Adam Green fa il furbetto con un film pieno di mostri che però non si vedono mai
Ho sempre difeso Adam Green e continuo a
pensare che un regista come lui abbia tutte le carte per ritagliarsi un ruolo
importante nel cinema horror, ma adesso la vedo un po’ dura. Capiamoci. Immagino
possa esistere un futuro dove ci saranno condizioni ideali per un nuovo Frozen, un prodotto carico di una
brillantezza e di un’eleganza spaventose che sappia mettere d’accordo tutti, ma
tendo a vedere nella bolla sempre un maggior rincoglionimento dedicato a una superviolenza
demenziale che gli Hatchet (dei quali ho
comunque adorato anche secondo e terzo capitolo) prima e la serie tv Holliston (che non ho visto) poi (ma anche il segmento per Chillerama non si smuove da queste
coordinate) hanno cementato nella carriera di Green.
Digging up the Marrow era passaggio importante, poteva e doveva
essere il crocevia necessario per scrollargli di dosso la goliardica
inconsistenza delle gesta di Victor Crowley e farlo ripartire con una buona
scarica di energia dopo troppo tempo lontano dal cinema (in fondo Frozen è del 2010).
Purtroppo Green ha fatto tutto quello che
poteva per costruire il peggiore comeback possibile, sembra davvero che, da una
parte, non abbia trasmesso alcun impegno nell’edificare il film e, dall’altro,
se ne sia solo servito come sciocco e infame mezzo pubblicitario.
La scelta di una meta-finzione, con il
regista nei panni di se stesso mentre cerca di fare un film su un’ipotetica
città popolata da mostri, è un buono spunto di partenza che, un paio d’anni fa,
già Seth Rogen aveva ruminato tirandone fuori un mezzo capolavoro tra horror e
comicità con Facciamola finita. Ma se
Rogen vinceva grazie alla colossale autoironia, esaltandola nell’irresistibile
umiliazione di mezza Hollywood da ridere, la prima cosa che Digging Up the Marrow distrugge è
proprio quella ricerca umana con cui un autore dovrebbe mostrarsi al pubblico.
Certo, per Rogen è facile e non credo gli sia difficile mostrarsi come uno
scemo fumato che dice parolacce, probabilmente il duello non sarebbe
equilibrato, ma l’arroganza con cui Greene si descrive è una delle cose più
squallide abbia mai incontrato nella scena horror.
Adam Green è un faro del cinema del
terrore, Adam Green è pieno di fan, Adam Green è bravissimo, Adam Green è il
futuro, Adam Green è amico di tutti i più grandi, tutti aspettano i prossimi
film di Adam Green. Pochissime scene del suo finto documentario la sequenza di
immagini non lascio scampo a differenti interpretazioni, l’ego è una brutta
cosa ma Green non cerca di nasconderlo, anzi, lo mostra, ne è orgoglioso, e lo
sbatte in faccia in continuazione indossando magliette dei suoi film, mostrando
poster dei suoi film, montando immagini dei suoi film.
Non ho gran piacere nel parlare di film
che non mi sono piaciuti, centellinando gli articoli posso concentrarmi su
quello che mi ha lasciato qualcosa dentro e il letame si esclude
automaticamente, ma qua e là è naturale incrociare delusioni enormi (come è
capitato per Killers, The Midnight After ed Exists) che possono innescare qualche
riflessione su cui valga comunque la pena spendere qualche parola.
Ma con Digging
up the Marrow, ancora prima della tragica pochezza narrativa che lo
sprofonda nello sterco cinematografico, chiedendosi quale sia la scopo e in
generale a cosa miri un autore quando crea
e quando propone la sua arte, non c’è
spazio nemmeno per questo, l’unica riflessione è lo sconforto e diventa
impossibile trovare altro su cui soffermarsi.
Cosa può spingere un autore, da sempre
fedele alla scena e quindi giocoforza alfiere di una certa onestà volenterosa,
a travestirsi di una superbia così naturale e così seria da impedire anche la più piccola briciola ironica? E quando
Green ha visto il risultato finale, come ha fatto a ritenersi soddisfatto e a
dire “sì, sono proprio contento di essermi scritto e recitato come un idiota
col cappello al contrario”, mostrando sua moglie solo in costume o in mutande e
circondato da un pubblico che pare venerarlo? Possibile che non solo pecchi di
autocritica nello scontrarsi con una totale nullità recitativa ed espressiva, e
che nessuno l’abbia fermato in tempo dicendogli di calmarsi e sgonfiarsi un po’?
Domande vane, sono interrogativi un po’
inutili come inutile è questo film, che parla di una città di mostri dove però i mostri non si vedono mai perché il
trucco dei mockumentary, e questo Green lo sa bene perché conosce la materia, è
quello di non mostrare niente perché l’orrore va suggerito, è l’atmosfera ad
avere un ruolo chiave e il budget non è importante perché le idee meglio
vengono quando mancano i soldi.
In realtà si tratta di aspetti che
troverebbero anche motivazione se Digging
up the Marrow non fosse così leggero e superficiale, se non seguisse miseramente
il manuale del found footage per principianti nel costruire personaggi e
vicende (l’incipit è quanto di più scolastico abbia mai visto), se non peccasse
un po’ sotto qualsiasi aspetto caricando il buon Ray Wise di tutte le fatiche
(anche se in fondo è l’unico attore, eh), o se almeno ci fosse qualche momento
di tensione tra una mossa di markenting e l’altra, e invece non si raccoglie
niente da questo cumulo di escrementi secchi che non riesce a dare nemmeno un
qualche tipo di palpitazione finale.
Bad, bad movie.
ok , direi che mi hai convinto ...e poi queste menate autoreferenziali mascherate da metacinema stanno un po' sul piffero anche a me...
RispondiEliminaGià, più che altro perché proprio non c'è alcun cinema, non c'è alcun film, è solo mezzo per parlare di se stessi
EliminaMamma mia che brutta delusione. Che cumulo di monnezza. E fa rabbia perché comunque alcuni spunti non erano affatto male. E, quando Green fa meno l'arrogante presuntuoso (tipo la scena in cui viene perculato da Garris e Holland), diventa quasi interessante.
RispondiEliminaQuasi però
Ma secondo me neanche quello, più che altro per coerenza, visto che una domanda del genere avrebbe dovuto farsela a inizio film e non a due terzi. In generale però è proprio brutto tutto, perché è banale, banale, banale a non finire, cosa che azzera la curiosità sin dall'inizio, quando ti dici che no, Ray Wise non sarà il solito pazzo uguale a mille altri, e invece è proprio così...
EliminaUna monnezza autoreferenziale (nel senso più fastidioso del termine)!
RispondiEliminaGià, perché proprio non serviva che parlasse così tanto di se stesso e dei suoi lavori, anche a farlo in buona fede come ha fatto a non accorgersi di come appare alla fine?
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