Ruggiti e laser spaziali contro alieni invisibili nel nuovo programma di Real Time
Una volta li chiamavano rip off, ma erano anni
in cui l’innocenza di certi approcci cinematografici faceva più tenerezza che
rabbia. Clonare idee, ambienti e sequenze intere era prassi spesso comune,
negli anni Ottanta, a patto di prendere l’esercito di replicanti per quello che
semplicemente erano: b-movie divertenti e sanguinari che nulla pretendevano se
non di mettere insieme un po’ di protesi viscide ed effettacci truculenti.
Man Vs. recupera questa pratica andata gradualmente
perduta e, con un solo attore e ben poca pecunia, Adam Massey mette in scena
una versione povera e homemade di Predator,
aggiornandola ai nostri tempi. Chris Diamantopoulos offre muscoli e sguardo
deciso alla controparte canadese di un Bear Grylls realmente isolata in un
bosco paludoso: un uomo, una telecamera e la natura da sconfiggere, o meglio,
con cui convivere per durare cinque giorni e confezionare l’ennesimo episodio
del fortunato reality che conduce.
Man
Vs. è quindi un’auto narrazione svelta e sagace come
si può vedere in un qualsiasi programma trasmesso da Real Time o DMAX, almeno
fino a quando non entra in scena l’alieno, che rimane chiaramente nascosto fino
al duello finale.
Sappiamo che non serve un budget massiccio per
scrivere una buona storia, e anche se a Man
Vs. manca una vera forza per far spiccare il suo one man show, Massey crea
delle situazioni tutto sommato interessanti e coinvolgenti, con un dosaggio
molto attento delle intromissioni aliene. Il Predator canadese è purtroppo uno
sciocco manichino in pessima CG ma l’autore ha perlomeno la decenza di
trattenerlo fino all’inevitabile final battle, dove la produzione si scontra
con la sconvolgente carenza economica.
Non è tuttavia un peccato, perché la presenza
cauta dell’alieno subentra in uno scontro di furbizie e intelligenze con
l’uomo, che sostituisce i cazzotti con trappole e prede da rubare. Il film è
corto e regge bene, la telecronaca dello show è gradevole e la frustrazione
progressiva del nostro protagonista è tutto sommato resa con una discreta
schiera di sbuffi, pianti e sguardi sconsolati al cielo. Il calo è meramente
visivo solo nelle già accennate mazzate finali, anche se non mancano sbudellamenti,
grumi di viscere fumanti e generosi spruzzi di sangue, quasi a liberare un’esplosione
di violenza trattenuta per i primi due atti.
Un film in fondo dimenticabile, ma che si guarda
volentieri. Come succedeva con i rip off trent’anni fa.
Settimana prossima toccherà a un articolone
sulle abduction cinematografiche, poi il tempo di riorganizzare le idee e ci
sarà modo di scrivere su una tripletta di uscite molto importanti: The Devil’s Candy, Prevenge e The Void.
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