Dal manga pluripremiato, il più sfigato degli ammazzazombie
Il problema principale di I Am a Hero, se così si può dire, è che non può rivaleggiare con Train to Busan, il fratellino orientale nella guerra agli zombie.
Mentre il film di Yeon Sang-ho è una storia
completa, potente, arricchita da personaggi che strappano il cuore, dove gli
zombie sono un piacevole e sanguinoso slancio per l’espressione di un
protagonista memorabile, il live action di Shinsuke Sato si limita a una sola componente
visiva violentissima e travolgente, mettendo in secondo piano i suoi eroi e una
globalità omogena della vicenda. Scelta consapevole o meno, ciò non toglie che I Am a Hero sia comunque una mezza
bombetta, perché di fronte a simili blockbuster, così clamorosi nel coraggio e
nella sfrontatezza con cui insistono sull’aspetto viscerale invece di privarlo
allo spettatore comune, non ci resta che applaudire. E quindi facciamolo.
Va anche detto che I Am a Hero segna in qualche modo un nuovo punto di partenza per i
live action nipponici, o almeno spero possa esserlo: da sempre preconfezionati
per uso e consumo del solo pubblico locale e dei fan più incalliti, costruiti
con poco sperpero di ingegno se non quello per il facile accumulo economico, solo
recentemente si è visto un gradevole assestamento qualitativo che, come vuole la
rispettosa e morigerata cultura giapponese, ha portato a valanghe di viscere e
frattaglie con i due Parasyte e i due
Attack on Titan, rimanendo comunque
parecchio lontani dal bersaglio.
È anche vero che da un cinque-sei anni fanno
cinquemila live action al mese, qualcuno dovrà pur uscire bene: forse è solo
matematica e non bisogna stupirsi, ma io mi lascio sempre trascinare.
Shinsuke Sato ha già la mano calda per il buon Gantz qualche anno fa (meno riuscito ma
comunque godibile il secondo capitolo Gantz: Perfect Answer), che non lesinava su mazzate furiose e furibonde spruzzate
di sangue, è ben più di un mestierante prestanome a cui affidare un film all’anno
(cosa che comunque fa da sempre, vedi il terzo Gantz o i due Library Wars),
quindi non gli viene difficile prendere un manga acclamatissimo da critica e
pubblico (che io non ho letto), caricare il fucile e filmare un headshot dietro
l’altro.
La seconda metà di I Am a Hero è infatti una lunga, goduriosa, brillante bloodbath, un
macello senza fine, un accatastarsi di cadaveri e arti mutilati, un’incessante,
divertentissima strage di zombie. Da questo punto di vista non credo che il
film possa avere rivali, almeno in tempi odierni, perché, nonostante l’accento
simpatico generale stemperi la brutalità delle immagini, non ci sono
concessioni di alcun tipo. Un colpo male assestato con la mazza da baseball fa “solo”
incassare un cranio, una fucilata storta distrugge tutta la parte superiore
della testa lasciando un germogliare di carne e ossa sopra il collo, due dita
premute negli occhi devono scavare a lungo e a fondo prima di poterli togliere:
sono dettagli come questi che fanno la differenza e trasformano il film in una
festa gore davvero incredibile.
Non solo, l’impatto visivo viene addirittura amplificato
dalla profonda trasformazione che comporta il virus mutageno: viso che si
ingrossa, occhi che si gonfiano, sguardi ebeti, movimenti spastici così
esasperati da spezzare ossa e arti pur di raggiungere ciò che l’infetto vuole
ottenere.
Soddisfatto l’appetito sanguinario, I Am a Hero funziona però solo in parte
nell’aspetto puramente narrativo. Abbiamo un protagonista delizioso, schiavo
delle proprie paure e di tragicomici schemi mentali, che da solo fa muovere il
film, ma è difficile trovare qualcos’altro nel party che si viene a creare. Se
l’impianto ironico funziona con battute che esplodono attraverso l’ingenuità di
Hideo, sono proprio i suoi compagni di viaggio, e i nemici incontrati, a non dare
segnali di vita, lasciandolo simbolicamente solo contro gli zombie per tutto il
film.
Manca una proposta femminile con cui
confrontarsi realmente, manca un villain da odiare e combattere, manca a dirla
tutta anche una storia di cui Hideo possa essere davvero protagonista, perché,
nonostante i ben 126 minuti di durata, per carità tutti godibilissimi e a
tratti irresistibili, non vediamo molto più che una singola scena protratta all’infinito,
che chiaramente strizza l’occhio a un, credo abbastanza inevitabile, sequel.
È anche vero che I Am a Hero funziona esclusivamente attorno alla figura del suo
protagonista, è uno one man show e tutto il resto non può che essere accessorio,
ma avrebbe di certo fatto piacere qualche intesa in più che le due ragazze lasciate
sempre sulla difensiva, uno scambio se non equo quantomeno maggiore di idee per
sfangarla all’orda, e magari un bad guy che si comporti come tale per un
qualche tipo di motivazione, e non per il solo ruolo affibbiatogli.
Su, è un gran divertimento, solo un po’ fine a
sé stesso.
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