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Asmodexia (2014)

By Simone Corà | giovedì 12 febbraio 2015 | 00:05

Corna, zoccoli e zolfo, ma non la solita possessione in questo piccolo horror spagnolo                         

Mi capita sempre più spesso di apprezzare un film più per le intenzioni che per i reali buoni risultati che ottiene. Sarà perché nei low budget forse è più facile accontentarsi di alcuni aspetti riusciti provando a sorvolare sulla mediocrità del resto, di certo non credo sia la personale ostinazione di vedere del buono a tutti i costi e ancorarsi a quest’idea per convincersi che, nel panorama del piccolo horror, l’onestà e la buona volontà abbiano buona probabilità di vincer sempre. Davvero, io ci credo, sono queste le uniche armi che possono portare a risultati validi.
Ma con Asmodexia il discorso è abbastanza diverso, perché le ottime intuizioni equivalgono ai discreti risultati raggiunti nonostante alla fine non si possa dire che si tratti di un bel film, o meglio ancora di un film riuscito: questa è cosa parecchio strana e anomala, considerando anche che abbiamo a che fare con un esordio dove tradizione vuole si vada con i piedi di ferro, ed è meglio essere rozzi e fare meta come si riesce piuttosto che arrivarci facendo le capriole per compiacere il pubblico.

Abbiamo spunti narrativi classici come la possessione, l’esorcismo, il culto di una divinità infernale e l’attesa per il suo arrivo, ambientazioni ormai logore come il solito ospedale squamoso e il vecchio manicomio, e personaggi già protagonisti di chilometri di celluloide e chissà quante migliaia di pagine come un vecchio e saggio esorcista e una ragazzina che nasconde misteri e forse dei poteri più grandi di lei. Sono elementi stagnanti e potenzialmente rancidi se nelle mani di uno stronzo qualsiasi, potrebbero invece funzionare solo per mezzo di penne che sanno scrivere e narrare con le giuste parole e hanno spalle ben coperte da esperienze magari decennali: il mestiere è fondamentale per dare rotondità e credibilità a stereotipi che altrimenti cadrebbero come figure di carta, serve infatti ben più di un sostegno per reggerli, bisogna riempire volti e corpi ormai anonimi con motivazioni di ferro e azioni inossidabili, i personaggi devono respirare, devono vivere.
Tuttavia non è la fine del mondo se MarcCarreté non sa affrontare tali questioni con la maturità che serve, è giovane, inesperto, molta ingenuità affiora nella formazione proprio di quello su cui il film dovrebbe mostrare orgoglio e sicurezza – perché tutto il resto viene rovesciato e mostrato con una deformità davvero singolare, così interessante e, almeno sulla carta, volenterosa da bypassare quelli che alla fine sono le molte, ahimè troppe mancanze del film.

Seguendo la filosofia dello show don’t tell, Carreté non spiega niente di ciò che accade ma tenta di mostrarlo solo attraverso le azioni e le parole dei protagonisti. È una scelta coraggiosa, adottare un simile mezzo nel cinema è ben più delicato e difficile da maneggiare rispetto alla carta (dove è già di suo ardua da applicare), è necessario calibrare le informazioni e rilasciarle con dialoghi-chiave che mostrino di essere vere e proprie discussioni tra persone e non spiegoni camuffati, serve una perfetta conoscenza di background e finalità per far credere a chi guarda che quello che viene messo in moto, per quanto misterioso, segue principi e meccanismi con logiche d’acciaio, ed è fondamentale accontentare e coccolare lo spettatore spargendo rivelazioni e svelando retroscena con una progressione che vieta, vieta tassativamente il ritiro per noia o per un a volte inevitabile “non capisco un cazzo”.


E infatti Carreté non è in grado di reggere il gioco con la giusta sensibilità, i personaggi espongono teatralmente una complessa mitologia satanica sfidandosi con lunghe sessioni di dialoghi ma questi sono quasi sempre finti e forzati, la confusione è abbondante e capita spesso di perdersi dietro sequenze prive di definizioni temporali e qua e là, ancora peggio, di adeguate cause/effetto: se è piacevole bearsi di un enigma che si infittisce di minuto in minuto, mettendo in mezzo un buon numero di personaggi che si trascinano esistenze stralunate e dettate da scopi bizzarri, a tratti è arduo rimanere in groppa a una sorta di destriero ubriaco, che oscilla paurosamente tra sovrapposizioni temporali poco chiare, sottotrame che non trovano spiegazione, figure che appaiono dal nulla e di colpo hanno importanza fondamentale e chiusure del cerchio un poco scentrate – diciamo che somiglia più a un ovale sgangherato, ecco, dove un culto ossianico evoca un demone immondo e, per prepararne l’adeguato arrivo e alimentarne la sete di sangue, deve costruire particolari e violentissimi terreni ove possa poggiare gli zoccoli.

Peccato, certo, è una di quelle occasioni che, in mano a quella gente con quintali di esperienza alle spalle, poteva raggiungere vette molto interessanti, ma forse proprio gli stessi autori non avrebbero posseduto l’azzardo per uscire da certi schemi narrativi e provare approcci diversi. 
Non posso dire che Asmodexia mi sia piaciuto, appena terminato ho cancellato il file e dubito si affaccerà mai di nuovo nella mia tv, è stata una visione non troppo coinvolgente e, a dirla tutta, nonostante duri solo 80 minuti mi sono anche annoiato, ma lo spirito che muove questa piccola produzione è così coraggioso e per certi versi estremamente ambizioso che non posso non esserne felice e ricordarlo con una bella soddisfazione.

2 commenti:

  1. Concordo. Ne avevo parlato più o meno negli stessi termini anch'io. A presto.

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    1. Già. Speriamo nel suo prossimo film, ci sono molti, molti spunti validi :)

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