Tutti in pista per il ballo del
mostro
Non
ho mai capito bene il mondo della techno e, in generale, del ballare.
Ho
dei ricordi abbastanza confusi e pietosi di sabati sera e domeniche pomeriggio
di vent’anni fa, quando l’andare in disco con la cumpa rigorosamente maschile
consisteva più o meno nello stare fermi e guardarsi in faccia con un gin lemon
in mano. O un vodka lemon, quando azzardavo.
Bisogna
dire che in quegli anni avevo i Dream Theater e i Death in testa, erano
interferenze abbastanza pesanti e quindi non ho mai più approfondito il
discorso danzereccio, mollando tutto non appena ne ho avuto la possibilità per buttarmi
a capofitto nelle calde strade della misantropia giovanile.
Tina
invece vive per lo sballo sonoro, per loop potenti e bassi synth che pompano il
ritmo. In fondo è una ragazza come le altre, le piace far festa, ballare,
sbandare per qualche maschietto dai capelli colorati, bere con le amiche e in
generale opporsi ai genitori come qualunque adolescente. Tina soffre anche di
una schizofrenia lieve tenuta a bada da cocktail di farmaci e interventi
psichiatrici, ma anche questo può far parte di un certo disagio giovanile, se
ben inquadrato e curato in tempo.
Il
problema, più che altro, è il mostro che le fa visita di notte. È uno sgorbio
glabro, ingobbito, un nano deforme che fruga nel frigorifero in cerca di cibo e
che in qualche modo sembra legato al suo organismo: se lui si ferisce, lei si
ferisce, se lui sta male, lei sta male.
Der Nachtmahr
potrebbe sembrare un film strambo e grottesco di poco conto, un lavoro
autocompiaciuto di un autore che tenta la strada di certa autorialità con
quella sicurezza arrogante dei giovani arrivisti, in fondo non pare esserci
gran contenuto in un soggetto così trasparente e in apparenza banale nei
simbolismi.
In
realtà si tratta di un’opera complessa, surreale e stratificata, dove Achim Bornhak non si limita mai ad appiattire un semplice schema allegorico legato al
malessere adolescenziale, identificabile nel mostro che appare all’improvviso,
bensì ribalta in continuazione ogni prospettiva e distrugge ogni facile
certezza nel momento stesso in cui sembra confermarla. Il mostriciattolo non è infatti
la proiezione della psicosi di Tori, è una creatura concreta, tangibile, abile
a nascondersi ma visibile a tutti, ed è proprio attorno alla sua esistenza, e
alla necessità di provarla, che la ragazza costruisce questo preciso frammento
di vita.
Questo
coso bruttissimo e dai movimenti assai limitati non è che fulcro della vita
stessa di Tori, per lui la ragazza si mette in gioco e si scardina dalle sue
quotidianità alcoliche e superficiali.
La
rabbia con i genitori, l’impossibilità di controllare il proprio stato
psicofisico, gli scontri con le amiche e le paure che si manifestano in sogni
terribili vengono rese con un’atmosfera febbricitante che lascia spezzo
spiazzati, confondendo realtà e sogno con alcuni degli squarci visivi più
agghiaccianti di quest’anno (la stanza ospedaliera, l’incidente in auto).
Der Nachtmahr è un
lungo incubo che alterna olocausti sonori, dove ogni dialogo viene annullato
dall’incedere assordante della techno, proprio come se i personaggi vivessero
in un rave senza fine, e silenzi disorientanti, privi di alcuna colonna sonora,
dove le difficoltà di Tori vengono evidenziate dalla sua disforia e rimangono
appiccicate per colpa dei colori assurdi della sua camera e per i contrasti che
vengono creati con il biancore delle altre stanze.
Probabilmente
Der Nachtmahr è più bello sulla carta
che sulla celluloide, è ricco di splendide idee disturbanti che forse si
perdono nel ritmo fin troppo rallentato e delirante. Bornhak è colpevole di
indugiare eccessivamente nei rapporti di Tori con le amiche e il ragazzo di cui
è innamorata senza diversificare più di tanto i contenuti dei loro scambi, e
allo stesso modo il taglio quasi documentaristico che ha impresso al film frena
a dismisura gli incontri con la creatura, rendendoli quasi catatonici.
Abbiamo
quindi a che fare un’opera strana e sbilenca, con improvvise impennate furiose
che equivalgono a schiaffoni micidiali stemperate da prolungate parentesi di
nebbia quotidiana. Forse più mirato per un pubblico ricercato che per un
appassionato d’orrore, ma è un film da provare: non credo infatti sia uno di
quei casi in cui si ama o si odia, ha ottimi aspetti e altri parecchio meno, ma
è di sicuro un esperimento interessante e una freccia che punta in alto nel
panorama horror attuale, pur arrivando molto lontana dal centro del bersaglio.
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