E
di come i baffi di Ethan Hawke viaggiano avanti e indietro nel tempo
I fratelli Spierig sono protagonisti di
una strana storia, e hanno tutto il mio rispetto. Australiani ma di origini
tedesche, esordiscono nel 2003 con Undead,
uno splatterone low budget sugli zombie, ridendoci su ben un anno prima che il
seminale Shaun of the Dead unisse
horror e commedia, si fanno conoscere e tutto sommato ben volere, e poi
scompaiono. Riappaiono molti anni dopo, nel 2009 hanno un budget di oltre venti
milioni, un cast internazionale, una copertura mainstream ma uno spirito indie,
per un film di fantascienza sui vampiri come Daybreakers di cui però ci si può dimenticare facilmente, e quindi
di nuovo oblio. Servono altri cinque anni per rivederli, e la situazione è più
o meno la stessa: uno script già pronto e in cerca di finanziamenti, una strada
in parte spianata dal successo già raggiunto, e nessun inchino produttivo per
avere agevolazioni.
È faccenda abbastanza rara che i due,
gemelli factotum, anche addetti a sceneggiatura, musiche ed effetti speciali,
non abbiano avuto bisogno o abbiano accantonato proposte ben più feconde,
preferendo un controllo completo dei loro prodotti pur con quello scarto di
cinque anni tra una prova e l’altra, non capita spesso che un autore sia in
grado di rinunciare a golosi incassi anche lavorando con fiuto genuino per
veloci sussidi utili magari a progetti più ambiziosi. E infatti Predestination, pur essendo film di un
certo spessore monetario e visivo, con un Ethan Hawke che lancia un buon numero
di ami a un pubblico sci-fi anche generico, rimane in balia dei festival per
una manciata d’anni prima di trovare sbarco cinematografico – è inevitabile che
senza l’intervento a monte degli studios, che organizzano, spartiscono e
levigano con cura, ci sia sempre da sudare e bestemmiare per poi, be’,
incrociare le dita e sperare che tutto vada bene.
Con Predestination
si può forse intravedere come lo spirito degli Spierig Bros sia un’iniezione di
ottimismo ed efficacia che a Hollywood farebbe molto bene: la loro fantascienza
è brillante e smussata da una messa in scena laccata, rigorosa, perfetta,
eppure non sono gli effetti speciali a dominare né la ricerca sensazionalistica
di esplosioni, alta velocità e fretta esecutiva. Predestination è cotto a puntino e servito a un pubblico potenzialmente
ampio, ma riesce a essere un film cerebrale e molto complesso senza per forza
scendere nell’autoralismo o in un’estetica intellettualmente spartana, perché
si tratta di un film fortemente di scrittura, singolarmente breve (i canonici
90 minuti), dove per i suoi due terzi si assiste soltanto a un dialogo tra un
barista e un cliente.
Oggi come oggi ispirarsi alla narrativa
fantascientifica di cinquant’anni fa è poco più di un pretesto per abbondare
con una sovrastruttura dedicata al pubblico giovane, ma i fratelli Spierig
prendono un racconto di Robert Heinlein e non solo affermano con orgoglio di
voler esserne fedeli, sono sinceri e tengono fede alla promessa costruendo con
calma una struttura portante meticolosa e meravigliosamente ingannevole: la
lunga parte iniziale è così perfetta e intelligentemente meschina da non avere
il tempo di chiedersi, quando ormai è già passata un’ora abbondante, “sì, be’,
tutto qua?”, che arriva una frustata dietro l’altra, una serie di paradossi che
distruggono e allo stesso tempo rinforzano la massa azionata.
Il loop di cui sono artefici e vittime i
due protagonisti, un ferreo Ethan Hawke (anche se con quei baffi non riesco
proprio a vederlo) e una bravissima, tanto in abiti maschili che femminili, Sarah Snook, è un mindfuck di esponenziale disfacimento mentale, è un meccanismo
spaccacervelli dove i tasselli sono stati posizionati con cura maniacale seppur
furbetta – non si tratta di lacuna ma di necessario compromesso, serve sempre
una chiave con cui decriptare il messaggio più contorto e quella di Predestination la si può trovare in una
manciata di scene di raccordo dove è fondamentale accettare meccaniche senza
fare domande scomode, in alcuni momenti che scalfiscono la superficie della
storia senza graffiare come era giusto attendersi e in un ritmo a tratti
esagerato che rischia che rischia di pressare troppo la naturale narrazione.
Ma sono concessioni che spariscono di
fronte alla potenza logica di un’acrobazia narrativa che non smette mai di
contorcersi, attraversa più linee temporali con gli stessi balzi tumultuosi che
i due protagonisti compiono per viaggiare nello spaziotempo e non cede di
fronte alle singolarità colossali che alimenta e la sostengono.
Certo, a fronte di un minutaggio così
compresso il lavoro è svolto molto bene, ci sono sessioni di puro fascino
visivo (il funzionamento dell’agenzia, il lento disgregarsi della situazione)
che brillano all’interno di una narrazione fatta di strati di dialoghi e ogni
domanda, o quasi, trova sublime risposta, ma qualche parentesi in cui gonfiare discussioni
e riflessioni, delle pause in cui dilatare e ammorbidire alcune anche doverose forzature,
avrebbero nutrito molto meglio un film che richiede un grande, enorme dispendio
di energia per funzionare fino in fondo. Sembra quasi di non venire ripagati
per tanto sforzo, pigiare un contenuto del genere è lavoro estenuante e
apprezzabile ma un maggior lavoro sugli incisi e una profondità più naturale
nelle digressioni umane avrebbero garantito a Predestination forse quell’immortalità che adesso potrebbe anche meritare
ma difficilmente, temo, guadagnerà.
Penso che sia il miglior film dei Spierig. Mi è piaciuto nonostante non sia il mio genere
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