Regia: Takashi Miike
Sceneggiatura: Ichiru Ryu
Pazzo, slegato da chiunque, il criminale Ryuichi tenta di scalare la gerarchia malavitosa con ogni suo mezzo a disposizione. Pianificato un attacco ai danni dei signori della mafia cinese e giapponese, soltanto il detective Jojima è in grado di contrastarlo.
Con i cinque minuti iniziali, Dead or Alive mostra con disumana, precisa, ordinatissima, sporca e brutale messinscena l’intera poetica di Takashi Miike, forse mai così a suo agio nel riassumere i suoi malati temi prediletti, un’incontenibile escalation di violenza, sesso e pallottole volanti che disorienta grazie a un indiscutibile, impressionante rigore narrativo. Un prologo di stupefacente soffocamento visivo che, assieme ai cinque minuti dell’assurdo epilogo, basterebbe per un applauso interminabile. Nel mezzo, Dead or Alive non è forse la pellicola che meglio racconta l’amore di Miike per le yakuza-story – ma intendiamoci, siamo davanti a un gangster movie solido, ottimamente congegnato, scritto con sicura padronanza di mezzi e tempistiche, che però non fuoriesce da certi schematismi come l’arrampicata per raggiungere la vetta del mondo criminale, la rivalità carismatica di un esponente del bene e di uno del male quando essi stessi mostrano ombre o spicchi di luce, vendette trasversali tra eleganti delinquenti e problemi personali di un poliziotto alcolizzato…
Diversamente da quanto farà con l’insolito sequel, Miike dirige con asciutta seriosità la vicenda, cerca e trova un crudo, divinamente eccessivo realismo tanto nello stile dettato dai numerosi piano sequenza, quanto nella fotografia opaca, con un che di vintage, se vogliamo. Scarno ma efficiente, spigoloso ma intenso, Dead or Alive, nella sua complessa semplicità, gronda sangue e crudeltà all’interno di un tunnel nero, pessimista, senza speranza. Potrebbero quindi risultare illogici e indigesti i cinque minuti conclusivi, dove l’epocale genio di Miike sommerge tutto e tutti in una chiusa fenomenale, irripetibile, impareggiabile, ma siamo dalle parti di vera e propria storia del cinema per coraggio, idee, estremismo. Non accettare il finale significherebbe non accettare l’ingegno di Miike, e questo sarebbe un gran peccato.
Recensione di Dead or Alive 2: Birds
Recensione di Dead or Alive: Final
Sceneggiatura: Ichiru Ryu
Pazzo, slegato da chiunque, il criminale Ryuichi tenta di scalare la gerarchia malavitosa con ogni suo mezzo a disposizione. Pianificato un attacco ai danni dei signori della mafia cinese e giapponese, soltanto il detective Jojima è in grado di contrastarlo.
Con i cinque minuti iniziali, Dead or Alive mostra con disumana, precisa, ordinatissima, sporca e brutale messinscena l’intera poetica di Takashi Miike, forse mai così a suo agio nel riassumere i suoi malati temi prediletti, un’incontenibile escalation di violenza, sesso e pallottole volanti che disorienta grazie a un indiscutibile, impressionante rigore narrativo. Un prologo di stupefacente soffocamento visivo che, assieme ai cinque minuti dell’assurdo epilogo, basterebbe per un applauso interminabile. Nel mezzo, Dead or Alive non è forse la pellicola che meglio racconta l’amore di Miike per le yakuza-story – ma intendiamoci, siamo davanti a un gangster movie solido, ottimamente congegnato, scritto con sicura padronanza di mezzi e tempistiche, che però non fuoriesce da certi schematismi come l’arrampicata per raggiungere la vetta del mondo criminale, la rivalità carismatica di un esponente del bene e di uno del male quando essi stessi mostrano ombre o spicchi di luce, vendette trasversali tra eleganti delinquenti e problemi personali di un poliziotto alcolizzato…
Diversamente da quanto farà con l’insolito sequel, Miike dirige con asciutta seriosità la vicenda, cerca e trova un crudo, divinamente eccessivo realismo tanto nello stile dettato dai numerosi piano sequenza, quanto nella fotografia opaca, con un che di vintage, se vogliamo. Scarno ma efficiente, spigoloso ma intenso, Dead or Alive, nella sua complessa semplicità, gronda sangue e crudeltà all’interno di un tunnel nero, pessimista, senza speranza. Potrebbero quindi risultare illogici e indigesti i cinque minuti conclusivi, dove l’epocale genio di Miike sommerge tutto e tutti in una chiusa fenomenale, irripetibile, impareggiabile, ma siamo dalle parti di vera e propria storia del cinema per coraggio, idee, estremismo. Non accettare il finale significherebbe non accettare l’ingegno di Miike, e questo sarebbe un gran peccato.
Recensione di Dead or Alive 2: Birds
Recensione di Dead or Alive: Final
me lo son procurato giusto ieri, tra quelli che mancano alla mia "collezione" di Miike, un mio mito :P
RispondiEliminaIo mi chiedo però come si farà mai a completare una collezione di film di Miike, ché se anche ci si riuscisse l'anno successivo lui girerebbe almeno trentanove film, e ci si ritroverebbe al punto di partenza. ;)
RispondiEliminaSono anni che ci provo, ma ogni volta che controllo su imdb spuntano sempre nuovi film, come diavolo farà a essere così prolifico? :)
ah impossibile vederli tutti di quell'ira di dio, scherzi? infatti la parola "collezione" l'ho messa appunto tra virgolette ;-)
RispondiEliminaAhahah! :)
RispondiEliminaChe poi, non contento del cinema, supervisiona pure telefilm lunghissimi, tipo Keitai Sosakan 7, che per vedere solo quello servirebbero mesi. XD
dimenticavo...
RispondiEliminasegnati anche questo: http://robydickfilms.blogspot.com/2011/01/yatterman-movie-yattaman-il-film.html
non ci crederai, ma l'ha fatto lui! e merita
Yattaman film a me ha deluso parecchio.
RispondiEliminaMa la canzoncina da sola merita la visione.
Ian
@ roby: sì, conoscevo il film e avevo già letto la recensione. :)
RispondiElimina@ Ian: a me ispira moltissimo, e visto le ottime cose fatte con Zebraman, sono parecchio fiducioso. :)