Lasciando da parte i lutti che l’hanno infestato
senza tregua da gennaio a dicembre, orrorificamente parlando questi dodici mesi
hanno cercato in tutte le maniere di farsi dimenticare, per fortuna riuscendoci
solo in parte, a discapito degli splendidi ricordi degli anni passati.
Partito alla grande con un periodo iniziale
parecchio ispirato (quattro titoli sui dieci in classifica si sono resi
disponibili tra gennaio e marzo), il 2016 è poi scivolato in un completo
anonimato tra primavera e autunno, prima di un piacevole, anche se tutt’altro
che memorabile, colpo di coda invernale. Quanto meno, il 2016 sarà ricordato
per l’anno degli horror dai paesi meno convenzionali: ci sono un film turco e
uno iraniano, per quanto si tratti tecnicamente di co-produzioni occidentali, a
guidare la classifica, mentre uno coreano, tra l’altro un blockbuster
sbancabotteghini, è probabilmente la più inaspettata e calda sorpresa di
quest’anno strampalato.
Di sorprese negative, in compenso, il 2016 non è
stato affatto avaro. A partire da una concezione mainstream dell’horror ormai
sempre più in avaria, con un Mike Flanagan in corto circuito totale con due
film pessimi su tre (e ricordiamo che Hush
è solo un discreto filmettino), un McLean fagocitato e risputato male dai
produttori e uno Zombie ormai alla frutta, i cinema sono stati dominati dalle
visioni scontate e noiose di un ex prodigio come James Wan (che, non pago del
vergognoso The Conjuring 2, si è
lanciato anche nella produzione di film disastrosamente uguali come Lights Out) e dallo sciocco e razzista The Shallows, trovando per fortuna solo
nel bravo Fede Alvarez (che per la seconda volta sorprende tutti) un motivo per
vedere ancora un buon film del terrore in sala.
In generale, se già dobbiamo convivere con un
divertimento cercato soltanto negli spaventi preconfezionati e a volume
esagerato, sembrano ormai piacere solo prodotti dove storia e personaggi, mai
come nel 2016, non hanno più alcun valore se non quello di una mera
accessorietà fisica. E forse neanche quella.
Metà dei miei film favoriti presenta dei
personaggi meravigliosi raccontati con un calore e una profondità senza
precedenti, e da soli trainano delle storie che riescono anche a sommare delle
ottime intuizioni inquietanti/soprannaturali. Nell’horror di massa targato 2016
non c’è né una cosa né l’altra, e un po’ mi spavento a rendermi conto di non
avere alcuna idea in cosa realmente trovi piacere il pubblico. Perché
probabilmente neanche autori e produttori ce l’hanno, e si limitano a sommare
scene casuali pescando da una ristrettissima iconografia quando, se proprio di
copiare si parla, avrebbero a disposizione un universo sconfinato.
Dall’altra parte del mondo la situazione
dell’horror commerciale è un po’ diversa, a un livello quantomeno concettuale,
dove i classici paletti vengono scaraventati via in favore di bagni di sangue
che il pubblico orientale pare gradire parecchio. Il Giappone produce l’ennesimo
live action ultra splatter, per una volta molto carino (I Am a Hero), e un potentissimo remake (Godzilla Resurgence), mentre la Corea, oltre al mezzo capolavoro di
Train to Busan, fa incetta di soldi e
premi con il sopravvalutato e assai confuso The Wailing, che da noi sembra piacere per il semplice motivo che, se tutti ne
parlano bene, dev’essere bello per forza, ma sfido chiunque a trovare un
significato, una coerenza e un qualche motivo di interesse in queste
insormontabili due ore e mezza.
Il resto è il consueto traboccare di film appena
sufficienti o poco significativi, dove ancora una volta si distingue la Cina
che, ormai sdoganata, produce un fantatiliardo di horror, anche se spesso
tragicomici.
Tornando su terreni a noi più consoni, si può
dire che il 2016 sia stato l’anno dell’abbattimento definitivo di ogni dogana
della decenza: la scena indie ha dimostrato, mai come in questo periodo, che
bastano una telecamera e quattro stronzi per riuscire a produrre un film e a
farlo girare tra festival e torrent searching, vanificando il lavoro di chi
perlomeno cerca di fare qualcosa di sensato. Per un lungo periodo il blog è
sopravvissuto solo grazie a film estremamente mediocri, non c’era altro di cui
scrivere e ho dovuto accontentarmi (e sono comunque riuscito a farmi scappare l’occasione
di parlare di film grossi come Green Room
e Don’t Breathe, shame on me).
Ma anche chi ha esperienza e torna con gran
piacere del fandom, non sembra in realtà avere le idee ben chiare: un film come
Fender Bender, che arriva dopo ben sedici
anni di pausa da The Night Flier,
mostra come Mark Pavia non solo non conosca la scena odierna e il senso dietro
il revival nostalgico, ma anche che non ricordi come costruire una storia o
anche solo un personaggio degno di nota. Più o meno simile è Ti West, che con
il suo western sanguinario e fedele alla regole, ma così moscio, superficiale e
mal recitato, è probabilmente la maggior delusione del 2016.
Il resto, come detto, è un fioccare di operette
abbastanza dimenticabili, prima di un paio di guizzi sul finire dell’anno. Tra
i vari che non compaiono in classifica, gli unici davvero da ricordare sono il
già citato Green Room (che sarebbe
all’ipotetico undicesimo posto) per l’incedere marziale e violentissimo, e il
diabolico Shelley (poi, oh, non credo di aver visto proprio tutto e di sicuro qualcosa mi sfugge) mentre prodotti
come The Autopsy of Jane Doe, Trash Fire o SiREN, per quanto gradevoli e di sicuro una spanna sopra la feccia
fuoriuscita nei mesi precedenti, sono ancora privi di quel quid con cui poter
davvero graffiare la scena.
La top ten, come ogni anno, nasce da inevitabili
compromessi. Compaiono film tecnicamente prodotti l’anno scorso mentre sono
ancora assenti lavori che magari stanno girando per i festival ma sono
materialmente impossibili da vedere, ma è così ogni anno, e questo cappellino
introduttivo inizia a puzzare.
Questi sono i dieci che l’hanno scampata su un
totale di, boh, una quindicina di titoli su cui valeva spendere qualche parola.
Ve la lascio, in attesa di un 2017 che possa riscattarsi di brutto.
10. Godzilla Resurgence
Godzilla è universalmente fantascienza ma, per
quanto mi riguarda, credo che un mostro che si aggira per la città distruggendo
ogni cosa in un bagno di sangue senza freni, non possa che essere una faccenda squisitamente
horror. Questo reboot (che recensirò a breve), segna non solo il ritorno di
Hideaki Anno verso qualcosa di nuovo dopo orma dieci anni dispersi tra i rebuilt
di Evangelion, doppiaggi e lamentele
varie, ma anche un approccio differente al re dei mostri. È un film lungo e
lento, molto parlato, dove gli interventi del lucertolone non sono che delle
piccole parentesi sanguinarie tra un dibattito politico e uno militare. È anche
un film furbo e improbabile, dove molte soluzioni per sconfiggere il caro,
vecchio Zilla sono abbastanza campate per aria, ma il trucco funziona, e la
messinscena dell’emergenza è quanto di più credibile abbia saputo fare il
cinema nel campo dei mostri grossi.
9. The Monster
Bryan Bertino lascia da parte gli home invasion
e ritorna con un monster movie sorprendente, non tanto per il mostro in sé, ma
per la potenza narrativa dei personaggi costruiti. Una madre cattiva e una
figlia più matura di lei devono riuscire a riappacificarsi se vogliono
scamparla alla creatura che le ha prese di mira, e anche se gli scontri con il
bestio tendono a ripetersi, o comunque a non offrire quella freschezza che
forse era giusto aspettarsi, i loro battibecchi e i flashback strazianti sono
momenti di grande cinema. La creatura non è il massimo che la fantasia possa
offrire, ma è una bestia vecchia scuola, fatta di protesi e trucco, e solo per
questo dobbiamo volerle bene.
8. Southbound
La
rivincita delle antologie passa per di qua. Dopo
la coda infinita di orribili prodotti surgelati che eserciti di autori
esordienti hanno venduto come cose anche solo vagamente commestibili, arriva
finalmente un collage di mediometraggi fresco e pieno di idee. Southbound è horror puro, un horror
fatto di mostri meravigliosi, territori da incubo, creature spietate, atmosfere
spiazzanti e demoni bastardi. Cinque storie come cinque racconti che sembrano
provenire dalla miglior antologia di un King dei tempi d’oro, quando l’horror
era invenzione e creatività e faceva venire l’acquolina in bocca.
Netflix sta abbattendo molte barriere, e se con
le serie tv e i documentari ha già rapito il cuore di molti, era solo questione
di tempi prima che tentasse la strada dei film. I Am the Pretty Thing that Lives in the House non è solo il suo
primo horror, ma è anche un film da incorniciare e per molti aspetti da
prendere come esempio. Nel dipingere una classica storia di fantasmi, Oz
Perkins rallenta il ritmo a dismisura, annega i personaggi in atmosfere
soffocanti e febbricitanti, e rilascia alcune delle sequenze più spaventose del
2016. È sicuramente un film un po’ vanitoso, ma è di classe, raffinato, colto.
Una cosa che non si vede molto spesso.
È la vera chicca del 2016, quel film inaspettato
che sorprende e lascia pieni di meraviglia. Fa quasi sorridere che si tratti di
un classico film di zombie, né più né meno, senza neanche troppa inventiva con
cui svecchiare la figura del morto vivente. Eppure, nel suo manipolo di
personaggi che strappano il cuore, Sang-oh Yeon è riuscito a compiere il
miracolo, ridando un senso a un certo tipo di storie che credevamo davvero, ed
è proprio il caso di dirlo, morte e sepolte.
5.
Don’t Breathe
La scaltrezza con cui Fede Alvarez aveva
ridipinto di sangue La casa un paio
d’anni fa si può trovare anche in questo nuovo possente, asfissiante e inquieto
lavoro. Don’t Breathe non è un vero e
proprio horror se accreditiamo all’horror il necessario elemento
soprannaturale, eppure ogni singolo istante di questo incubo claustrofobico
gronda terrore come pochi altri colleghi sono riusciti a fare. Il Blind Man che
insegue per casa i tre ladruncoli si muove infatti come un mostro, azzera il
respiro, annusa, capta i rumori e agisce con qualcosa che non ha nulla di
umano. Al resto pensano un ambiente indovinato, illuminato il minimo necessario
per scatenare la paura più primitiva. È la conferma di un regista che, seppur
nelle mani dei grandi produttori, non teme di mostrare la propria personalità.
Questo è l’horror mainstream di cui abbiamo bisogno, teniamocelo stretto finché
è possibile.
Una ritrovata Karyn Kusama proietta un incubo che
mette a disagio e crea malessere a non finire. La storia è quella di una cena
tra quasi-amici, ma il vero scopo che si nasconde oltre il cibo e la compagnia
è qualcosa di spiazzante e spaventoso, mostrato con la giusta lentezza, fatto
assaporare in tutta la sua scomodità. È anche un film che tratta un tema
difficile, quello della perdita di un figlio, e ci riesce con una
consapevolezza e una serie di riflessioni strazianti ma mai gratuite.
Bellissimo.
3.
Baskin
È un film per stomaci forti, questo piccolo
esordio proveniente dalla Turchia, un delirio sanguinario e colmo di visioni
infernali che segue quattro poliziotti cattivi chiamati a sistemare un guaio in
una casa abbandonata. La loro discesa verso i sotterranei è una miscela di
mostruosità e deformità coinvolte in atti di devianza e cannibalismo, una vera
e propria sequela di ripugnanze senza fine, il tutto però incorniciato da una
messinscena capace e intelligente, che fa delle deliziose parentesi oniriche il
suo vero punto forte. È anche un film un po’ furbetto per la facilità con cui
si possano nascondere punti di domanda e incongruenze dietro il muro del
surrealismo, ma ciò che più conta è che la potenza delle immagini non è mai
fine a se stessa e contribuisce a creare comunque una visione solida ed efficace.
2.
The Witch
Un horror d’autore come se ne vedono pochi, un
film difficile e contorto, suggestivo e appena tangibile, un vero e proprio
incubo che lascia strati di malessere e disagio piuttosto difficili da
togliere. Complice un’ambientazione spoglia e gelida, una vicenda fatta di
miseria e ignoranza, e una serie di sequenze che sono già entrate nella storia
(il caprone Black Phillip e gli squarci della strega nel bosco), The Witch è un film che non si
dimentica.
Sono bastati pochi istanbti per farmi innamorare
di questo meraviglioso esempio di cinema horror, che in appena 80 minuti
incorpora tutto quello che cerco (okay, non ci sono i mostri, ma si può vivere bene
lo stesso). Personaggi scolpiti così bene da brillare nella loro semplicità
quotidiana, dialoghi genuini e realistici, reazioni finalmente vere agli eventi
incontrati: Babak Anvari è all’esordio ma mostra una maturità spaventosa nel
raccontare il suo paese di trent’anni fa senza aggiungere inchieste o
interrogatori, ma limitandosi a esporre quello che era, e che in fondo è
ancora, a proposito della donna, della famiglia e della vita comunitaria in Siria.
E la nemesi soprannaturale ha parecchio da insegnare a tanti colleghi per mezzo
di una costruzione della paura spontanea, semplicissima ed efficace come
poche.
Personalmente gli horror (almeno quelli che ho visto) quest'anno non è che mi abbiano entusiasmato più di tanto.
RispondiEliminaUnder the Shadow e The Witch sono probabilmente i due che più hanno convinto anche me.
Pure The Monster, visto di recente, ha il suo perché.
Don't Breathe invece mi ha abbastanza infastidito, cosa che per un horror non è forse poi nemmeno così negativa. :)
Sì, quest'anno non è stato granché, ha offerto poco e male. I titoli buoni sono quelli, almeno per me non è stato difficile fare una classifica dei dieci migliori perché al di là di questi non c'era molto altro. :)
EliminaConcordo sull'annata deludente. Le nostre classifiche hanno film in comune, con alcuni sono stato più severo, con altri meno di te. La mia la trovi qui:
RispondiEliminahttp://electrictattoos.tumblr.com/post/155037016082
E' un blog dedicato ai tatuaggi, ma ci butto in mezzo cinema e musica ogni tanto. ;)
Ah, mi sono accorto di non aver ancora visto "I am the pretty thing..:", rimedierò.
La mia difficoltà con i film più mainstream è che non riesco a scendere a patti con la mancanza di un qualche spessore narrativo, e atmosfere e salti sulla sedia per me vanno a farsi benedire subito, non rimango per nulla coinvolto. Spero che Netflix mostri una nuova direzione sulla possibilità di fare horror intelligenti e profondi anche per il grande pubblico. :)
EliminaHo il tuo stesso problema. Con lo spaventarello non coi faccio granchè, i film basati sui salti sulla sedia mi lasciano totalmente indifferente...
EliminaAh, I Am The Pretty thing etc. non mi ha convinto granchè alla fine :)
L
I am the Pretty Thing è una cosa molto strana, il ritmo lentissimo mi sa che piace o non piace, difficile avere un giudizio di mezzo. :)
EliminaD'accordo invece sugli spaventi sterili dell'horror mainstream odierno: c'è bisogno di più, personaggi, storia, narrazione, solo così gli spaventi possono funzionare.