O di come, prima di evocare un demone, sia importante leggere bene le istruzioni.
Decidere il titolo di un film dev’essere
un lavoro molto impegnativo, una di quelle cose che preferisci rimandare alla
fine perché la fatica è troppa, quasi meglio sfuggirci, sottrarsi, fare finta
di niente fino a quando non si può più aspettare e bisogna decidere e allora
ecco, va bene la prima cosa che passa per la testa, poi magari si può anche
convincersi che tutto sommato non è male perché è catchy, c’è il contrasto, è
giovane, e quello che vuoi (un gruppo metal potrebbe farci un album intero
combinando queste due parole, eh), ma Dark Summer, pur essendo davvero un pessimo titolo, è in fin dei conti quella
che si può considerare l’unica cosa negativa di questo piccolo, piccolo film di
Paul Solet.
Lavorare in economia comporta scelte
drastiche che potrebbero venire scambiate per precise direzioni artistiche, non
è una cattiva cosa e di certo non svaluta intenzioni e idee, di sicuro mi è un
po’ difficile credere che Solet abbia scrupolosamente imposto come unica
ambientazione la stanza in cui il diciassettenne Daniel deve scontare la
libertà vigilata in seguito a un lungo stalkeraggio di una compagna di scuola.
L’ambiente è spoglio, svuotato, addobbato
solo di colori scuri e sfocati che privano la luce di qualsiasi calore, e al
centro solo lo schermo del pc si staglia da un’ombra appiccicosa come una
ragnatela. È una stanza che dà pienamente l’idea di prigionia, il fastidio e la
sofferenza di Daniel trasudano anche dall’atmosfera opprimente di queste
quattro mura, ed è quindi lodabile il lavoro di Solet che, impossibilitato a
usare altre strategie, probabilmente le ignora del tutto e priva lo scenario di
tutto ciò che è superfluo, è quel tipo di gioco al risparmio che si attiva
obbligatoriamente in condizioni economiche avverse ma che, se gestito da mano
abile, può rivelarsi valore davvero aggiunto.
A pensarci è una cosa abbastanza
incredibile, catturare le sensazioni e le immagini migliori proprio quando i
mezzi a disposizione sono così limitati, forse non è sempre questione di
bravura e sicuramente quella proverbiale botta di culo nel beccare le
inquadrature giuste ha il suo peso, ma Dark
Summer ha proprio nel marciume e nella percezione gelida e lontana uno dei
suoi aspetti più potenti.
Un film economico è solitamente tale anche
per altri motivi, le inesperienze non danno sicurezza e i soldi di certo non si
trovano per terra, va da sé che i limiti di Dark
Summer sono parecchi, a partire proprio dalla mancanza nel raccordare i
quattro personaggi: se l’amicizia tra Daniel e i due compagni appare sincera e
ben dipinta dalla sola presenza fisica con un bel gioco di sguardi, silenzi e
volti contriti, e se il rapporto benevolo con cui Stokes consiglia e coccola il
ragazzo per dissipare la frustrazione della condanna, non sono perdonabili le
concessioni, i salti e in generale le facilità con cui viene accettata la
vicenda soprannaturale e i modi con cui si tenta di risolverla.
Sono aspetti che alla fine non
infastidiscono e non rovinano l’esperienza del film eppure si storce il naso
nel vedere come venga infranta la legge con una simile semplicità, una
linearità che fa più pensare a una sorta di necessaria scorrettezza per far
filare la storia senza troppi intoppi ma che disturba perché il film forse non
ne aveva bisogno, o almeno non in questo modo: la superficialità con cui viene
gestita la questione della libertà vigilata o l’assenza di qualsiasi importanza
psicologica di carattere esterno (non ci sono genitori, di nessun tipo, pur
essendoci di mezzo una condanna e un omicidio, né alcun intervento della
stampa) sono cose grosse ma tutto sommato Dark
Summer è ben corazzato e attutisce bene i colpi grazie al suo riuscito lato
soprannaturale.
La morte della bella Mona e i passaggi
recitati prima di uscire di scena (non è spoiler, è input della storia, succede
nei primi minuti) sono un’ottima partenza perché, nonostante sembrino essere solo
bruscoli horror, c’è in realtà uno studio molto più approfondito che ricama
loro attorno un contesto demoniaco complesso e interessante. Le varie regole
che compongono il rituale e gli step che assicurano il meccanismo infernale
sono configurati in un congegno sofisticato, fatto di simboli, gesti e frasi
dotati di corpo e funzione ben precisi: in questo modo i segmenti
soprannaturali che accadono a Daniel, pur riallacciandosi a modalità comode e
infallibili come levitazioni, momenti in cui si estranea dal proprio corpo per
poi riafferrarlo quando il danno è stato fatto, e apparizioni di vario tipo e
media intensità, si incastrano egregiamente in un disegno sinistro che trova
nella svolta conclusiva perfetto compimento, è la sezione in cui ogni sfumatura
di Dark Summer fiorisce e dà il suo
meglio.
È in definitiva una bella occasione per un
film minuscolo e certamente zoppicante ma ben ghiotto per chi saprà accettare i
molti limiti per accogliere il bel lavoro mitologico.
mi hai convinto, come al solito grazie della segnalazione, sei sempre avanti a tutti!!!
RispondiEliminaPollice su :-)
EliminaAzz, con una storia così schifosa e pronta a scivolare nella cretinità in ogni secondo, sto ragazzetto è riuscito a non rendersi ridicolo.
RispondiEliminaO è un pazzo o gli è andata di culo. Vediamo con le prossime opere :)
Diciamo una via di mezzo, per me. Il rischio in una storia come questa è bello grosso ma, cosciente o meno, l'ha sfangata con gran stile. A leggere in giro non è piaciuto a nessuno e chiunque è rimasto deluso considerando il primo film del regista, Grace, che io non ho visto...
EliminaGrace è davvero una chicca. Però mi sembra che lo stile rimanga quello, cioè anche lì la storia rischia la ridicolizzazione ma riesce a tenerla in piendi (non così tanto come in dark summer, che a volte davvero non ho capito come si regga tutto in piedi :) ).
EliminaGrace vale la pena una visione, però, ripeto, aspetto una terza opera per capire dove sto tipo vuole andare a parare
Eh, devo recuperarlo, ma la lista è sempre troppo lunga... ;)
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