Un corridoio alieno in un bosco richiama
al cinema il Lovecraft migliore. O quasi.
Se Lovecraft non ha mai avuto troppa
fortuna al cinema con le trasposizioni dirette, ed è cosa anche abbastanza
preventivata dal classico “meglio il libro”, mi sembra invece anomalo e
inspiegabile come le sue tematiche cosmiche, in una concezione puramente
atmosferica e orrorifica, possano viaggiare sullo stesso, scarso interesse, con
opere che si contano sulle proverbiali dita della mano quando va bene e che in
generale si basano su ispirazioni colpevolmente troppe vaghe e che poco o nulla
riconducono al solitario di Providence.
Grossi tentacoli non fanno Lovecraft,
miniere buie non fanno Lovecraft, lo fa invece quel clima di indefinito
terrore, quella sensazione di spaesamento dovuta a proporzioni abissali e
incomprensibili generate da un orrore che non può essere descritto, un male che
non è tangibile e che risponde a regole fuori dalla logica umana, un’esistenza
quindi che il cinema horror potrebbe e dovrebbe abbracciare obbligatoriamente,
o quasi, ma che invece, forse, non è in grado di ricreare.
Ci hanno provato allora Josh MacDonald e
Evan Kelly, rispettivamente sceneggiatore e regista di The Corridor, che pur non riuscendo a inquadrare tutti i 90 minuti in
una visione omogenea e bilanciata, cercano di catturare il mistero, l’enigma,
quella sorta di sensazione perturbante data dalla vastità interstellare di ciò
che risiede nell’universo.
Non si tratta quindi di un confronto con
un’entità aliena di consistenza fisica e dotata di un intelletto comprensibile
ai protagonisti, è un progressivo soccombere a qualcosa di impercettibile e
indecifrabile, una volontà, più che una creatura, che si manifesta in un bosco
nella forma di un corridoio invisibile che lo attraverso per alcuni metri: a
chi ne valica le pareti, a chi cammina su quel suolo toccato e forse plasmato
da un’intelligenza lontana, spetta qualcosa di terribile, un manifestarsi
altrettanto ambiguo ed ermetico.
MacDonald e Kelly la definiscono con una
discreta visività, forniscono indizi, somministrano dettagli ma non esistono
risposte che possano spiegarla, essa esiste perché questo è l’universo, anche
nelle sue forme più difficili e distanti. Le mura che appena appena si
differenziano dal contesto, l’estraneità provata dopo l’averle toccate, la loro
fermezza nel tempo e nello spazio nonostante manchino meccanismi e motivazioni:
si tratta di ottime intuizioni e di una gestione del perturbante molto al di
sopra della media, e se a ciò si aggiunge una costruzione psicologica del cast
parecchio raffinata e curata tanto nei caratteri quanto nei dialoghi e negli scambi,
abbiamo una cementificazione della struttura del film così valida da poterlo sostenere
anche quando inizia la proverbiale deriva.
Non è un caso che MacDonald spenda molto
tempo a intagliare i suoi personaggi e a farli conversare durante il week end
in montagna organizzato per riunirsi a un amico dopo uno spiacevole fatto
accaduto anni prima: il dialogo, le risate, le battute e persino i momenti di
stizza e di fastidio a rispolverare ciò che era stato sepolto appaiono ben
pensati e naturali, ne nasce un’atmosfera dal sapore agrodolce, quasi
nostalgico, con un graduale rilascio di informazioni che conduce
meravigliosamente all’impatto con l’ignoto nascosto nel bosco.
La disgregazione che ne consegue, con una
banale royal rumble dominata dagli istinti primordiali di questi trentenni un
po’ tristi e forse insoddisfatti della propria vita anche a causa del motivo
che li ha divisi, è mossa fin troppo classica e non basta la bestialità espulsa
senza limiti per ricamare con lo stesso stile anche questa seconda parte della
pellicola, anzi, è proprio nella ricerca della tortura e di una certa arte della
violenza (con tanto di omicidi esagerati nei modi e nelle intenzioni) che The Corridor sfarfalla e pare
abbandonarsi a soluzioni horror molto comode, che nulla sembrano possedere del
bella eredità dei primi 40 minuti.
Piace ma purtroppo convince poco il brusco
ritorno in carreggiata nella parte conclusiva, con la volontà aliena di nuovo
al centro della scena, momento che si può riassumere in un bene nelle idee ma,
complice la pochezza realizzativa di FX imbarazzanti, prossima al ridicolo
involontario.
Pazienza, non si può avere tutto,
MacDonald e Kelly sono pur sempre agli esordi come autori (il primo è anche
attore con una discreta carrellata di titoli sconosciuti) e, anche se ormai è
già passato qualche annetto e non sembrano esserci gustose news, si può essere
fiduciosi.
Segnali sempre cose piuttosto interessanti. Grazie.
RispondiEliminaDovere.
EliminaSegnali sempre cose piuttosto interessanti. Grazie.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaL'avevo scaric... comprato tempo fa e lasciato a marcire nell'HD. Cercherò di dargli un'occhiata. Non so perché, ma la tua recensione mi ha fatto venire in mente Yellow Brick Road (che immagino sia piaciuto solo a me).
RispondiEliminaE' vero, non ci avevo pensato, e, ti dirò, se in Yellow Brick Road (che è piaciuto anche me salvo le parti meta un po' stupidine) la sensazione lovecraftiana è dovuta al bellissimo annullamento fisico/mentale, qui si avverte proprio quel mistero fisicamente proveniente dallo spazio, c'è quindi direi un pochino di Cthulhu in più, ecco :)
Eliminane avevo parlato da me un paio di anni fa e devo dire che la pensiamo esattamente alla stessa maniera: non tutto è messo a fuoco ma il talento c'è.,,
RispondiEliminainfatti l'avevo scoperto da te :)
EliminaSegno questo titolo e aggiungo anche il Yellow Brick Road dei commenti sopra, che vorrei effettivamente guardare da un po'...
RispondiEliminaEffettivamente è un peccato che nessun regista e sceneggiatore si impegni ad affrontare non già Lovecraft ma le sue atmosfere (come fatto da Carpenter in quel meraviglioso delirio de Il seme della follia) perché sarebbero terreno fertile per piccoli gioiellini, se non per forza capolavori...
Ma non è neanche una questione di cercare per forza film bellissimi, l'horror è bello proprio per i suoi film più piccoli e incerti ma piena di onestà e idee. E un film come The Corridor, o YellowBrickRoad, avranno sempre un bel posto caldo nelle mie preferenze perché al di là dei tanti difetti, c'è molta genuinità e c'è un approccio lovecraftiano fortissimo :)
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