gli effetti speciali sono mediocri (bene le protesi, male i liquidi), tra motoseghe, trapani e amputazioni varie lo show sveste i panni da commedia e raggiunge un climax di simpatiche efferatezze che tolgono finalmente la sete. 
Un film minore, quindi, non indispensabile ma piacevole, ingiustamente abbandonato nel limbo per due anni (era pronto nel 2015, ma è disponibile giusto in questi giorni, mentre non c’è traccia di future release dvd o bd) mentre porcheria ben peggiore trova sbocco con molta più facilità.  

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