Predestination (2014)

By Simone Corà | giovedì 15 gennaio 2015 | 00:05

E di come i baffi di Ethan Hawke viaggiano avanti e indietro nel tempo                                                
 

I fratelli Spierig sono protagonisti di una strana storia, e hanno tutto il mio rispetto. Australiani ma di origini tedesche, esordiscono nel 2003 con Undead, uno splatterone low budget sugli zombie, ridendoci su ben un anno prima che il seminale Shaun of the Dead unisse horror e commedia, si fanno conoscere e tutto sommato ben volere, e poi scompaiono. Riappaiono molti anni dopo, nel 2009 hanno un budget di oltre venti milioni, un cast internazionale, una copertura mainstream ma uno spirito indie, per un film di fantascienza sui vampiri come Daybreakers di cui però ci si può dimenticare facilmente, e quindi di nuovo oblio. Servono altri cinque anni per rivederli, e la situazione è più o meno la stessa: uno script già pronto e in cerca di finanziamenti, una strada in parte spianata dal successo già raggiunto, e nessun inchino produttivo per avere agevolazioni.
È faccenda abbastanza rara che i due, gemelli factotum, anche addetti a sceneggiatura, musiche ed effetti speciali, non abbiano avuto bisogno o abbiano accantonato proposte ben più feconde, preferendo un controllo completo dei loro prodotti pur con quello scarto di cinque anni tra una prova e l’altra, non capita spesso che un autore sia in grado di rinunciare a golosi incassi anche lavorando con fiuto genuino per veloci sussidi utili magari a progetti più ambiziosi. E infatti Predestination, pur essendo film di un certo spessore monetario e visivo, con un Ethan Hawke che lancia un buon numero di ami a un pubblico sci-fi anche generico, rimane in balia dei festival per una manciata d’anni prima di trovare sbarco cinematografico – è inevitabile che senza l’intervento a monte degli studios, che organizzano, spartiscono e levigano con cura, ci sia sempre da sudare e bestemmiare per poi, be’, incrociare le dita e sperare che tutto vada bene.

Con Predestination si può forse intravedere come lo spirito degli Spierig Bros sia un’iniezione di ottimismo ed efficacia che a Hollywood farebbe molto bene: la loro fantascienza è brillante e smussata da una messa in scena laccata, rigorosa, perfetta, eppure non sono gli effetti speciali a dominare né la ricerca sensazionalistica di esplosioni, alta velocità e fretta esecutiva. Predestination è cotto a puntino e servito a un pubblico potenzialmente ampio, ma riesce a essere un film cerebrale e molto complesso senza per forza scendere nell’autoralismo o in un’estetica intellettualmente spartana, perché si tratta di un film fortemente di scrittura, singolarmente breve (i canonici 90 minuti), dove per i suoi due terzi si assiste soltanto a un dialogo tra un barista e un cliente.
Oggi come oggi ispirarsi alla narrativa fantascientifica di cinquant’anni fa è poco più di un pretesto per abbondare con una sovrastruttura dedicata al pubblico giovane, ma i fratelli Spierig prendono un racconto di Robert Heinlein e non solo affermano con orgoglio di voler esserne fedeli, sono sinceri e tengono fede alla promessa costruendo con calma una struttura portante meticolosa e meravigliosamente ingannevole: la lunga parte iniziale è così perfetta e intelligentemente meschina da non avere il tempo di chiedersi, quando ormai è già passata un’ora abbondante, “sì, be’, tutto qua?”, che arriva una frustata dietro l’altra, una serie di paradossi che distruggono e allo stesso tempo rinforzano la massa azionata.


Il loop di cui sono artefici e vittime i due protagonisti, un ferreo Ethan Hawke (anche se con quei baffi non riesco proprio a vederlo) e una bravissima, tanto in abiti maschili che femminili, Sarah Snook, è un mindfuck di esponenziale disfacimento mentale, è un meccanismo spaccacervelli dove i tasselli sono stati posizionati con cura maniacale seppur furbetta – non si tratta di lacuna ma di necessario compromesso, serve sempre una chiave con cui decriptare il messaggio più contorto e quella di Predestination la si può trovare in una manciata di scene di raccordo dove è fondamentale accettare meccaniche senza fare domande scomode, in alcuni momenti che scalfiscono la superficie della storia senza graffiare come era giusto attendersi e in un ritmo a tratti esagerato che rischia che rischia di pressare troppo la naturale narrazione.
Ma sono concessioni che spariscono di fronte alla potenza logica di un’acrobazia narrativa che non smette mai di contorcersi, attraversa più linee temporali con gli stessi balzi tumultuosi che i due protagonisti compiono per viaggiare nello spaziotempo e non cede di fronte alle singolarità colossali che alimenta e la sostengono. 

Certo, a fronte di un minutaggio così compresso il lavoro è svolto molto bene, ci sono sessioni di puro fascino visivo (il funzionamento dell’agenzia, il lento disgregarsi della situazione) che brillano all’interno di una narrazione fatta di strati di dialoghi e ogni domanda, o quasi, trova sublime risposta, ma qualche parentesi in cui gonfiare discussioni e riflessioni, delle pause in cui dilatare e ammorbidire alcune anche doverose forzature, avrebbero nutrito molto meglio un film che richiede un grande, enorme dispendio di energia per funzionare fino in fondo. Sembra quasi di non venire ripagati per tanto sforzo, pigiare un contenuto del genere è lavoro estenuante e apprezzabile ma un maggior lavoro sugli incisi e una profondità più naturale nelle digressioni umane avrebbero garantito a Predestination forse quell’immortalità che adesso potrebbe anche meritare ma difficilmente, temo, guadagnerà.

1 commenti:

  1. Penso che sia il miglior film dei Spierig. Mi è piaciuto nonostante non sia il mio genere

    RispondiElimina