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I migliori film horror del 2016

By Simone Corà | giovedì 29 dicembre 2016 | 10:12


Il best of del 2016, oh yeah                                                                                                                                

Anno strano, il 2016.

Lasciando da parte i lutti che l’hanno infestato senza tregua da gennaio a dicembre, orrorificamente parlando questi dodici mesi hanno cercato in tutte le maniere di farsi dimenticare, per fortuna riuscendoci solo in parte, a discapito degli splendidi ricordi degli anni passati.
Partito alla grande con un periodo iniziale parecchio ispirato (quattro titoli sui dieci in classifica si sono resi disponibili tra gennaio e marzo), il 2016 è poi scivolato in un completo anonimato tra primavera e autunno, prima di un piacevole, anche se tutt’altro che memorabile, colpo di coda invernale. Quanto meno, il 2016 sarà ricordato per l’anno degli horror dai paesi meno convenzionali: ci sono un film turco e uno iraniano, per quanto si tratti tecnicamente di co-produzioni occidentali, a guidare la classifica, mentre uno coreano, tra l’altro un blockbuster sbancabotteghini, è probabilmente la più inaspettata e calda sorpresa di quest’anno strampalato.

Di sorprese negative, in compenso, il 2016 non è stato affatto avaro. A partire da una concezione mainstream dell’horror ormai sempre più in avaria, con un Mike Flanagan in corto circuito totale con due film pessimi su tre (e ricordiamo che Hush è solo un discreto filmettino), un McLean fagocitato e risputato male dai produttori e uno Zombie ormai alla frutta, i cinema sono stati dominati dalle visioni scontate e noiose di un ex prodigio come James Wan (che, non pago del vergognoso The Conjuring 2, si è lanciato anche nella produzione di film disastrosamente uguali come Lights Out) e dallo sciocco e razzista The Shallows, trovando per fortuna solo nel bravo Fede Alvarez (che per la seconda volta sorprende tutti) un motivo per vedere ancora un buon film del terrore in sala.
In generale, se già dobbiamo convivere con un divertimento cercato soltanto negli spaventi preconfezionati e a volume esagerato, sembrano ormai piacere solo prodotti dove storia e personaggi, mai come nel 2016, non hanno più alcun valore se non quello di una mera accessorietà fisica. E forse neanche quella.
Metà dei miei film favoriti presenta dei personaggi meravigliosi raccontati con un calore e una profondità senza precedenti, e da soli trainano delle storie che riescono anche a sommare delle ottime intuizioni inquietanti/soprannaturali. Nell’horror di massa targato 2016 non c’è né una cosa né l’altra, e un po’ mi spavento a rendermi conto di non avere alcuna idea in cosa realmente trovi piacere il pubblico. Perché probabilmente neanche autori e produttori ce l’hanno, e si limitano a sommare scene casuali pescando da una ristrettissima iconografia quando, se proprio di copiare si parla, avrebbero a disposizione un universo sconfinato.

Dall’altra parte del mondo la situazione dell’horror commerciale è un po’ diversa, a un livello quantomeno concettuale, dove i classici paletti vengono scaraventati via in favore di bagni di sangue che il pubblico orientale pare gradire parecchio. Il Giappone produce l’ennesimo live action ultra splatter, per una volta molto carino (I Am a Hero), e un potentissimo remake (Godzilla Resurgence), mentre la Corea, oltre al mezzo capolavoro di Train to Busan, fa incetta di soldi e premi con il sopravvalutato e assai confuso The Wailing, che da noi sembra piacere per il semplice motivo che, se tutti ne parlano bene, dev’essere bello per forza, ma sfido chiunque a trovare un significato, una coerenza e un qualche motivo di interesse in queste insormontabili due ore e mezza.
Il resto è il consueto traboccare di film appena sufficienti o poco significativi, dove ancora una volta si distingue la Cina che, ormai sdoganata, produce un fantatiliardo di horror, anche se spesso tragicomici.


Tornando su terreni a noi più consoni, si può dire che il 2016 sia stato l’anno dell’abbattimento definitivo di ogni dogana della decenza: la scena indie ha dimostrato, mai come in questo periodo, che bastano una telecamera e quattro stronzi per riuscire a produrre un film e a farlo girare tra festival e torrent searching, vanificando il lavoro di chi perlomeno cerca di fare qualcosa di sensato. Per un lungo periodo il blog è sopravvissuto solo grazie a film estremamente mediocri, non c’era altro di cui scrivere e ho dovuto accontentarmi (e sono comunque riuscito a farmi scappare l’occasione di parlare di film grossi come Green Room e Don’t Breathe, shame on me).
Ma anche chi ha esperienza e torna con gran piacere del fandom, non sembra in realtà avere le idee ben chiare: un film come Fender Bender, che arriva dopo ben sedici anni di pausa da The Night Flier, mostra come Mark Pavia non solo non conosca la scena odierna e il senso dietro il revival nostalgico, ma anche che non ricordi come costruire una storia o anche solo un personaggio degno di nota. Più o meno simile è Ti West, che con il suo western sanguinario e fedele alla regole, ma così moscio, superficiale e mal recitato, è probabilmente la maggior delusione del 2016.
Il resto, come detto, è un fioccare di operette abbastanza dimenticabili, prima di un paio di guizzi sul finire dell’anno. Tra i vari che non compaiono in classifica, gli unici davvero da ricordare sono il già citato Green Room (che sarebbe all’ipotetico undicesimo posto) per l’incedere marziale e violentissimo, e il diabolico Shelley (poi, oh, non credo di aver visto proprio tutto e di sicuro qualcosa mi sfugge) mentre prodotti come The Autopsy of Jane Doe, Trash Fire o SiREN, per quanto gradevoli e di sicuro una spanna sopra la feccia fuoriuscita nei mesi precedenti, sono ancora privi di quel quid con cui poter davvero graffiare la scena.


La top ten, come ogni anno, nasce da inevitabili compromessi. Compaiono film tecnicamente prodotti l’anno scorso mentre sono ancora assenti lavori che magari stanno girando per i festival ma sono materialmente impossibili da vedere, ma è così ogni anno, e questo cappellino introduttivo inizia a puzzare.
Questi sono i dieci che l’hanno scampata su un totale di, boh, una quindicina di titoli su cui valeva spendere qualche parola. Ve la lascio, in attesa di un 2017 che possa riscattarsi di brutto.


10. Godzilla Resurgence
Godzilla è universalmente fantascienza ma, per quanto mi riguarda, credo che un mostro che si aggira per la città distruggendo ogni cosa in un bagno di sangue senza freni, non possa che essere una faccenda squisitamente horror. Questo reboot (che recensirò a breve), segna non solo il ritorno di Hideaki Anno verso qualcosa di nuovo dopo orma dieci anni dispersi tra i rebuilt di Evangelion, doppiaggi e lamentele varie, ma anche un approccio differente al re dei mostri. È un film lungo e lento, molto parlato, dove gli interventi del lucertolone non sono che delle piccole parentesi sanguinarie tra un dibattito politico e uno militare. È anche un film furbo e improbabile, dove molte soluzioni per sconfiggere il caro, vecchio Zilla sono abbastanza campate per aria, ma il trucco funziona, e la messinscena dell’emergenza è quanto di più credibile abbia saputo fare il cinema nel campo dei mostri grossi.


Bryan Bertino lascia da parte gli home invasion e ritorna con un monster movie sorprendente, non tanto per il mostro in sé, ma per la potenza narrativa dei personaggi costruiti. Una madre cattiva e una figlia più matura di lei devono riuscire a riappacificarsi se vogliono scamparla alla creatura che le ha prese di mira, e anche se gli scontri con il bestio tendono a ripetersi, o comunque a non offrire quella freschezza che forse era giusto aspettarsi, i loro battibecchi e i flashback strazianti sono momenti di grande cinema. La creatura non è il massimo che la fantasia possa offrire, ma è una bestia vecchia scuola, fatta di protesi e trucco, e solo per questo dobbiamo volerle bene.


La rivincita delle antologie passa per di qua. Dopo la coda infinita di orribili prodotti surgelati che eserciti di autori esordienti hanno venduto come cose anche solo vagamente commestibili, arriva finalmente un collage di mediometraggi fresco e pieno di idee. Southbound è horror puro, un horror fatto di mostri meravigliosi, territori da incubo, creature spietate, atmosfere spiazzanti e demoni bastardi. Cinque storie come cinque racconti che sembrano provenire dalla miglior antologia di un King dei tempi d’oro, quando l’horror era invenzione e creatività e faceva venire l’acquolina in bocca.


Netflix sta abbattendo molte barriere, e se con le serie tv e i documentari ha già rapito il cuore di molti, era solo questione di tempi prima che tentasse la strada dei film. I Am the Pretty Thing that Lives in the House non è solo il suo primo horror, ma è anche un film da incorniciare e per molti aspetti da prendere come esempio. Nel dipingere una classica storia di fantasmi, Oz Perkins rallenta il ritmo a dismisura, annega i personaggi in atmosfere soffocanti e febbricitanti, e rilascia alcune delle sequenze più spaventose del 2016. È sicuramente un film un po’ vanitoso, ma è di classe, raffinato, colto. Una cosa che non si vede molto spesso.


È la vera chicca del 2016, quel film inaspettato che sorprende e lascia pieni di meraviglia. Fa quasi sorridere che si tratti di un classico film di zombie, né più né meno, senza neanche troppa inventiva con cui svecchiare la figura del morto vivente. Eppure, nel suo manipolo di personaggi che strappano il cuore, Sang-oh Yeon è riuscito a compiere il miracolo, ridando un senso a un certo tipo di storie che credevamo davvero, ed è proprio il caso di dirlo, morte e sepolte.


5. Don’t Breathe
La scaltrezza con cui Fede Alvarez aveva ridipinto di sangue La casa un paio d’anni fa si può trovare anche in questo nuovo possente, asfissiante e inquieto lavoro. Don’t Breathe non è un vero e proprio horror se accreditiamo all’horror il necessario elemento soprannaturale, eppure ogni singolo istante di questo incubo claustrofobico gronda terrore come pochi altri colleghi sono riusciti a fare. Il Blind Man che insegue per casa i tre ladruncoli si muove infatti come un mostro, azzera il respiro, annusa, capta i rumori e agisce con qualcosa che non ha nulla di umano. Al resto pensano un ambiente indovinato, illuminato il minimo necessario per scatenare la paura più primitiva. È la conferma di un regista che, seppur nelle mani dei grandi produttori, non teme di mostrare la propria personalità. Questo è l’horror mainstream di cui abbiamo bisogno, teniamocelo stretto finché è possibile.


Una ritrovata Karyn Kusama proietta un incubo che mette a disagio e crea malessere a non finire. La storia è quella di una cena tra quasi-amici, ma il vero scopo che si nasconde oltre il cibo e la compagnia è qualcosa di spiazzante e spaventoso, mostrato con la giusta lentezza, fatto assaporare in tutta la sua scomodità. È anche un film che tratta un tema difficile, quello della perdita di un figlio, e ci riesce con una consapevolezza e una serie di riflessioni strazianti ma mai gratuite. Bellissimo.


3. Baskin
È un film per stomaci forti, questo piccolo esordio proveniente dalla Turchia, un delirio sanguinario e colmo di visioni infernali che segue quattro poliziotti cattivi chiamati a sistemare un guaio in una casa abbandonata. La loro discesa verso i sotterranei è una miscela di mostruosità e deformità coinvolte in atti di devianza e cannibalismo, una vera e propria sequela di ripugnanze senza fine, il tutto però incorniciato da una messinscena capace e intelligente, che fa delle deliziose parentesi oniriche il suo vero punto forte. È anche un film un po’ furbetto per la facilità con cui si possano nascondere punti di domanda e incongruenze dietro il muro del surrealismo, ma ciò che più conta è che la potenza delle immagini non è mai fine a se stessa e contribuisce a creare comunque una visione solida ed efficace.


Un horror d’autore come se ne vedono pochi, un film difficile e contorto, suggestivo e appena tangibile, un vero e proprio incubo che lascia strati di malessere e disagio piuttosto difficili da togliere. Complice un’ambientazione spoglia e gelida, una vicenda fatta di miseria e ignoranza, e una serie di sequenze che sono già entrate nella storia (il caprone Black Phillip e gli squarci della strega nel bosco), The Witch è un film che non si dimentica.


Sono bastati pochi istanbti per farmi innamorare di questo meraviglioso esempio di cinema horror, che in appena 80 minuti incorpora tutto quello che cerco (okay, non ci sono i mostri, ma si può vivere bene lo stesso). Personaggi scolpiti così bene da brillare nella loro semplicità quotidiana, dialoghi genuini e realistici, reazioni finalmente vere agli eventi incontrati: Babak Anvari è all’esordio ma mostra una maturità spaventosa nel raccontare il suo paese di trent’anni fa senza aggiungere inchieste o interrogatori, ma limitandosi a esporre quello che era, e che in fondo è ancora, a proposito della donna, della famiglia e della vita comunitaria in Siria. E la nemesi soprannaturale ha parecchio da insegnare a tanti colleghi per mezzo di una costruzione della paura spontanea, semplicissima ed efficace come poche.    

6 commenti:

  1. Personalmente gli horror (almeno quelli che ho visto) quest'anno non è che mi abbiano entusiasmato più di tanto.
    Under the Shadow e The Witch sono probabilmente i due che più hanno convinto anche me.
    Pure The Monster, visto di recente, ha il suo perché.
    Don't Breathe invece mi ha abbastanza infastidito, cosa che per un horror non è forse poi nemmeno così negativa. :)

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    1. Sì, quest'anno non è stato granché, ha offerto poco e male. I titoli buoni sono quelli, almeno per me non è stato difficile fare una classifica dei dieci migliori perché al di là di questi non c'era molto altro. :)

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  2. Concordo sull'annata deludente. Le nostre classifiche hanno film in comune, con alcuni sono stato più severo, con altri meno di te. La mia la trovi qui:
    http://electrictattoos.tumblr.com/post/155037016082
    E' un blog dedicato ai tatuaggi, ma ci butto in mezzo cinema e musica ogni tanto. ;)
    Ah, mi sono accorto di non aver ancora visto "I am the pretty thing..:", rimedierò.

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    1. La mia difficoltà con i film più mainstream è che non riesco a scendere a patti con la mancanza di un qualche spessore narrativo, e atmosfere e salti sulla sedia per me vanno a farsi benedire subito, non rimango per nulla coinvolto. Spero che Netflix mostri una nuova direzione sulla possibilità di fare horror intelligenti e profondi anche per il grande pubblico. :)

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    2. Ho il tuo stesso problema. Con lo spaventarello non coi faccio granchè, i film basati sui salti sulla sedia mi lasciano totalmente indifferente...
      Ah, I Am The Pretty thing etc. non mi ha convinto granchè alla fine :)
      L

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    3. I am the Pretty Thing è una cosa molto strana, il ritmo lentissimo mi sa che piace o non piace, difficile avere un giudizio di mezzo. :)

      D'accordo invece sugli spaventi sterili dell'horror mainstream odierno: c'è bisogno di più, personaggi, storia, narrazione, solo così gli spaventi possono funzionare.

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