A caccia di errori nelle polaroid che
vedono il futuro
A volte passo più tempo a chiedermi a cosa
serva il buon vecchio Midiano invece di buttare giù qualche pensiero e
aumentare un po’ la media dei post settimanali, trovare iniezioni di carburante
non è sempre così immediato e, nonostante il morale sia alto e positivo, è
probabilmente naturale alternare parentesi più produttive ad altre che
scarseggiano di parole, profondità, tempo e, be’, anche interesse.
Il problema, più che altro, è che non
riesco a giustificare l’esistenza di questo angolo di web per parlare
dell’orrore che, in un modo o nell’altro, trova posto nella blogosfera e
nell’internet globale, e questo non perché sia tanto presuntuoso da
costringermi a scrivere solo di cose che altrove non si leggono – che poi, ehi,
è sempre bello arrivare per primi e coprire film non ancora sezionati,
capiamoci, anche questa è benzina –, ma giusto perché in fondo bastano pochi
clic e in decine di luoghi ci sono pennivendoli più bravi e informati di me che
mi fanno rannicchiare al buio.
Non sarei in grado di dare senso a 4-5
cartelle dedicate a blockbuster o a titoli sviscerati già ovunque, non sarei in
grado di spiegare la necessità di altre parole ancora per opere che hanno già
molto, molto spazio in rete. Non ho parlato, che so, di Nightcrawler, o di Gone Girl,
è più facile che sul Midian appaiano applausi per Brutal Shithead III e simili mondanità gore, e questo perché mi è
più congeniale, mi ci sento più comodo, sono perfettamente a mio agio nel
consumare cartelle su titoli minori che non porteranno visite o commenti ma che
spero invece diano significato a queste pagine virtuali.
Sono gli articoli che leggo più volentieri
tanto su Dread Central e Bloody Disgusting quanto sui blog più piccoli, sono
quelli che prima di tutti setaccio nella baia dei pirati e per i quali avrò
sempre un’affettuosa preferenza nonostante code clamorose in lista d’attesa: ho
una fame di opere minori, magari bruttarelle ma sospinte da valide motivazioni
che Midian può esistere solo e quasi esclusivamente in funzione di queste.
TimeLapse, così come Outpost37 la settimana scorsa, cade con bella coincidenza, è un film di evidente
limitatezza ma gli spunti o, meglio ancora, il piacere con cui questi sono
trattati e coccolati fino alla fine, sono ottimo esempio di cosa possa essere
il cinema fantascientifico di pur bassa categoria, una zona b dove non per
forza si debba convivere con esagerazioni, atteggiamenti sopra le righe e
inversione di tecnica e budget per trarne forza e risalto esecutivi. L’esordio
di Bradley King è semplicemente un lavoro che, con fondi, attori e un po’ di
esperienza in più avrebbe potuto essere ben altro, eppure non posso parlare
male o comunque senza il giusto rispetto di questa opera grezza e discontinua,
derivativa e incerta, che nonostante tutto possiede discrete qualità che non
dovrebbero sfuggire al mirino dei cinececchini.
Discorso a parte ma non troppo diverso
meritano i viaggi nel tempo, è materia per la quale ho sempre un debole, il suo
è fascino che non manca mai di stendermi anche nei casi più ovvi e meno
contorti, e quindi Time Lapse cade
bene anche qui, mi offre una serie di paradossi a incastro molto lineari ma
dotati di una progressione esponenziale di una certa bravura.
Ci troviamo in una di quelle situazioni
minimal, tre attori e un prototipo di macchina del tempo, è quel tipo di
fantascienza povera che nasconde però strutture e universi ben definiti, e a
pensarci bene molto buon cinema è stato possibile anche grazie a questo (giusto
per restare in tema Primer e Los Cronocrimenes, ma anche in tempi più
recenti cose come Plus One e Coherence).
Tre ragazzi scoprono, nella casa del
vicino morto, una macchina fotografica in grado di scattare foto della loro
stanza relative al giorno successivo, fattore che li mette presto in crisi e
sul quale si basa la bella meccanica del film: non potendo stabilire come
funzioni la regolare scansione temporale, ciò che imprime questa bizzarra
Polaroid rimane in un limbo di indefinizione e costringe i nostri tre eroi a
ricostruire il loro futuro proprio sulla base di quello che fotografa la
macchina.
Il paradosso è piacevole, e alla
semplicità iniziale (ogni giorno devono fare in modo che la sera la Polaroid
temporale fotografi ciò che ha mostrato loro la sera prima) si aggiunge presto un
congegno narrativo fatto di istruzioni e suggerimenti che i tre sembrano
ricevere dai loro se stessi del futuro. Tutto rimane limpido e rettilineo per
molto tempo, e uno dei difetti del film è chiaramente lo stagnante sviluppo, ma
quando nell’ultimo segmento la faccenda si complica gli interrogativi temporali
acquisiscono un notevole ampliamento di prospettive che regala una conclusione
acida, forsennata e parecchio più complessa di quanto si potrebbe ipotizzare.
I problemi risiedono proprio nel
chilometraggio, per molto tempo Time
Lapse ripete se stesso e le scusanti adottate sono parecchio lontane anche
dal mordente più misero richiesto: dei problemi di Jasper con la mala e le
scommesse sulle corse è arduo rimanere incuriositi, soprattutto dal momento in
cui si affacciano il big boss e il suo sgherro, sequenze in cui il film sfiora
e tocca a più riprese il ridicolo involontario, mentre delle problematiche
amorose che si vengono a creare tra Callie e Finn si conoscono già ampiamente
sviluppi e colpi di scena per un l’errore madornale e inspiegabile di installare
sin da subito questo malizioso threesome. Ciò che rimane del blando processo di
personalizzazione sono pochi e infelici dettagli trattati superficialmente (la
tristezza di Callie, la passione per la pittura di Finn, la gestione dei pochi
altri personaggi in gioco come il poliziotto e l’amica del vicino), e pare
quindi impossibile se non paradossale che proprio con queste basi, aggravate da
recitazioni davvero dimenticabili e da una regia così anonima e televisiva da
ricordare proprio certa serialità anni Novanta e dintorni, l’arma migliore King
la sfoderi nel tutti contro tutti che nasce da sospetti e paranoie, con una
spirale di cattiveria, egoismo e inganno molto profonda.
A volte, ma forse è meglio dire spesso, l’impatto
è qualcosa di molto personale, una sensazione a pelle che può incidere
parecchio, e l’impatto di Time Lapse
è, boh, forse al di sotto dello zero: in altre occasioni avrei droppato dopo
pochi minuti, qui il viaggio nel tempo mi ha fatto desistere ed è stato bene,
perché pur nella banale esteriorità c’è molto cura nella costruzione e una
graziosa eleganza nella gestione della singolarità, e per quanto ci provi la
povertà di mezzi nulla può fare contro questi preziosi elementi.
appena leggo di paradossi temporali mi ci fiondo! grazie per la segnalazione e mi raccomando trova sempre un po' di tempo per aggiornare il Midiano perché è assolutamente necessario.Per me è così!!!
RispondiEliminaAhahahah, in effetti sembra che mi stia lagnando ma non è così (però grazie, eh!), mi serviva solo un bel cappello introduttivo per spiegare perché alla fine mi ritrovo a parlare sempre di filmetti come questo.
Elimina(In realtà sono solo pigro, eh ;-) )
Come già detto dal Bradipo anche io sono molto intrigata dai paradossi quindi segno anche questo titolo.
RispondiEliminaMi accodo anche all'accorato appello di non smettere: tu, il Bradipo, Lucia e i 400 calci siete delle bibbie per chi, come me, non ha tempo di stare dietro all'horror ma è sempre in cerca di titoli nuovi ed appetibili :)
Come sopra (ma thanks! ;) )
EliminaPoi, sì, i paradossi funzionano sempre, penso non sia possibile non adorarli :-)
Bè, l'idea di base è molto suggestiva. Il solo fatto che un qualcuno ci abbia solo pensato è notevole. Forse la quinta essenza stessa della creatività. Se ho un attimo di tempo lo vedo :)
RispondiEliminaOddio, forse questo è un po' troppo, però sì, è un'idea notevole :-)
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