Meno Miike e più parole nel terzo live
action sulle mazzate scolastiche
Non amo e sicuramente non conosco
abbastanza il cinema di Toshiaki Toyoda per poterlo apprezzare, il suo è un
approcciarsi rarefatto a mondi di psicologia differente, distante dal
quotidiano, spesso incomprensibile eppure vera, certa e terribile. Cinema
troppo difficile, potrei sbrigarmela così, cinema d’autore e con tendenza
filosofica che da questi parti di solito sfugge per ben più rassicuranti mostri
e frattaglie: mi è bastato Monster Club e le sue poesie allucinate
sull’Una-bomber nipponico, sebbene duri appena 71 minuti solo con gran fatica
sono arrivato alla fine, poi poco altro, giusto spezzoni e trailer, ma no, non
è il mio pane, meglio alzare le mani e arrendersi quando ci sono proposte così
diverse dalle mie geometrie
.
È quindi molto strano il suo accettare il
testimone da Takashi Miike e confrontarsi con il terzo capitolo di una saga di
botte grottesca, metaforicamente distopica e spassosamente adrenalinica come
quella di Crows Zero, che proprio sull’eccesso, sulle urla e su certa
estetica della violenza ha basato la sua forza.
Da uno shonen di combattimento di successo
(Crows di Hiroshi Takahashi, anche sceneggiatore dei tre live action) è
difficile aspettarsi dell’altro, introspezione e dialoghi sono giocoforza
banditi per pugni e calci sempre più folli, e se Miike sa ben giostrarsi nelle
stravaganze matte per divertirsi e divertire, con Toyoda il discorso era
diverso: cosa aspettarsi da un autore più intimo e riflessivo da una storia
dove le scuole sono dominate da baby gang che si ammazzano di botte?
Non ho letto il manga e in generale non ho un gran rapporto con gli shonen, come per il cinema di Toyoda dopo averne provato qualcuno mi sono resto conto che non fanno per me, c'è poco da fare, posso apprezzarne intenti e idee ma un'esecuzione così veloce e furiosa sbatte troppo forte con certi miei limiti. Penso però che simili tracce, soprattutto nei manga di combattimento, siano cross precisi e perfetti per il cinema, passaggi che Miike, nei due Crows Zero, ha saputo trasformare in gol clamorosi, tipo in rovesciata da centrocampo.
Non ho letto il manga e in generale non ho un gran rapporto con gli shonen, come per il cinema di Toyoda dopo averne provato qualcuno mi sono resto conto che non fanno per me, c'è poco da fare, posso apprezzarne intenti e idee ma un'esecuzione così veloce e furiosa sbatte troppo forte con certi miei limiti. Penso però che simili tracce, soprattutto nei manga di combattimento, siano cross precisi e perfetti per il cinema, passaggi che Miike, nei due Crows Zero, ha saputo trasformare in gol clamorosi, tipo in rovesciata da centrocampo.
Ed eccoci al terzo atto, dove, pur mantenendo grossomodo inalterata la
struttura portante e l’irruenza cool dei tanti, tantissimi personaggi, Toyoda
sceglie intelligentemente di non mettere al centro gli scontri, non è il suo
campo, o meglio, sa che Miike ha già dato il massimo ed è inutile affrontarlo
in un terreno dove ne uscirebbe massacrato, li ricama così come brevi stacchi
tra le sessioni parlate per poi riassumerli in una mega rissa finale che è
giusta chiusura sapientemente rimandata per glassare la torta. Non è cosa da
poco avere grazia e maturità per trasformare un film di mazzate in qualcosa
d’altro pur rimanendo estremamente fedele alla linea grezza e irruenta dei due
predecessori, si rischia di distruggere ogni cosa inseguendo chissà quale
spirito avanguardistico: invece Toyoda sa bene come muoversi, utilizza la camera
per carrellate affascinanti e la muove con armonia, evita qualsiasi tipo di
campo e controcampo per una messa in scena spontanea e quasi teatrale, eppure,
nonostante l’eleganza formale e il ritmo rallentato (il film dura 130 minuti,
eh), l’anima guerrigliera non viene intaccata, e le scalate al potere, i
pruriti da spegnere a calci, l’esuberanza giovanile, le rivalse, il rispetto,
l’onore e l’amicizia sono sempre il fulcro della pellicola.
Siamo quindi quasi più dalle parti di un
film di gangster, uno yakuza movie con giochi di politica, pedine che si
spostano per lasciare spazio a pedine più grosse, rivalità fatte più da sguardi
torvi e maturi che da reali capricci giovanili, bisticci e dispetti atti a
frantumare domini e aspirazioni, il tutto naturalmente movimentato dalla
consueta panoramica di fisici e facce esagerate da capelli e smorfie per
rimarcare le origini fumettistiche.
Ma se nei capitoli di Miike il tono
allegro e roboante, alimentato dalle mastodontiche risse che esaltavano quel
senso rock’n’roll del film, era potente, senza freni, una bomba che esplodeva
in continuazione, Crows Explode esplode
poco, si incastra in una sorta di stallo dove si apprezza la bravura nel controllare
la cadenza ma si piange per una minor consistenza rabbiosa: sarà anche colpa di
una sceneggiatura meno burrascosa che in passato, ma i nuovi personaggi difettano
del carisma che Miike aveva iniettato loro direttamente nel cervello, e se a
ciò si aggiunge la drastica riduzione di una ricerca coreografica negli scontri,
risicati a pochi colpi e a poco dolore, si avverte una certa stanchezza quando
si intuisce che la pellicola di Toyoda, alla fine, svolge bene un compitino
seguendo il canovaccio dei due precursori e aggiungendoci giusto un pizzico di
personalità per motivare una firma così anomala.
Il sudore, il sangue, la potenza dell’amicizia,
quella rabbia che detonava nelle continue sfide verbali tra le gang sono adesso
più mosce, meno colorate, sembrano esserci solo perché questo è Crows e questa è la linea da seguire.
Non è un difetto così terribile come può sembrare – sarà una fragorosa e
nostalgica OST rockeggiante, sarà la comunque indomabile impulsività di questi
quindicenni che cercano di ribaltare il loro mondo perché, seppur ciò non abbia
senso, altro non hanno per cui lottare, ma Crows
Explode è divertente e battagliero quanto basta per continuare la saga con
onore.
0 commenti:
Posta un commento