The Rover (2014)

By Simone Corà | giovedì 26 febbraio 2015 | 00:05

Ebbene sì, la crisi economica ha in serbo per tutti un futuro alla Mad Max                                            

Tra post-apocalisse, ambiente desertico e guerre autostradali, il futuro di The Rover è un qualcosa che si è visto molte, molte volte ed è ormai avaro di sorprese. Il Mad Max-style è tematica classica ma con una longevità parecchio più scarsa dei vari vampiri e zombie, che riescono a sopravvivere anche di questi anni nonostante il terremoto young adult, è in fin dei conti uno scenario che non offre poi molte combinazioni narrative, rischia di bruciarsi subito vista la sua consolidazione in un immaginario alla portata di tutti, fatto di punk bellicosi, benzina come merce di scambio, magari un eroe solitario e silenzioso.
È quindi una base di partenza così nota che a cercare di descriverla si può spogliare una storia della sua potenzialità, la si può banalizzare conformandola alle tante simili, e infatti David Michod non spende neanche un minuto a spiegare uno scenario-standard che il fandom non ha alcuna difficoltà a costruire, preferisce dare forma alla sua idea e incasella una meravigliosa narrazione dove lo show don’t tell domina meticoloso in una ricchezza di dettagli ambientali e psicologici che mai, mai rischiano di inquadrare The Rover come un qualsiasi film post-apocalittico.   

Quello raccontato da Michod è un film di personaggi, sono le affezioni e i contrasti a guidare una storia che rimane comodamente nelle retrovie per molto tempo, affiorando solo quando qualche rifinitura galleggia per rimarcare motivazioni e sciogliere quesiti, ma si tratta di un’esecuzione spaventosamente pulita dove non serve raccogliere informazioni quando ci sono simili protagonisti a trascinare ogni cosa.
E ciò che più stupisce, e che allontana The Rover dalla media di concorrenti, è la natura stessa di questi non-eroi, in fin dei conti inquadrati in modelli che a loro volta si sono incontrati in tante, tantissime occasioni: l’Eric di Guy Pierce è un asociale disperso nell’alcol con un’unica scintilla di vita legata alla sua auto rubata e assolutamente da ritrovare, mentre il Rey di Robert Pattinson è un redneck con del ritardo mentale che sprigiona una commovente tenerezza, è quindi una di quelle coppie costrette a convivere superando disparità e incompatibilità per colpa di uno scopo più o meno comune che sa di vendetta e rivalsa ma anche di onestà e giustizia, tanto da poter unire i due come si confà al miglior eroismo cinematografico, quello più sincero e toccante, per poter affrontare un circolo di villain che hanno il pregio di non essere bad giusto per fornire un contrappeso morale al film, sono bensì tristi esempi di vita generata dall’involuzione apocalittica subita dal pianeta.
Roba buona, scritta benissimo, è lampante la capacità di far respirare queste figure, farle trasudare sangue e sabbia, farle sputare rabbia e fatica per un domani che nessuno sa se riuscirà a vedere.


The Rover è un road movie sanguigno e feroce ma che possiede lo spirito di una ballata country, la poesia di strada creata di Michod è permeata di una splendida umanità, la si può vedere nella burbera dolcezza con cui Eric provvede controvoglia a Rey e nel coraggioso impaccio con cui Rey cerca di compiacere Eric, gesti e comportamenti che mai scendono a compromessi stucchevoli ma mantengono quel distacco concepito dall’egoismo del nuovo mondo, e il loro è un rapporto credibile proprio perché incorniciato dalla rigidità di ciò che li circonda, un deserto di sabbia ed emozioni che non lascia scampo a meno di non prevalere secondo lo schema della più crudele scala sociale: il più forte sopravvive di stenti, gli altri muoiono male, probabilmente sgozzati o sbudellati e pure presi a calci.
È un mondo che Michod edifica attraverso poche componenti, come scrivevo sopra si tratta di uno scenario talmente conosciuto che non ha necessità di chiarimenti, pertanto può lavorare e definire quei particolari utili a distinguerlo dalla massa, riuscendoci attraverso un lavoro registico millimetrico che privilegia silenzi e lenti movimenti di macchina, e una narrazione a blocchi che gli permette di comporre sequenze di un certo lirismo fantascientifico: la fredda brutalità del commercio, la giustizia-fai-da-te e la visione deformata dell’inflessibilità legislativa, la paura del quotidiano uniformata e assorbita alla paradossalmente noiosa routine per la sopravvivenza…

Ne esce un quadro disturbante proprio perché Michod pesca riflessioni dell’oggi per modellare un domani molto vicino (il film è ambientato grossomodo nel 2025, e l’apocalisse è dovuta alla crisi economica) e, pur nella sua esagerata negatività e in una visione complessiva debitrice di molta fantascienza del passato, estremamente realistico e possibile tanto che a stento lo si può definire fantascientifico, potremmo essere su quel confine dove sarebbe anche legittimo concedere a un autore più in gamba di molti colleghi di tirarsela quanto basta rilasciando quelle frasi di circostanza sui valori e sul vero significato per estrarre la sua creatura dalla semplice etichettatura. 
A friggere esanimi in questo deserto sono infatti emozioni non così immediate o che solitamente sono più facile accantonare per la loro complessità: mostruosità come l’avidità generata dalla paura o la violenza che nasce dalla determinazione bilanciano però la bellezza umana e quel gene di bontà che esiste, esiste davvero, ci sono e continueranno a esserci quelle persone buone e oneste (non si può dire che Eric lo sia fino in fondo ma ne incarna appieno lo spirito) che comprendono le vere difficoltà e sono disposte a superarle e soprattutto ad aiutare a superarle, è un’umanità che in questo mondo pare non aver posto ma che invece, silenziosa, placida, percorre strade importanti e da non dimenticare.   

10 commenti:

  1. A me deluse non poco.
    Da Michod mi aspettavo molto di più.

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    1. E infatti ancora mi manca Animal Kingdom e sono parecchio curioso :)

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  2. Visto qualche mese fa in sub-ita.
    Deprimente (ma credo fosse un effetto cercato), ma il finale mi ha quasi commosso.

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    1. Sì, è molto triste e sofferente, è carico di queste sensazioni sin dall'inizio, basta vedere come sta messo Guy Pierce bene o male per tutto il film. E il finale, sì, molto commovente :)

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  3. Ciao a tutti, visto ieri. In effetti setting e interpretazione sono notevoli, e le sensazioni di masticare sabbia e moscerini che ti entrano nel nel naso sono piuttosto vivide... ma se aggiungo che è "un po' lentino" depone male sul mio conto?? Credo che i lunghi silenziosi primipiani su Pierce e Pattinson ammontino in totale a un bel terzo di film... il più delle volte seguiti non tanto da qualche frase degna di nota... quanto da un secco cambio di scena. A metà film ho iniziato a guardarlo col sopracciglio incurvato.

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    1. A me invece quei silenzi sono piaciuti molto, è vero che sono ostici ma aumentano la sensazione di disagio e fatica che si respira per tutto il film :)

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    2. Allora passo fiducioso ad Animal Kingdom... vediamo se bissa l'osticità.

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    3. Devo recuperarlo al più presto anch'io

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