Il nuovo film di Joon-ho Bong è un incredibile
tuffo nel passato, quando i grandi registi e i grandi produttori facevano
grandi film sci-fi
C’è una possibilità concreta che Okja venga ricordato per due argomentazioni
che poco o nulla hanno a che vedere con il lavoro in sé – cosa che purtroppo
succede e succederà sempre più spesso in una ragnatela di critici online
invadenti e saccenti che parlano con la bocca piena ancora prima di aver
deglutito il boccone. La prima è quello strascico sciocco e borghesuccio che il
nuovo film di Joon-ho Bong si porta dietro da Cannes, con le critiche a
un’evoluzione finalmente concreta del cinema, che attraverso piattaforme come
Netflix e le sue soluzioni innovative passa inevitabilmente per la macchina che
lo sta anche uccidendo. La seconda forse è più affine all’argomento
cinematografico ma, legata com’è alla carriera di un autore che ha sempre
firmato pellicole forti, turbolente e brutali, non centra per me alcun
bersaglio – anzi, va a sommarsi alla mole di parole indelicate che hanno
colpito anche ingiustamente la pellicola.
Okja non ha molto a che fare con quello di cui
scrivo su Midian, è un film per famiglie, con una imponente ma per nulla
spiacevole impronta spielberghiana nelle atmosfere e nell’onestà, e finisce tra
queste pagine più per l’amore per un grande, grande regista che per questa
comunque interessante prova, ma è un lavoro con un suo sapore, in alcuni
momenti, molto aspro e, in ogni caso, un blockbuster che va a distanziarsi
parecchio dal ciarpame superficiale che è ormai diventato il mainstream
tipicamente yankee, che di solito scanso a muso duro. E non è forse del tutto
sbagliato squadrare con un certo timore un film sull’affetto indissolubile tra
una ragazzina e un maiale gigante, quando nel passato di Bong ci sono storie su
serial killer estremi, colossali mostri mutanti, treni distopici che
attraversano mondi perennemente innevati e orrori lovecraftiani sepolti sotto
strati di ghiaccio, ma nella crescita dei suoi personaggi e nei legami che
favorisce si può notare come Okja sia
un lavoro fedelissimo alla firma dell’autore, e che se di inevitabili
compromessi bisogna parlare, perché sono tanto evidenti quanto in fondo
innocui, non c’è un singolo istante in cui questo lungo, buffo e tenero filmone
da 120 minuti rischi di perdere la sua innegabile traccia coreana.
Okja è uno dei tanti maiali creati geneticamente
per soddisfare il fabbisogno alimentare di una crescita della popolazione senza
precedenti. In grado di raggiungere le dimensioni di un autobus, e con una
carne prelibata, Okja viene allevato in Corea da un vecchietto e dalla nipote Mija
che, cresciuta assieme all’animale, ne è affezionatissima. Come vuole la
tradizione, il mega maiale viene estirpato dal luogo dov’è cresciuto e portato
in America per diventare cibo, e tutto il film vedrà Mija rincorrerlo in modi
più o meno pericolosi per ridargli la libertà.
È una storia così classica che non può portare
alla mente E.T., sempre per restare
in quei territori spielberghiani con cui hanno addobbato l’estetica di Bong in
occasione di questo film. Mija aiuterà un gruppo di eco terroristi dal cuore
d’oro, e dovrà vedersela con una multinazionale decisa a ottenere il massimo
dal prodotto su cui sta investendo capitali, ma nonostante la possibile drammaticità
della situazione il tono è sempre molto leggero e colorito tanto che, anche in
molte delle occasioni più cup, i problemi vengono risolti facilmente a suon di
capitomboli e corse esagerate. Una commedia fantastica con un target famigliare
per raggiungere il pubblico più ampio possibile, certo, ma Okja tocca invece vette raramente sfiorate da simili film negli
ultimi tempi (non so, a me viene in mente solo Un ponte per Terabithia, ma forse dimentico qualche titolo), e lo
fa con la sensibilità e l’intelligenza di chi modellava il mainstream in
passato, quando la qualità era ancora il tassello fondamentale per una
produzione.
Ma siamo in anni tutto sommato abbastanza
felici, o quanto meno all’inizio di un periodo favorevole perché, accanto alle
vaccate milionarie che infestano il cinema, nel mainstream è possibile trovare
della buona fantascienza (I guardani
della galassia, Star Wars Episodio VII), del buon, nuovo cinema adolescenziale
(Deadpool) e addirittura del buon
horror (Don’t Breathe). Quello che
manca infatti non sono le qualità, ma le intenzioni, e se in tutti questi anni
abbiamo assistito a un abbassamento culturale spaventoso, è palese adesso che
anche il pubblico più generico esige maggiore attenzione ed è pronto ad
accogliere produzioni che non trattino gli spettatori per deficienti.
Okja sarà un film semplice, tanto nella costruzione
quanto nella morale, ma ha la prontezza di trattarsi con la necessaria, vitale
importanza, partendo da una storia e da una serie di eventi molto
significativi, approfonditi e soppesati con un ottimo lavoro di dialogo ed
espressione. Non ci sono sorprese, né Bong si fa sedurre da modelli differenti
da quelli ben conosciuti, segue uno schema classico e, all’interno dello
stesso, lavora di dettagli costruendo pian piano caratteri dalla grande umanità
anche se compressi da comicità slapstick o atteggiamenti ben al di sopra delle
righe. Finezze come i dubbi affrontati da Lucy Mirando quando deve decidere
come trattare il maiale gigante, o i rimorsi che divorano lo stomaco di Johnny
Wilcox quando è alle prese con le prime fasi della macellazione, ma anche i
contrasti che nascono all’interno dei buonissimi eco-terroristi, mostrano uno
scrupolo che si incontra sporadicamente all’interno di un cinema così confortevole,
dove i buoni sono buoni e i cattivi sono cattivi. Non sono personalità
spiazzanti bensì sfumature che, più che diversificare il prodotto, lo
ripresentano al massimo del suo potenziale (anche grazie a un casting molto
attento: su tutti bravi Seo-Hyun Ahn, Tilda Swinton e Paul Dano, che sembra
scegliere sempre con grande attenzione i suoi film, esagerato ma simpatico Jake
Gyllenhaal e forse un po’ sprecato Giancarlo Esposito).
Okja in fondo è questo: cinema per famiglie alla
massima potenza, talmente ben strutturato e confezionato da funzionare proprio
in virtù di quella vecchia dualità (per grandi e piccini) mai più recuperata
negli ultimi tempi. Le riflessioni stimolate da una storia che parla di un
mercato alimentare fuori controllo sono chiaramente scontate, ma c’è modo e
modo di presentare un’argomentazione, e Bong per fortuna sceglie un approccio
per nulla integralista o in qualche modo dittatoriale, preferisce invece
incoraggiare un pensiero e possibilmente irrobustirlo senza per forza imporne
un altro. Non si diventa vegani per moda, lo si può fare dopo attente
considerazioni sui meccanismi sociali e sul ruolo che si vuole intraprendere
all’interno di un’apparecchiatura che non può essere fermata, per questo Okja non è un film pro-vegetariano o
cazzate simili, ma un lavoro che suggerisce, prepara, ricorda e anche
semplicemente mostra come funziona il mercato della carne. Non è sulle immagini
viscerali e sull’impatto feroce dell’abbattimento del bestiame che punta ovviamente
Bong, ma ciò non esclude un paio di colpi bassi che arrivano dritti al punto
proprio per la delicatezza evocata nell’intera pellicola. Non è facile porsi
simili obiettivi e raggiungerli con quella che sembra una semplicità
disarmante, la bravura sta proprio nel nascondere la complessità lavorativa che
può sostenere quella che sembra una vicenda tanta esile e lineare.
Diciamo allora che Bong si è tolto lo sfizio di
fare meglio degli yankee in casa loro, Okja
è un grande film ed è giusto che vada visto, consigliato e rivisto. Ma magari
fra un paio d’anni torniamo alle sue materie preferite, eh?
Purtroppo non sono una gran conoscitrice del regista ma le polemiche che si porta dietro questo film paiono inutili anche a me: è un buon film, che potrebbe mettere d'accordo tutta la famiglia, ben girato, con degli effetti speciali strepitosi e un messaggio di fondo modernissimo. Che se lo sia accaparrato Netflix più che far pensare alla morte del Cinema potrebbe portare ad una riflessione sulla mancanza di coraggio delle major, sempre più concentrate su saghe e remake.
RispondiEliminaRecupera i suoi film, vanno in media dal bello allo strepitoso, non farteli scappare perché sono un gran pezzo di cinema. :)
EliminaSì, la differenza sta proprio lì, nel saper costruire una trama semplice nascondendo tutta la complessità per definirla e levigarla. :)
RispondiEliminaGrazie del pensiero, man :)
RispondiEliminaFilmone di quelli di una volte, che non ha paura di lanciarsi in territori più complessi di quelli comunemente toccati dagli amerregani. La mano coreana si vede eccome!
RispondiEliminaEsatto. Anche se è un film puccioso, c'è quella solidità nella narrazione che non mi ha fatto dubitare neanche un secondo :)
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