Science+Fiction 2011 (2 di 3)

By Simone Corà | mercoledì 23 novembre 2011 | 08:00


La giornata inizia con una ricca tavola rotonda alla quale partecipano Giuseppe Lippi, Tullio Avoledo, Maico Morellini (vincitore Premio Urania 2010 con Il re nero) e Fabio Pagan (giornalista scientifico). Si comincia parlando del romanzo di Morellini, il quale confessa, chissà se volutamente o meno, di aver voluto innestare una componente noir su un libro di fantascienza per spingere le vendite del libro, ma anche, rettifica poi, per la sua passione per il giallo. Scatta naturale la domanda di Pagan, che un po’ tutti si chiedono da una manciata d’anni, sul perché il Premio Urania ultimamente venga sempre aggiudicato dal filone del thriller fantascientifico. Lippi conferma tra le righe di avere le mani legate, spiega che in ogni caso vengono premiate le idee originali e aggiunge che anche a lui piacerebbe una maggiore varietà di temi trattati, spererebbe infatti di coinvolgere anche lettori non di nicchia e aver la possibilità di curare Urania con una maggiore libertà. Vedremo cosa ci riserva il futuro.

Si apre un interessante dibattito sull’editoria fantascientifica dagli anni ’60 fino a oggi. Da come i voli nello spazio e la Nasa siano stati fonte di ispirazione per l’immaginario collettivo e di come anche gli accademici, un tempo, fossero più dediti a letture di tipo fantascientifico. A questo si aggancia Tullio Avoledo, canzonando meravigliosamente Giacobbo, portando la sua esperienza di scrittore di genere fantastico e raccontando un po’ del suo rapporto con Einaudi, che storce il naso a ogni accenno fantascientifico presente nei suoi lavori. (Non preoccuparti Tullio, a noi piaci così).

Si passa quindi alla presentazione del volume Era una gioia appiccare il fuoco di Ray Bradbury curato da un Lippi che esprime tutta la sua passione per la materia. Il volume sa un po’ di raschiature del barile, ma per gli appassionati raccoglie comunque una serie di racconti inediti, tra i quali due prequel di Fahrenheit 451, Il pompiere e Molto dopo mezzanotte. Commenta lo stesso Lippi che spiega il mostruoso lavoro di traduzione che si è dovuto sobbarcare e qualche aneddoto sulla difficoltà che hanno avuto in America a far saltar fuori questi scritti. Chiude un aneddoto sulla canzone Fuck me, Ray Bradbury di Rachel Bloom, il cui testo dev’essere apparso talmente poco serio, ai capoccia della Mondatori, che non c’è stato verso di inserirlo come simpatico omaggio.



Torniamo al Cinecity e becchiamo quasi per sbaglio Valentino Sergi, così tutti insieme contribuiamo alla fauna locale, più o meno quella di un negozio di fumetti, ma con un pizzico di odore di ascelle in più. Ci mettiamo in coda per i biglietti e osserviamo basiti un Kim Newman che va girovagando da solo per il centro commerciale, come fosse l’ultimo degli stronzi. Non se lo fila nessuno, ma lui sorride sempre. Ci procuriamo i biglietti per Nuclear Family (Kyle Rankin) e L’arrivo di Wang (Manetti Bros). Per gli spettacoli dalle 19 in poi bisogna tornare a fare la fila e già bestemmiamo perché i film, ovviamente, accumuleranno ritardo e guadagnare tempo per la premiazione di Romero sarà impossibile.

We and the Manetti Bros

Alle 15 ci annoiamo con Nuclear Family, un pilot per una web series dove Rankin, in sala, spiega che ha improvvisato tutto, dal copione alla sceneggiatura, lasciando all’oscuro persino il cast sull’evolversi della situazione. Aggiunge di aver filmato a braccio nel giardino di casa sua e di aver voluto sperimentare parecchio, ma fa lo gnorri quando gli chiediamo quanto abbia copiato da Lost. Date queste premesse le cose erano due: o un capolavoro assoluto, o un pastiche di situazioni destrutturate. Di certo la risposta non è la prima. L’unico a trovarsi a suo agio nel marasma di situazioni sarà un immenso Ray Wise.

Alle 17:30 ci attende la prima vera produzione italiana, L’arrivo di Wang. Già, perché il merito di questo festival è di spaziare da una nazione all’altra permettendoci di respirare cinema di vari paesi. I Manetti Bros, due romanacci simpaticissimi che ci faranno i complimenti sul nostro vestiario Star Wars (una T-shirt Simone e mutande per me – non chiedete come abbiano fatto a vederle, vi prego!) esaltando il nostro lato nerd, sanno bene come usare la macchina da presa e, partendo da un’idea semplice, creano una suspance quasi sempre credibile ed efficace. Ci troviamo a fare i conti con science fiction dura e pura e ci girano un po’ le balle quando, verso la fine del film, un incacchiatissimo Corà deve alzarsi e andare a mettersi in fila per prendere i biglietti di Romero. A me girano un po’ meno.


Ore 19:00. Simone è già in coda da mezz’ora e non sa cosa ne è stato di Wang. La fila di zombie per vedere il loro padre putativo è incredibile, tanto che il centro commerciale deve aprire le porte perché non ci stanno tutti. Do il cambio al mio socio e inizio a barcollare lentamente verso le casse con la bava alla bocca e le mani avanti a penzoloni. I posti disponibili in sala si assottigliano sempre di più. Kim Newman vaga meditabondo attorno alle casse. Arrivo al traguardo alle 20:20 quando Romero è già stato rimesso in frigo e Argento riportato al museo e ci dobbiamo accontentare dei biglietti in terza fila per il dittico italiano composto da The Gerber Syndrome (Maxì Dejoie) e Morituris (Raffaele Picchio).

Innegabile un po’ di polemica, perché non era possibile non preventivare una simile risposta di pubblico a un sabato sera con Romero: aprire le casse un po’ prima (di certo non alle 19 quando lo spettacolo inizia alle 20!) e offrire un altro paio di proiezioni sul programma avrebbe permesso a tutti di beccarsi almeno un cazzo di film. Dietro di noi, infatti, la fila non accenna a diminuire e probabilmente continua in Slovenia. E noi rischiamo di impazzire.


Alle 22:00 affrontiamo il primo, un mockumentary del quale non eravamo pienamente convinti, probabilmente a causa di un Romero mancato e dell’etichetta Made in Italy appiccicata sopra. Con un budget di 20.000 euro il regista racconta però credibilmente l’evolversi di una nuova malattia che trasforma in simil-zombie rincoglioniti. E così, dopo The Gerber Syndrome e il film dei Manetti Bros, forse un po’ di speranza per un certo cinema italiano c’è ancora. Sicuramente non ancora competitivo, ma che comunque ci sta provando e ha ancora qualcosa da dire.

Ci crediamo fino alle ore 00:30, quando arriva il momento del film Evento Speciale Nocturno, che nelle edizioni passate del Festival aveva portato sullo schermo, grazie a Manlio Gomarasca, un prodotto interessante come Frontièr(s) e il capolavoro di Pascal Laugier, Martyrs. Quest’anno tocca invece a una pellicola nostrana, diretta da Raffaele Picchio per la sceneggiatura di Gianluigi Perrone, presente in sala e già conosciuto in casa Nocturno per le sue recensioni. Dopo due film italiani godibili (incredibile!), nonostante la stanchezza e la rabbia che non se ne va, incrociamo le dita per quello che è stato definito come un film crudo e cupo, violento e oltraggioso, un puro film nocturniano, qualsiasi cosa voglia dire.

Alle due di notte, a spettacolo finito, moriturati dalla capolavorosità del film di Picchio, le bestemmie si sprecano, ma a risollevarci il morale ci sarà Kim Newman che, presente in sala, sorride sornione sotto i baffoni. Per un approfondimento di Morituris ci si ritrova tra qualche giorno con il dossier apposito. [Crescizz]

5 commenti:

  1. Ah ah ah... ricordo io e il Corà in attesa del Romero sul retro dopo una "soffiata". :D

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  2. Avete fatto di Kim Newman lo zimbello del Cinecity. Vergogna! Non si fa così coi bambini che hanno problemi di ormoni!

    P.S. Corà incacchiatissimo, non credo sia una condizione plausibile...

    P.P.S. Vogliamo la foto delle mutande!

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  3. @ Valentino: vero, cazzo, al freddo, in balia della bora, come idioti a fare slalom tra i motorini per una soffiata della minchia! XD

    @ Cyb: ma come, Kim Newman è il nostro eroe! :D
    E comunque, ebbene sì, ero incacchiatissimo, e la foto delle mutande io non voglio vederla! ;)

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  4. @Simone: ci sono un pò di errori di sintassi, minkione, hai editato da cani, e io che mi fidavo di un editor professionista!
    Peccato che "il russare" non viene in foto, altrimenti avrei fatto scatti memorabili!
    @Cyb: era davvero arrabbiato parecchio, che vuol dire che gli angoli della bocca erano curvati all'ingiù e la fronte presentava lievi increspature.
    Mi dispiace per le mutande, accontentati della foto col cavallo, dai :)

    crescizz

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  5. Ma quali errori, tu dovevi editare, io mi sono fidato, impostore!

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