Si
narra che nel 1975 Jodorowsky potesse cambiare il mondo, ma non gliel'hanno lasciato fare.
Qualche anno fa la Rete ha vomitato in
silenzio una serie di schizzi e di idee per un progetto degli anni Settanta che
poteva essere di grande interesse ma che, a conti fatti, nel post 2000 non
avrebbe cambiato la vita di nessuno. O almeno questa è la sbrigativa sensazione
che ho avuto.
Non so se sia stata mancanza mia (probabilmente sì), o se davvero un certo fandom abbia accolto questa notizia con relativo menefreghismo, a suo tempo è sembrato semplicemente uno di quei grossi e malinconici vorrei-mai-non-posso che da tanto tempo torturano autori e pubblico che mirano a sogni ahimè irrealizzabili: tra l’Hyperion di Scorsese, lo Spiderman di Cameron, e Le montagne della follia di Del Toro, la lista è lunga e destinata a non estinguersi mai, ma se di solito non ci si allontana troppo da timidi tentativi e idee appena approcciate, e solo in qualche caso è la fottuta sfiga a bloccare le ambizioni (il Don Chisciotte di Terry Gilliam, funestato da meteo e sfortune varie), vedere Jodorowsky’s Dune fa luce su una serie di spunti, invenzioni e aspirazioni che avrebbero realmente potuto cambiare l’attuale fantascienza e, forse, anche un certo modo di intendere il cinema di genere nei suoi aspetti più mainstream.
Anche senza farsi troppo incantare dalle parole di Jodorowsky, che adesso come allora racconta con un’enfasi e una sicurezza che aveva anche tutti i meriti di possedere e sfoggiare, è chiaro come tanti aspetti partoriti dalla sua mente e dalla sterminata schiera di nomi autorevoli coinvolti, siano stati un gigantesco, colossale bacino di idee dove attingere senza tanti complimenti, e se la rivoluzione non ha corrisposto alle sue visioni ciò non toglie che molti, molti pilastri (da I predatori dell’arca perduta a Contact) siano stati edificati su quei primi mattoni che lui stesso ha posato ormai quarant’anni fa.
Nel 1974, Jodorowsky racconta, il pazzo regista cileno era molto apprezzato: pur con due film folli e surreali come El Topo e La montagna sacra, il successo di pubblico e critica l’aveva spinto verso un’ambizione che, in certi ambiti e in certi tempi, era legittimo professare. La possibilità che il suo Dune, progettato per l’anno successivo, e quindi ben due anni prima di Star Wars, potesse scardinare tutto quanto era realmente concreta, perché l’immaginario di Jodorowsky era senza limiti, era pura meraviglia artistica priva di concessioni e soprattutto scevra e ancora vergine di fantasie altrui. Il solo desiderio di realizzare un film che avesse una durata fiume priva di alcuna considerazione per alcun tipo di pubblico (Jodorowsky parlava di dodici ore) è qualcosa di allucinante oggigiorno ma già allora fuori da qualsiasi schema, è un desiderio talmente anarchico per il quale il cinema non era e non sarà mai pronto.
In poco tempo Jodorowsky forma un dream team che probabilmente mai nessuno, nel cinema, ha avuto modo di poter assemblare: con Moebius scrive e disegna l’intero storyboard, con il grande copertinista inglese Chris Foss dà forma ad astronavi ed edilizia aliena dalle particolari forme squadrate, con Giger prepara il terreno alle deformità meccaniche degli Harkonnen (che torneranno ovviamente nel Dune di Lynch), si assicura i Pink Floyd, i Magma e Mick Jagger a suon di paroloni su un progetto che cambierà il cinema, e assolda addirittura Salvador Dalì e la sua magnificenza folle per farlo recitare nella brevissima parte dell’imperatore. È abbastanza limpido quindi come Jodorowsky avesse piani precisi, d’acciaio, non erano solo sogni campati per aria o aspirazioni da raggiungere a leccate nel culo, aveva una meta lontana e l’autostrada che stava costruendo era sempre più vicina.
Non so se sia stata mancanza mia (probabilmente sì), o se davvero un certo fandom abbia accolto questa notizia con relativo menefreghismo, a suo tempo è sembrato semplicemente uno di quei grossi e malinconici vorrei-mai-non-posso che da tanto tempo torturano autori e pubblico che mirano a sogni ahimè irrealizzabili: tra l’Hyperion di Scorsese, lo Spiderman di Cameron, e Le montagne della follia di Del Toro, la lista è lunga e destinata a non estinguersi mai, ma se di solito non ci si allontana troppo da timidi tentativi e idee appena approcciate, e solo in qualche caso è la fottuta sfiga a bloccare le ambizioni (il Don Chisciotte di Terry Gilliam, funestato da meteo e sfortune varie), vedere Jodorowsky’s Dune fa luce su una serie di spunti, invenzioni e aspirazioni che avrebbero realmente potuto cambiare l’attuale fantascienza e, forse, anche un certo modo di intendere il cinema di genere nei suoi aspetti più mainstream.
Anche senza farsi troppo incantare dalle parole di Jodorowsky, che adesso come allora racconta con un’enfasi e una sicurezza che aveva anche tutti i meriti di possedere e sfoggiare, è chiaro come tanti aspetti partoriti dalla sua mente e dalla sterminata schiera di nomi autorevoli coinvolti, siano stati un gigantesco, colossale bacino di idee dove attingere senza tanti complimenti, e se la rivoluzione non ha corrisposto alle sue visioni ciò non toglie che molti, molti pilastri (da I predatori dell’arca perduta a Contact) siano stati edificati su quei primi mattoni che lui stesso ha posato ormai quarant’anni fa.
Nel 1974, Jodorowsky racconta, il pazzo regista cileno era molto apprezzato: pur con due film folli e surreali come El Topo e La montagna sacra, il successo di pubblico e critica l’aveva spinto verso un’ambizione che, in certi ambiti e in certi tempi, era legittimo professare. La possibilità che il suo Dune, progettato per l’anno successivo, e quindi ben due anni prima di Star Wars, potesse scardinare tutto quanto era realmente concreta, perché l’immaginario di Jodorowsky era senza limiti, era pura meraviglia artistica priva di concessioni e soprattutto scevra e ancora vergine di fantasie altrui. Il solo desiderio di realizzare un film che avesse una durata fiume priva di alcuna considerazione per alcun tipo di pubblico (Jodorowsky parlava di dodici ore) è qualcosa di allucinante oggigiorno ma già allora fuori da qualsiasi schema, è un desiderio talmente anarchico per il quale il cinema non era e non sarà mai pronto.
In poco tempo Jodorowsky forma un dream team che probabilmente mai nessuno, nel cinema, ha avuto modo di poter assemblare: con Moebius scrive e disegna l’intero storyboard, con il grande copertinista inglese Chris Foss dà forma ad astronavi ed edilizia aliena dalle particolari forme squadrate, con Giger prepara il terreno alle deformità meccaniche degli Harkonnen (che torneranno ovviamente nel Dune di Lynch), si assicura i Pink Floyd, i Magma e Mick Jagger a suon di paroloni su un progetto che cambierà il cinema, e assolda addirittura Salvador Dalì e la sua magnificenza folle per farlo recitare nella brevissima parte dell’imperatore. È abbastanza limpido quindi come Jodorowsky avesse piani precisi, d’acciaio, non erano solo sogni campati per aria o aspirazioni da raggiungere a leccate nel culo, aveva una meta lontana e l’autostrada che stava costruendo era sempre più vicina.
Dal capolavoro di Frank Herbert era scontato che ne modificasse vari aspetti per inserirci una visione più spirituale, lo sciamano cileno ha sempre espresso quest’aura stregonesca e non è un caso, per quanto lui stesso affermi che la fatalità è stata inizialmente fondamentale, che sia proprio Dune, con una spezia che provoca allucinazioni, un pianeta desertico dove la vita scarseggia e un personaggio dai sensi sovrumani, a fornirgli spunti essenziali per la sua poetica psichedelica. Il taglio coloratissimo di astronavi e costumi, la stravaganza di alcuni aggiustamenti di trama, gli innesti mistici per rafforzare e ampliare eventi e scenari originali, esplodono per mezzo del carisma di un autore che conosco poco ma che, pur non comprendendone molto motivazioni, aspirazioni e sentimenti filosofici onirici, mi ha lasciato a bocca aperta nello stesso modo in cui deve aver fatto breccia nelle volontà dello squadrone arruolato, annullandone le restrizioni, livellandone le preoccupazioni e rubandone l’anima per farne un tutt’uno con l’Incredibile che stava creando.
Certo, è impossibile percepire la piena
potenza di elementi che sono purtroppo rimasti a uno stadio embrionale, eppure
bastano questi schizzi per lasciarsi rapire dalle parole di Jodorowsky, dalla
sua forza, dalla sua onestà intellettuale e sognare un film che non è mai stato
girato ma che esiste e vive in decine di altre opere, a partire dall'Incal, comic che Jodorosky realizzò a partire dall'81 proprio per dare forma a tutto quello che il suo Dune non aveva potuto essere.
Segnalazione davvero potente!
RispondiEliminaMe lo segno perchè adesso voglio vederlo.
Ottimo, poi dimmi se ti è piaciuto :)
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