Galaxy of Horrors (2017)

By Simone Corà | lunedì 3 aprile 2017 | 08:55

Nove cortometraggi di cosmic horror, prodotti dalla miglior rivista del settore, Rue Morgue. Check it out.                                                                                                       

La domanda che mi pongo è questa: a chi servono questi nove cortometraggi? O meglio, riformulo in maniera più precisa: esiste un pubblico, al di là degli stessi autori, interessato a simili, minuscoli lavori?
A differenza delle molte antologie uscite negli ultimi anni, Galaxy of Horrors non prova nemmeno a mascherare l’operazione di raccolta con una facciata di maggior professionalità, che quantomeno diluisca l’impatto di una presentazione inevitabilmente amatoriale. I vari cortometraggi sono prodotti indipendenti l’uno dall’altro anche nel mero aspetto introduttivo, annacquando ancora di più la compattezza del progetto. Diciamo che senza l’apporto di Rue Morgue in fase di produzione e un trailer furbetto che compone immagini e parole che su di me hanno sempre un grande fascino (come si può resistere a COSMIC HORROR?), avrei evitato l’opera senza una briciola di dispiacere, ma in fondo sarebbe stato uno sgradito errore.
Galaxy of Horrors non è un gran prodotto, è scarno, povero e dai mezzi tecnici limitatissimi, ma non è un caso che ci sia lo zampino della grande rivista canadese, perché ciò che traspare dietro tutta questa economia tra horror e fantascienza è per fortuna la cosa più importante: l’idea. Non tutti i pezzi mantengono la stessa qualità, ma in generale c’è un bel susseguirsi di spunti carnosi e sanguinolenti per i quali vale la pena spendere giusto qualche parola. E allora via.

Eden è un’interessante e violenta descrizione di una distopia sull’orlo della catastrofe, con qualche bel tocco di personalità attraverso alcune inquadrature in prima persona che immedesimano nel contesto come in un videogame. Un po’ confuso e disorientante, ma che arriva dritto in fondo come un proiettile.
Iris cerca la via della tecnologia non troppo futuribile come insegna Black Mirror, attraverso un’app che segue, commenta e ostacola un killer alle prese con l’eliminazione di un cadavere. Un po’ sciocchino e banale nei dialoghi, ma c’è un sarcasmo intrigante e una bella conclusione sanguinosa.
Con Flesh Computer siamo dalle parti del vecchio Cronenberg, con uno strano blob organico di carne e circuiti in grado di generare la vita. Buoni gli effetti e notevole il setting, peccato per un’esagerazione di inutili ricerche in computer grafica e sbrodolamenti narrativi che allungano senza motivo il corto.
La lunghezza ostacola un po’ anche Pathos, anche se in misura differente. Avanti tutta nel futuro più lontano con una società che imprigiona i suoi abitanti e li costringe a comprare pacchetti sensoriali per provare l’unica realtà possibile, quella virtuale. Si gioca bene con l’ansia e con un bell’aspetto visivo che richiama il cyberpunk anni Novanta, notevoli il macchinario semovente e l’impatto pubblicitario, ma qualche minuto in meno avrebbe giovato e reso meno ripetitiva la storia.


Eveless è il più corto, un bell’esempio di controllo di idee, svolgimento e immaginario, con una società priva di donne dove sono gli uomini a partorire. Cruento e ben costumato, probabilmente il più interessante del lotto.      
They will all die in space è una cosina un pelo più ambiziosa del resto, e il bianco e nero sottolinea questo aspetto, ma non è solo estetica in quanto abbiamo a che fare con un piacevole incubo tra derive spaziali e criostasi danneggiate.
Di Entity bisogna premiare una visione artistica deliziosa, capace di ottenere il massimo con il poco a disposizione. Ma tolta la grande esuberanza visiva, manca forse una maggior pulizia narrativa che definisca meglio il progetto.
Bellino infine Kingz, un lavoro di qualche anno che si ritrova qui un po’ casualmente, è una sci-fi piacevole e accattivante diretta Benni Diez, quello di Stung. Ma niente di più.
Chiudo con il segmento che collega i vari corti, un’idea carina e simpatica capitanata da un personaggio e un attore fuori parte ma incredibilmente buffi nel subire la tortura che innescata da un’intelligenza artificiale. 

Alla fine non si può aggiungere molto altro, sarebbe ingrato andare più in profondità. Sono prodotti piacevoli solo in virtù delle risorse limitate, e va bene così. Questa quindi è più una segnalazione che una recensione, via, con l’augurio a questi giovani registi di avere la possibilità di fare grandi cose in futuro.

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