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Der Nachtmahr (2015)

By Simone Corà | venerdì 16 dicembre 2016 | 00:01

Tutti in pista per il ballo del mostro                                                                                                               

Non ho mai capito bene il mondo della techno e, in generale, del ballare.
Ho dei ricordi abbastanza confusi e pietosi di sabati sera e domeniche pomeriggio di vent’anni fa, quando l’andare in disco con la cumpa rigorosamente maschile consisteva più o meno nello stare fermi e guardarsi in faccia con un gin lemon in mano. O un vodka lemon, quando azzardavo.
Bisogna dire che in quegli anni avevo i Dream Theater e i Death in testa, erano interferenze abbastanza pesanti e quindi non ho mai più approfondito il discorso danzereccio, mollando tutto non appena ne ho avuto la possibilità per buttarmi a capofitto nelle calde strade della misantropia giovanile.

Tina invece vive per lo sballo sonoro, per loop potenti e bassi synth che pompano il ritmo. In fondo è una ragazza come le altre, le piace far festa, ballare, sbandare per qualche maschietto dai capelli colorati, bere con le amiche e in generale opporsi ai genitori come qualunque adolescente. Tina soffre anche di una schizofrenia lieve tenuta a bada da cocktail di farmaci e interventi psichiatrici, ma anche questo può far parte di un certo disagio giovanile, se ben inquadrato e curato in tempo.
Il problema, più che altro, è il mostro che le fa visita di notte. È uno sgorbio glabro, ingobbito, un nano deforme che fruga nel frigorifero in cerca di cibo e che in qualche modo sembra legato al suo organismo: se lui si ferisce, lei si ferisce, se lui sta male, lei sta male.

Der Nachtmahr potrebbe sembrare un film strambo e grottesco di poco conto, un lavoro autocompiaciuto di un autore che tenta la strada di certa autorialità con quella sicurezza arrogante dei giovani arrivisti, in fondo non pare esserci gran contenuto in un soggetto così trasparente e in apparenza banale nei simbolismi.
In realtà si tratta di un’opera complessa, surreale e stratificata, dove Achim Bornhak non si limita mai ad appiattire un semplice schema allegorico legato al malessere adolescenziale, identificabile nel mostro che appare all’improvviso, bensì ribalta in continuazione ogni prospettiva e distrugge ogni facile certezza nel momento stesso in cui sembra confermarla. Il mostriciattolo non è infatti la proiezione della psicosi di Tori, è una creatura concreta, tangibile, abile a nascondersi ma visibile a tutti, ed è proprio attorno alla sua esistenza, e alla necessità di provarla, che la ragazza costruisce questo preciso frammento di vita.
Questo coso bruttissimo e dai movimenti assai limitati non è che fulcro della vita stessa di Tori, per lui la ragazza si mette in gioco e si scardina dalle sue quotidianità alcoliche e superficiali.


La rabbia con i genitori, l’impossibilità di controllare il proprio stato psicofisico, gli scontri con le amiche e le paure che si manifestano in sogni terribili vengono rese con un’atmosfera febbricitante che lascia spezzo spiazzati, confondendo realtà e sogno con alcuni degli squarci visivi più agghiaccianti di quest’anno (la stanza ospedaliera, l’incidente in auto).
Der Nachtmahr è un lungo incubo che alterna olocausti sonori, dove ogni dialogo viene annullato dall’incedere assordante della techno, proprio come se i personaggi vivessero in un rave senza fine, e silenzi disorientanti, privi di alcuna colonna sonora, dove le difficoltà di Tori vengono evidenziate dalla sua disforia e rimangono appiccicate per colpa dei colori assurdi della sua camera e per i contrasti che vengono creati con il biancore delle altre stanze.

Probabilmente Der Nachtmahr è più bello sulla carta che sulla celluloide, è ricco di splendide idee disturbanti che forse si perdono nel ritmo fin troppo rallentato e delirante. Bornhak è colpevole di indugiare eccessivamente nei rapporti di Tori con le amiche e il ragazzo di cui è innamorata senza diversificare più di tanto i contenuti dei loro scambi, e allo stesso modo il taglio quasi documentaristico che ha impresso al film frena a dismisura gli incontri con la creatura, rendendoli quasi catatonici.
Abbiamo quindi a che fare un’opera strana e sbilenca, con improvvise impennate furiose che equivalgono a schiaffoni micidiali stemperate da prolungate parentesi di nebbia quotidiana. Forse più mirato per un pubblico ricercato che per un appassionato d’orrore, ma è un film da provare: non credo infatti sia uno di quei casi in cui si ama o si odia, ha ottimi aspetti e altri parecchio meno, ma è di sicuro un esperimento interessante e una freccia che punta in alto nel panorama horror attuale, pur arrivando molto lontana dal centro del bersaglio.

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