Man Vs. (2015)

By Simone Corà | venerdì 14 aprile 2017 | 00:01

Ruggiti e laser spaziali contro alieni invisibili nel nuovo programma di Real Time                                                                                                                      

Una volta li chiamavano rip off, ma erano anni in cui l’innocenza di certi approcci cinematografici faceva più tenerezza che rabbia. Clonare idee, ambienti e sequenze intere era prassi spesso comune, negli anni Ottanta, a patto di prendere l’esercito di replicanti per quello che semplicemente erano: b-movie divertenti e sanguinari che nulla pretendevano se non di mettere insieme un po’ di protesi viscide ed effettacci truculenti. 
Man Vs. recupera questa pratica andata gradualmente perduta e, con un solo attore e ben poca pecunia, Adam Massey mette in scena una versione povera e homemade di Predator, aggiornandola ai nostri tempi. Chris Diamantopoulos offre muscoli e sguardo deciso alla controparte canadese di un Bear Grylls realmente isolata in un bosco paludoso: un uomo, una telecamera e la natura da sconfiggere, o meglio, con cui convivere per durare cinque giorni e confezionare l’ennesimo episodio del fortunato reality che conduce.  
Man Vs. è quindi un’auto narrazione svelta e sagace come si può vedere in un qualsiasi programma trasmesso da Real Time o DMAX, almeno fino a quando non entra in scena l’alieno, che rimane chiaramente nascosto fino al duello finale. 

Sappiamo che non serve un budget massiccio per scrivere una buona storia, e anche se a Man Vs. manca una vera forza per far spiccare il suo one man show, Massey crea delle situazioni tutto sommato interessanti e coinvolgenti, con un dosaggio molto attento delle intromissioni aliene. Il Predator canadese è purtroppo uno sciocco manichino in pessima CG ma l’autore ha perlomeno la decenza di trattenerlo fino all’inevitabile final battle, dove la produzione si scontra con la sconvolgente carenza economica.
Non è tuttavia un peccato, perché la presenza cauta dell’alieno subentra in uno scontro di furbizie e intelligenze con l’uomo, che sostituisce i cazzotti con trappole e prede da rubare. Il film è corto e regge bene, la telecronaca dello show è gradevole e la frustrazione progressiva del nostro protagonista è tutto sommato resa con una discreta schiera di sbuffi, pianti e sguardi sconsolati al cielo. Il calo è meramente visivo solo nelle già accennate mazzate finali, anche se non mancano sbudellamenti, grumi di viscere fumanti e generosi spruzzi di sangue, quasi a liberare un’esplosione di violenza trattenuta per i primi due atti.      
 
Un film in fondo dimenticabile, ma che si guarda volentieri. Come succedeva con i rip off trent’anni fa. 


Settimana prossima toccherà a un articolone sulle abduction cinematografiche, poi il tempo di riorganizzare le idee e ci sarà modo di scrivere su una tripletta di uscite molto importanti: The Devil’s Candy, Prevenge e The Void

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