Diciamolo subito e senza mezzi termini: di “perfect”, questo secondo Gantz, non ha proprio un cazzo.
Dopo l’ottimo film precedente, non solo rispettoso del manga ma valido di per sé, con un’esaltante e maestosa messa in scena, la seconda parte del dittico cinematografico tratto dall’omonimo manga è estremamente confusa e soporifera. Ed è strano, perché a scrivere la sceneggiatura abbiamo il mangaka in persona, proprio lui, il grande Hiroya Oku. I motivi per cui Oku scelga di intraprendere un percorso che si distacca quasi in toto dalla sua creatura cartacea sono chiari, e piace questa idea di un progetto filmico che in qualche modo, date le stesse basi del fumetto, narri una storia alternativa comprensiva di un finale che, ai lettori dell’opera originale, chissà quando verrà fornito. In realtà, diciamo noi fan maligni, dato che nemmeno lui sa ancora come finirà esattamente il suo fumetto, ha imbastito uno spin-off cercando di dargli senso compiuto ed evitando spoiler.
Operazione riuscita maluccio.
Gantz: Perfect Answer prosegue con le avventure di Kei Kurono, guerriero da tempo imprecisato alla mercé di Gantz, che combatte alieni dalle fattezze più strampalate. Nel frattempo, un investigatore privato cerca di far luce sulla misteriosa devastazione, dal giorno alla notte, di alcune aree di Tokyo, e alcuni possessori di piccole sfere nere pare siano disposti a tutto pur di entrare nella strana stanza in cui dimora Gantz.
Se il primo film si bilanciava bene tra scene della vita quotidiana dei protagonisti e le battute di caccia aliene, questo secondo episodio non riesce a gestire le due parti, dando troppo spazio a entrambe in un interminabile polpettone sentimentalcatastrofico. Ci troveremo davanti ad una lentezza sfiancante quando Kei avrà a che fare con la sua fidanzata e saremo in balia di lunghissime scene d’azione appena i nostri eroi affronteranno i combattimenti per ordine di Gantz. L’alone di mistero che permeava il precedente capitolo viene spazzato via, da una parte a causa delle assurde pistolettate che in confronto John Woo è un dilettante (il comunque impressionante scontro in metropolitana, trenta minuti di sparatorie, duelli di spada e arti marziali prive di leggi fisiche), dall’altra dalle troppe informazioni vaganti che sembrano dover coprire buchi di sceneggiatura, che lo stesso Oku si trascina dietro dal suo manga e che di certo non può risolvere in un contesto ancora più ostico come quello cinematografico (piccole sfere nere, doppioni cattivi, liquidi misteriosi, fusione di un piano temporale vita-morte poco chiaro).
Ne nasce una noiosissima epopea senza fine con dialoghi spesso infantili e personaggi che si muovono senza alcun senso, scegliendo ora una direzione per poi tornare sui loro passi senza un motivo appropriato, ora un comportamento che subito dopo non rispetteranno per ragioni note solo a loro, il tutto su uno scenario apocalittico che pare apparso dal nulla. Anche la regia di Sato è molto meno ispirata, e sa alla tragica sceneggiatura di Oku poteva rispondere con combattimenti esaltanti, il suo miracoloso tocco dinamico, dopo una buona prima metà, si spegne progressivamente limitandosi a filmare banali, estenuanti scontri eroe vs cattivo totalmente privi di appeal visivo (niente più mostri, niente più strane creature aliene, niente più statue che prendono vita) e di un’accattivante coreografia, legati come sono a un insopportabile sentimentalismo tipicamente orientale. Tremenda infine la parte conclusiva, con gente che si mitraglia a due metri di distanza senza che nessuno venga mai colpito e personaggi moribondi che si rialzano SEMPRE.
Si salvano gli attori, decisamente calati nel ruolo, e gli effetti speciali, riusciti a livello tecnico ma utilizzati in maniera spropositata con disastrosi effetti catastrofistici.
Restiamo in attesa di conoscere come e se finirà l’opera originale, e se l’ultima scena del film coinciderà con l’ultima tavola del maestro Oku (un realtà un twist assai prevedibile e soprattutto spiegato male) ma per saperlo dovremo attendere anni e anni, vista la cadenza annuale con la quale viene pubblicato il manga.
Dopo l’ottimo film precedente, non solo rispettoso del manga ma valido di per sé, con un’esaltante e maestosa messa in scena, la seconda parte del dittico cinematografico tratto dall’omonimo manga è estremamente confusa e soporifera. Ed è strano, perché a scrivere la sceneggiatura abbiamo il mangaka in persona, proprio lui, il grande Hiroya Oku. I motivi per cui Oku scelga di intraprendere un percorso che si distacca quasi in toto dalla sua creatura cartacea sono chiari, e piace questa idea di un progetto filmico che in qualche modo, date le stesse basi del fumetto, narri una storia alternativa comprensiva di un finale che, ai lettori dell’opera originale, chissà quando verrà fornito. In realtà, diciamo noi fan maligni, dato che nemmeno lui sa ancora come finirà esattamente il suo fumetto, ha imbastito uno spin-off cercando di dargli senso compiuto ed evitando spoiler.
Operazione riuscita maluccio.
Gantz: Perfect Answer prosegue con le avventure di Kei Kurono, guerriero da tempo imprecisato alla mercé di Gantz, che combatte alieni dalle fattezze più strampalate. Nel frattempo, un investigatore privato cerca di far luce sulla misteriosa devastazione, dal giorno alla notte, di alcune aree di Tokyo, e alcuni possessori di piccole sfere nere pare siano disposti a tutto pur di entrare nella strana stanza in cui dimora Gantz.
Se il primo film si bilanciava bene tra scene della vita quotidiana dei protagonisti e le battute di caccia aliene, questo secondo episodio non riesce a gestire le due parti, dando troppo spazio a entrambe in un interminabile polpettone sentimentalcatastrofico. Ci troveremo davanti ad una lentezza sfiancante quando Kei avrà a che fare con la sua fidanzata e saremo in balia di lunghissime scene d’azione appena i nostri eroi affronteranno i combattimenti per ordine di Gantz. L’alone di mistero che permeava il precedente capitolo viene spazzato via, da una parte a causa delle assurde pistolettate che in confronto John Woo è un dilettante (il comunque impressionante scontro in metropolitana, trenta minuti di sparatorie, duelli di spada e arti marziali prive di leggi fisiche), dall’altra dalle troppe informazioni vaganti che sembrano dover coprire buchi di sceneggiatura, che lo stesso Oku si trascina dietro dal suo manga e che di certo non può risolvere in un contesto ancora più ostico come quello cinematografico (piccole sfere nere, doppioni cattivi, liquidi misteriosi, fusione di un piano temporale vita-morte poco chiaro).
Ne nasce una noiosissima epopea senza fine con dialoghi spesso infantili e personaggi che si muovono senza alcun senso, scegliendo ora una direzione per poi tornare sui loro passi senza un motivo appropriato, ora un comportamento che subito dopo non rispetteranno per ragioni note solo a loro, il tutto su uno scenario apocalittico che pare apparso dal nulla. Anche la regia di Sato è molto meno ispirata, e sa alla tragica sceneggiatura di Oku poteva rispondere con combattimenti esaltanti, il suo miracoloso tocco dinamico, dopo una buona prima metà, si spegne progressivamente limitandosi a filmare banali, estenuanti scontri eroe vs cattivo totalmente privi di appeal visivo (niente più mostri, niente più strane creature aliene, niente più statue che prendono vita) e di un’accattivante coreografia, legati come sono a un insopportabile sentimentalismo tipicamente orientale. Tremenda infine la parte conclusiva, con gente che si mitraglia a due metri di distanza senza che nessuno venga mai colpito e personaggi moribondi che si rialzano SEMPRE.
Si salvano gli attori, decisamente calati nel ruolo, e gli effetti speciali, riusciti a livello tecnico ma utilizzati in maniera spropositata con disastrosi effetti catastrofistici.
Restiamo in attesa di conoscere come e se finirà l’opera originale, e se l’ultima scena del film coinciderà con l’ultima tavola del maestro Oku (un realtà un twist assai prevedibile e soprattutto spiegato male) ma per saperlo dovremo attendere anni e anni, vista la cadenza annuale con la quale viene pubblicato il manga.
Beh, anche il manga è un po' prevedibile...
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