Tipo un noioso lunedì d’ufficio. Però con
i vampiri.
Immagino che un titolo sia importante. Per
me lo è. Presenta, dà significato, invita, suggerisce. Bloodsucking Bastards non è un bel titolo. Anzi, dài, diciamolo, è
un titolo di merda, perché pur presentando, dando significato e suggerendo
l’argomento che verrà trattato, non è che propri inviti alla visione.
Nella bolgia di produzioni indipendenti
non c’è niente di più di una carta velina a dividere le cose quantomeno
discrete dalle trucidate ustionanti, e di solito il trailer aiuta in un minimo
di orientamento, direziona quanto basta per fidarsi o meno. Il problema è che
il trailer di Bloodsucking Bastards è
pure piacevole, ma con un ticket del genere c’è il rischio di giocarsi parecchi
ingressi, che poi, per carità, Brian James O’Connell e truppa recuperano facili
con il pubblico più giovane, che in fondo è quello a cui vogliono mirare, senza
però rendersi conto che la comicità che propongono è parecchio superiore a
quello che si può vedere in una horror comedy qualsiasi post Shaun of the Dead, e che quindi una maggior
finezza non avrebbe fatto male. Sembra più che altro che cerchino tutti di
infilare un piede in due scarpe, anche se non ci sarebbe motivo di farlo.
Ma le cose di marketing (o, boh, magari è
solo una valutazione infelice, eh) non sono affare mio, io mi limito a guardare
i film e scrivere di quelli che mi piacciono, e si dà il caso che Bloodsucking Bastard mi sia piaciuto.
Il modulo da compilare per queste operazioni
è in genere elementare, servono una tipologia di mostri (meglio se classici,
vedi la sterminata zombologia comica degli ultimi anni) e un protagonista
sfigato a cui far inseguire un amore impossibile.
Le varianti sono poche e di solito non
molto incisive, capita magari che ci sia il badass di turno che macina ironia
tamarra o che il protagonista sia un poco più intelligente della media, ma il
loser è un leader abbastanza significativo che si presta alla più classica
scalata comportamentale per sconfiggere il nemico e conquistare il cuore della
bella.
In fondo è una storia che si scrive da
sola e a dirla tutta non c’è niente di male nel ripresentarla ancora una volta,
l’importante è che ci sia una struttura solida quanto basta per non farla
precipitare nel baratro più buio di queste produzioni a catena: io non sono
contrario a nulla, do una possibilità a tutto (o quasi) e pure questo sottogenere,
che tanta infelicità mi ha fatto soffrire negli ultimi, trovo abbia anche senso
di esistere se solo chi lo fa seguisse, per esempio, i canoni che si sono
imposti gli autori di Bloodsucking
Bastards.
Qual è il modo migliore per rafforzare una
storia vista mille volte? Tagliare il superfluo, limare gli spigoli, spremere a
fondo, spingere laddove gli altri si sono fermati, proporre quindi una sequenza
di gag comiche (in questo caso) che porti il prodotto sempre più vicino a
un’ipotetica perfezione. Che, sì, è una cavolata bella grossa da scrivere, la
perfezione non è una concretezza irraggiungibile e, se lo fosse, i capostipiti
avrebbero tagliato il traguardo da parecchio, ma identifica bene quello che un
autore, nell’approcciarsi a simili ibridi, dovrebbe fare per uscirne con qualcosa
che non solo si possa vedere, ma anche consigliare con un certo sorriso sulla
bocca.
O’Connell e la ciurma di dodici mani alla
sceneggiatura (molte delle quali appartengono anche al cast) vengono dalla
commedia e si vede, tempi e battute sono sempre ficcanti, la rapidità di
esecuzione è martellante e non viene sbagliato un colpo nella sparatoria comica
presentata sin nei primi minuti. La carta migliore di Bloodsucking Bastards è sicuramente il surrealismo della
situazione: la minaccia vampirica viene accettata con un ingegno molto diverso
rispetto a quello sfruttato dai colleghi, l’orrore non esplode piano
contagiando la realtà e calando progressivamente gli eroi in una lotta
inevitabile, qui il soprannaturale arriva improvviso e con la stessa velocità
(di reazione e di risposta) viene combattuto.
Ci sono i vampiri? Okay, let’s fight.
È complice un certo taglio demenziale, il
tono esagerato di alcune espressioni o la definizione strampalata e sopra le righe dei colleghi di Evan
(che sono forse la cosa migliore di tutto il film perché sono tanti e tutti delineati
da un aspetto comportamentale, non si limitano a essere un solo amico, c’è
un’intera squadra a fare casino) ha poco di realistico ma è così ben integrato
nel contesto che diventa forza vera e propria della pellicola.
Il modo in cui Tim scopre l’esistenza dei
vampiri e i flashback assurdi usati per raccontarlo, o la semplicità con cui
viene spiegata l’anomala politica aziendale al centro della vicenda, sono
esempi illuminanti di come una traccia banale possa in realtà essere
incredibilmente brillante se a risaltare sono i dettagli e in generale quegli
elementi giocoforza in ombra nei film gemelli usciti in precedenza.
Se le horror comedy in passato si sono
soffermate sulla simpatia della trama (chi con più intelligenza, chi con
maggior abilità di scrittura, chi semplicemente copiando gli altri) perché la
storia-tipo non aveva ancora raggiunto lo standard che poi chiunque avrebbe
riutilizzato, qui invece O’Connell può esprimersi con un montaggio forsennato
che amplifica le risate, inspessisce personaggi già idoli, si concentra sulle
parentesi personali o comunque sulle caratteristiche di ognuno di loro, e
automaticamente la storia principale (che, ripeto, è uguale a quella di Shaun of the Dead, solo ambientata in un
ufficio e con meno accento british) regge bene seppur sia ampiamente e
volutamente prevedibile dal primo secondo.
Poi, chiaro, ci sono ancora impurità che
dovevano venir rimosse, ci sono alcuni abbagli nel rispettare per forza i
canoni ideali (lui sfigato e lecchino dei superiori e lei così bella da essere inaccessibile
è una coppia che non può esistere in una realtà d’ufficio arrivista come quella
descritta nel film) e spesso si va dritti senza dare motivazioni o comunque
qualche idea cerebrale dietro le intenzioni dei personaggi, che sembrano
perlopiù agire in una sorta di unità collettiva per spingere la trama e
generare risate.
Ma non importa, la cadenza bizzarra copre
tutto e crea buoni ponti dove le buche interrompono la strada narrativa (penso
alla lunga battaglia conclusiva, che succede perché sì e non ha bisogno di spiegazioni perché altrimenti il
gioco comico non funzionerebbe), e il gore abbondante quando i vampiri
finalmente rivelano le proprie intenzioni (quando muoiono i vampiri esplodono,
cosa si può chiedere di meglio per esagerare?) soddisfa quella sete più horror
che il trucco sempliciotto (fin troppo simile ai succhiasangue de Dal tramonto all’alba) per un momento
aveva fatto temere il peggio.
Quindi Bloodsucking
Bastards è un film di personaggi e battute con un ritmo pazzesco, che non
va mai in profondità come forse avrebbe potuto per dare più rotondità alla vera
e propria commedia perché se ne frega, mira a una risata diversa e per il
momento non ancora prodotta, e se proprio sbaglia (e capita, eh) infarcisce le
lacune di belle spruzzate splatter che, unite alla splendida leggerezza
generale, ne fanno una girandola di sparatoria semidemenziali che, da questo
momento, dopo l’ottimo Grabbers di un paio d’anni fa, che era riuscito a
distinguersi per un’ironia alcolica davvero irraggiungibile, diventa
probabilmente il nuovo standard nonché metro di paragone delle horror comedy.
Grabbers a suo tempo è piaciuto pure a me, questo lo segno.
RispondiEliminaGrabbers è stato un piccolo miracolo, impossibile non volergli bene. Rispetto a quello, che era più commedia a cifra tonda con aggiunta di alieni e tentacoli, BB è più demenziale e folle e per certi versi ben più originale nella messa in scena e nella costruzione delle gag. :)
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