Nove cortometraggi di cosmic horror, prodotti
dalla miglior rivista del settore, Rue Morgue. Check it out.
La domanda che mi pongo è questa: a chi servono
questi nove cortometraggi? O meglio, riformulo in maniera più precisa: esiste
un pubblico, al di là degli stessi autori, interessato a simili, minuscoli
lavori?
A differenza delle molte antologie uscite negli
ultimi anni, Galaxy of Horrors non
prova nemmeno a mascherare l’operazione di raccolta con una facciata di maggior
professionalità, che quantomeno diluisca l’impatto di una presentazione
inevitabilmente amatoriale. I vari cortometraggi sono prodotti indipendenti
l’uno dall’altro anche nel mero aspetto introduttivo, annacquando ancora di più
la compattezza del progetto. Diciamo che senza l’apporto di Rue Morgue in fase
di produzione e un trailer furbetto che compone immagini e parole che su di me
hanno sempre un grande fascino (come si può resistere a COSMIC HORROR?), avrei
evitato l’opera senza una briciola di dispiacere, ma in fondo sarebbe stato uno
sgradito errore.
Galaxy
of Horrors non è un gran prodotto, è
scarno, povero e dai mezzi tecnici limitatissimi, ma non è un caso che ci sia
lo zampino della grande rivista canadese, perché ciò che traspare dietro tutta
questa economia tra horror e fantascienza è per fortuna la cosa più importante:
l’idea. Non tutti i pezzi mantengono la stessa qualità, ma in generale c’è un
bel susseguirsi di spunti carnosi e sanguinolenti per i quali vale la pena
spendere giusto qualche parola. E allora via.
Eden
è un’interessante e violenta descrizione di una
distopia sull’orlo della catastrofe, con qualche bel tocco di personalità
attraverso alcune inquadrature in prima persona che immedesimano nel contesto
come in un videogame. Un po’ confuso e disorientante, ma che arriva dritto in
fondo come un proiettile.
Iris cerca la via della tecnologia non troppo
futuribile come insegna Black Mirror,
attraverso un’app che segue, commenta e ostacola un killer alle prese con
l’eliminazione di un cadavere. Un po’ sciocchino e banale nei dialoghi, ma c’è
un sarcasmo intrigante e una bella conclusione sanguinosa.
Con Flesh
Computer siamo dalle parti del vecchio Cronenberg, con uno strano blob
organico di carne e circuiti in grado di generare la vita. Buoni gli effetti e
notevole il setting, peccato per un’esagerazione di inutili ricerche in
computer grafica e sbrodolamenti narrativi che allungano senza motivo il corto.
La lunghezza ostacola un po’ anche Pathos, anche se in misura differente.
Avanti tutta nel futuro più lontano con una società che imprigiona i suoi
abitanti e li costringe a comprare pacchetti sensoriali per provare l’unica
realtà possibile, quella virtuale. Si gioca bene con l’ansia e con un
bell’aspetto visivo che richiama il cyberpunk anni Novanta, notevoli il
macchinario semovente e l’impatto pubblicitario, ma qualche minuto in meno
avrebbe giovato e reso meno ripetitiva la storia.
Eveless è il più corto, un bell’esempio di controllo di
idee, svolgimento e immaginario, con una società priva di donne dove sono gli
uomini a partorire. Cruento e ben costumato, probabilmente il più interessante
del lotto.
They
will all die in space è una cosina un
pelo più ambiziosa del resto, e il bianco e nero sottolinea questo aspetto, ma
non è solo estetica in quanto abbiamo a che fare con un piacevole incubo tra
derive spaziali e criostasi danneggiate.
Di Entity
bisogna premiare una visione artistica deliziosa, capace di ottenere il massimo
con il poco a disposizione. Ma tolta la grande esuberanza visiva, manca forse una
maggior pulizia narrativa che definisca meglio il progetto.
Bellino infine Kingz, un lavoro di qualche anno che
si ritrova qui un po’ casualmente, è una sci-fi piacevole e accattivante
diretta Benni Diez, quello di Stung. Ma
niente di più.
Chiudo con il segmento che collega i vari corti,
un’idea carina e simpatica capitanata da un personaggio e un attore fuori parte
ma incredibilmente buffi nel subire la tortura che innescata da un’intelligenza
artificiale.
Alla fine non si può aggiungere molto altro, sarebbe
ingrato andare più in profondità. Sono prodotti piacevoli solo in virtù delle
risorse limitate, e va bene così. Questa quindi è più una segnalazione che una recensione, via,
con l’augurio a questi giovani registi di avere la possibilità di fare grandi
cose in futuro.
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