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I Am a Hero (2015)

By Simone Corà | martedì 20 dicembre 2016 | 00:01

Dal manga pluripremiato, il più sfigato degli ammazzazombie                                                                            

Il problema principale di I Am a Hero, se così si può dire, è che non può rivaleggiare con Train to Busan, il fratellino orientale nella guerra agli zombie.
Mentre il film di Yeon Sang-ho è una storia completa, potente, arricchita da personaggi che strappano il cuore, dove gli zombie sono un piacevole e sanguinoso slancio per l’espressione di un protagonista memorabile, il live action di Shinsuke Sato si limita a una sola componente visiva violentissima e travolgente, mettendo in secondo piano i suoi eroi e una globalità omogena della vicenda. Scelta consapevole o meno, ciò non toglie che I Am a Hero sia comunque una mezza bombetta, perché di fronte a simili blockbuster, così clamorosi nel coraggio e nella sfrontatezza con cui insistono sull’aspetto viscerale invece di privarlo allo spettatore comune, non ci resta che applaudire. E quindi facciamolo.

Va anche detto che I Am a Hero segna in qualche modo un nuovo punto di partenza per i live action nipponici, o almeno spero possa esserlo: da sempre preconfezionati per uso e consumo del solo pubblico locale e dei fan più incalliti, costruiti con poco sperpero di ingegno se non quello per il facile accumulo economico, solo recentemente si è visto un gradevole assestamento qualitativo che, come vuole la rispettosa e morigerata cultura giapponese, ha portato a valanghe di viscere e frattaglie con i due Parasyte e i due Attack on Titan, rimanendo comunque parecchio lontani dal bersaglio.
È anche vero che da un cinque-sei anni fanno cinquemila live action al mese, qualcuno dovrà pur uscire bene: forse è solo matematica e non bisogna stupirsi, ma io mi lascio sempre trascinare.

Shinsuke Sato ha già la mano calda per il buon Gantz qualche anno fa (meno riuscito ma comunque godibile il secondo capitolo Gantz: Perfect Answer), che non lesinava su mazzate furiose e furibonde spruzzate di sangue, è ben più di un mestierante prestanome a cui affidare un film all’anno (cosa che comunque fa da sempre, vedi il terzo Gantz o i due Library Wars), quindi non gli viene difficile prendere un manga acclamatissimo da critica e pubblico (che io non ho letto), caricare il fucile e filmare un headshot dietro l’altro.
La seconda metà di I Am a Hero è infatti una lunga, goduriosa, brillante bloodbath, un macello senza fine, un accatastarsi di cadaveri e arti mutilati, un’incessante, divertentissima strage di zombie. Da questo punto di vista non credo che il film possa avere rivali, almeno in tempi odierni, perché, nonostante l’accento simpatico generale stemperi la brutalità delle immagini, non ci sono concessioni di alcun tipo. Un colpo male assestato con la mazza da baseball fa “solo” incassare un cranio, una fucilata storta distrugge tutta la parte superiore della testa lasciando un germogliare di carne e ossa sopra il collo, due dita premute negli occhi devono scavare a lungo e a fondo prima di poterli togliere: sono dettagli come questi che fanno la differenza e trasformano il film in una festa gore davvero incredibile.
Non solo, l’impatto visivo viene addirittura amplificato dalla profonda trasformazione che comporta il virus mutageno: viso che si ingrossa, occhi che si gonfiano, sguardi ebeti, movimenti spastici così esasperati da spezzare ossa e arti pur di raggiungere ciò che l’infetto vuole ottenere.  


Soddisfatto l’appetito sanguinario, I Am a Hero funziona però solo in parte nell’aspetto puramente narrativo. Abbiamo un protagonista delizioso, schiavo delle proprie paure e di tragicomici schemi mentali, che da solo fa muovere il film, ma è difficile trovare qualcos’altro nel party che si viene a creare. Se l’impianto ironico funziona con battute che esplodono attraverso l’ingenuità di Hideo, sono proprio i suoi compagni di viaggio, e i nemici incontrati, a non dare segnali di vita, lasciandolo simbolicamente solo contro gli zombie per tutto il film.
Manca una proposta femminile con cui confrontarsi realmente, manca un villain da odiare e combattere, manca a dirla tutta anche una storia di cui Hideo possa essere davvero protagonista, perché, nonostante i ben 126 minuti di durata, per carità tutti godibilissimi e a tratti irresistibili, non vediamo molto più che una singola scena protratta all’infinito, che chiaramente strizza l’occhio a un, credo abbastanza inevitabile, sequel.
È anche vero che I Am a Hero funziona esclusivamente attorno alla figura del suo protagonista, è uno one man show e tutto il resto non può che essere accessorio, ma avrebbe di certo fatto piacere qualche intesa in più che le due ragazze lasciate sempre sulla difensiva, uno scambio se non equo quantomeno maggiore di idee per sfangarla all’orda, e magari un bad guy che si comporti come tale per un qualche tipo di motivazione, e non per il solo ruolo affibbiatogli. 

Su, è un gran divertimento, solo un po’ fine a sé stesso.   

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