Tra dramma sociale e possession demoniaca,
un film che ha qualcosa da dire
Prima recensione dell’anno con l’ultimo
horror visto nel 2015, si inizia bene perché è giusto partire carichi, poi nei
prossimi giorni, mentre il 2016 comincia a ingranare, mi dedico a qualche
recupero degli anni scorsi. Via.
Questo bisogno di affrontare temi
difficili e mostruosamente delicati che attraversa parecchio cinema
indipendente, potrebbe essere sinonimo di quell’altezzosità che a volte è facile
attribuire a un qualche branco di autori interessati forse a far parlare più di
se stessi che delle loro creazioni.
Nell’horror è per fortuna cosa ancora
strana e di complicata manipolazione, chi si muove nell’indie non ha di solito
mezzi e risorse per dare forma alle sue visioni e di certo non ha quel
carattere per mettere insegnamenti o pensieri distillati davanti alle più
oneste carnosità mostruose che si tenta di plasmare, ma se per un The Babadook è giusto inchinarsi di
fronte a un pensiero profondo e altissimo è ben più normale fronteggiare opere
sbilenche come Some Kind of Hate,
dove le argomentazioni viscerali sono trattate con quell’inflessibilità che
rischia di spezzare un film ancora troppo rigidino ed esile per sopportarla.
Anguish, a
partire dal titolo, mette subito sul tavolo tutte le sue intenzioni, e a
tratteggiare la quotidianità di una famiglia a pezzi non lesina certo sui
dolori e sulle molte problematicità. L’adolescente Tess è affetta da disturbi
mentali non del tutto chiari e curabili, sua madre è molto giovane e forse
rimpiange una vita più semplice e normale che, con un marito soldato in
missione all’estero, ora non può avere: su di lei ricade ogni responsabilità e
quando le crisi di Tess si fanno più frequenti e importanti non sa dove
sbattere la testa.
Sonny Mallhi non è l’ultimo arrivato ma
tra varie produzioni e una manciata di sceneggiature poco interessanti non
appare di certo come garanzia sufficiente per dipingere simili tragedie, e
invece ciò che riesce meglio, almeno in questa prima parte del film, è cosa
difficilissima come la naturalezza con cui emerge il caos di una famiglia
povera americana, dedita a ogni tipo di stereotipo culturale: nell’esercito
lui, molto credente lei, hanno avuto una figlia quand’erano poco più che
adolescenti.
Ai problemi di ogni giorno (pillole da
prendere, discussioni, il padre lontano che non torna) si sommano quelli nuovi
di Tess, e Mallhi sorprende ancora con una gestione degli eventi soprannaturali
estremamente sottile e ambigua: ogni situazione fuori dalla norma di cui è
protagonista la ragazza potrebbe essere perfettamente giustificabile dalla
malattia che la divora, le cadute, i balzi e le visioni potrebbero nascere
dalla sua mente e non avere alcun riscontro sul (suo) piano reale, e sono circostanze
terribili che la gettano in una confusione e in una paura che da sola non può
gestire.
Questo non significa che si tratti di
esperienze di poco conto o, peggio, legate a visività già espresse negli
infiniti film a tema demoniaco: con una regia deliziosa, lenta, sofferta e
molto accorta Mallhi crea alcune sequenze di inquietante meraviglia con zero
elementi.
Si priva degli improvvisi sbalzi di volume
come vorrebbe certo cinema di genere, rallenta il montaggio evitando tagli
bruschi e feroci, e dilata l’angoscia sviluppando l’orrore con le stesse
caratteristiche della quotidianità. L’ombra che insegue Tess al capanno o la
forza che di colpo la scaraventa a terra sono momenti inaspettati e che
colpiscono lasciando ferite che guariscono male, l’infezione si propaga e,
nonostante Anguish diventi nella
seconda metà un film propriamente horror, abbandonando non so quanto
volutamente l’equilibrio precedente, continua a mettere a disagio con scene
forti e, sebbene classiche nella direzione narrativa, visivamente stimolanti.
E questo grazie a un uso del sonoro anomalo,
molto più violento e scomodo dell’ordinario, quasi perforante nel martellare la
testa così come Tess picchia la fronte sulle pareti.
Il cinema di Mallhi sembra essere fatto
solo di accenni, di piccole porzioni, segmenti che creano un prodotto personale
e che in parte si distanzia dalla comune possessione cinematografica. Ogni
frammento è motivato da scelte utili a costruire un personaggio complesso
eppure umano, anche quando dentro il suo corpo sembra esserci ben altro.
Gli interventi musicali dal sapore folk e
le lunghe scene sullo skate ridefiniscono Tess nonostante l’inferno che la
distrugge, e sebbene gli altri personaggi forse vengano strumentalizzati per
narrare la storia, privandoli di quegli aspetti più profondi che apparivano
nella prima metà, Anguish trasmette
sino in fondo disagio e malessere, trovando nella chiusura (l’inevitabile
“tratto da una storia vera”, che in parte ridimensiona intenti e capacità)
l’unico vero tasto dolente.
0 commenti:
Posta un commento