2011, USA, 14 puntate, 42 minuti cad.
Creato da: Kurt Sutter
Network: FX
Con la terza stagione la creatura di Kurt Sutter non aveva dato il meglio di sé, sicuramente troppo esagerata nelle proporzioni della lotta armata e un poco squinternata nelle inutili trame parallele, ma ci eravamo lasciati con uno di quei finali che ti fanno stringere le dita e alzare il pugno al cielo, un guizzo di rivincita e giustizia che chiudeva un lungo capitolo sbarazzandosi finalmente di un villain in gonnella che va di diritto tra i più stronzi e imbattibili antagonisti di sempre. Il ritorno motorizzato di Clay e Jax è però di quelli da ricordare: non solo una grande stagione, ma probabilmente la miglior tornata di episodi di sempre di Sons of Anarchy, la più compatta, la più forte e credibile.
Sebbene il prologo si accomodi un poco, troncando quelle aspettative di originalità, di diversità strutturale che l’epilogo della terza stagione faceva presagire, non c’è motivo di rimanere allarmati, perché la trama questa volta si sposta direttamente all’interno del club di centauri, mettendo in scena un tutti contro tutti che si sbarazza presto di certe lagne sentimentali, che qua e là enfatizzavano eccessivamente la drammaticità della situazione (pensiamo anche solo ai problemi coniugali di Chibs, dei quali qui per fortuna non si fa mai più menzione), e che sferra calci e pugni dritti in faccia.
Il club si mette in affari con un cartello per fare da corriere, e già il fattore droga spezza in due il gruppo, ma a distruggerlo progressivamente ci saranno certe vecchie lettere che inchioderebbero Clay, il quale, per difendersi, inizia a gettare fango su chiunque diventando una belva incontrollabile, un mostro che nessuno sembra essere in grado di fermare. La vicenda generale in sé è piuttosto lineare, ma è stratificata su trame e sottotrame che la dilatano per gradi, portando una benvoluta complessità strutturale e psicologica negli intrecci tra i vari personaggi. Essendo infatti il plot incentrato sul club e non sul club vs qualcun altro, ognuno dei suoi appartenenti è protagonista di una propria traccia che si incastra, generalmente in maniera molto drammatica, con gli episodi altrui, dando vita a una spirale di paranoia, violenza e pazzia che rischia di sgretolare non solo le fondamenta del club, ma i rapporti stessi tra i vari motociclisti.
Ne esce quindi un quadro molto nero, simile per certi versi a quanto accadeva nella stagione due, dove non c’era alcun modo, per i SAMCRO, di contrastare la malvagità di Zobelle. Solo che qui il nemico è frammentato e distribuito in ognuno dei componenti del club, con una porzione naturalmente più grande che spetta a Clay, un Ron Perlman mai così cattivo, spigoloso e folle. Per poter funzionare credibilmente, tale intreccio necessitava di personaggi solidi e ben inquadrati, e dato che il suo meglio Sons of Anarchy l’ha sempre dato proprio nella caratura carismatica di ogni singola figura, anche stavolta ci troviamo con protagonisti perfetti e calati in ruoli che sembrano scriversi da soli, con recitazioni molto sentite da parte di un cast sempre più a suo agio e sempre più credibile nel vestirsi di pelle e borchie e atteggiarsi da duri romanticoni. Il tormento interiore di Jax, le difficoltà di Juice, i ricordi che affliggono Opie, tutto gira squisitamente bene, con un bilanciamento ottimale di sentimenti e impulsività.
È una sorta di cambio di rotta, questa stagione, che conservando i preziosi punti forti della serie imbastisce una nuova strada da percorrere ed evita così il rischio di un possibile riciclo di idee e situazioni (come accaduto per esempio con il sempre più pessimo Dexter). Si cambiano le carte in tavola e si spiana la via per una quinta stagione che promette faville: difficile infatti aspettarsi di meno dopo un finale da brividi, intenso ed emozionante e capace, nei suoi pochi minuti di durata, di riassumere lo spirito caldo e vissuto di tutto Sons of Anarchy.
Recensione di Sons of Anarchy - stagione uno
Recensione di Sons of Anarchy - stagione due
Recensione di Sons of Anarchy - stagione tre
Creato da: Kurt Sutter
Network: FX
Con la terza stagione la creatura di Kurt Sutter non aveva dato il meglio di sé, sicuramente troppo esagerata nelle proporzioni della lotta armata e un poco squinternata nelle inutili trame parallele, ma ci eravamo lasciati con uno di quei finali che ti fanno stringere le dita e alzare il pugno al cielo, un guizzo di rivincita e giustizia che chiudeva un lungo capitolo sbarazzandosi finalmente di un villain in gonnella che va di diritto tra i più stronzi e imbattibili antagonisti di sempre. Il ritorno motorizzato di Clay e Jax è però di quelli da ricordare: non solo una grande stagione, ma probabilmente la miglior tornata di episodi di sempre di Sons of Anarchy, la più compatta, la più forte e credibile.
Sebbene il prologo si accomodi un poco, troncando quelle aspettative di originalità, di diversità strutturale che l’epilogo della terza stagione faceva presagire, non c’è motivo di rimanere allarmati, perché la trama questa volta si sposta direttamente all’interno del club di centauri, mettendo in scena un tutti contro tutti che si sbarazza presto di certe lagne sentimentali, che qua e là enfatizzavano eccessivamente la drammaticità della situazione (pensiamo anche solo ai problemi coniugali di Chibs, dei quali qui per fortuna non si fa mai più menzione), e che sferra calci e pugni dritti in faccia.
Il club si mette in affari con un cartello per fare da corriere, e già il fattore droga spezza in due il gruppo, ma a distruggerlo progressivamente ci saranno certe vecchie lettere che inchioderebbero Clay, il quale, per difendersi, inizia a gettare fango su chiunque diventando una belva incontrollabile, un mostro che nessuno sembra essere in grado di fermare. La vicenda generale in sé è piuttosto lineare, ma è stratificata su trame e sottotrame che la dilatano per gradi, portando una benvoluta complessità strutturale e psicologica negli intrecci tra i vari personaggi. Essendo infatti il plot incentrato sul club e non sul club vs qualcun altro, ognuno dei suoi appartenenti è protagonista di una propria traccia che si incastra, generalmente in maniera molto drammatica, con gli episodi altrui, dando vita a una spirale di paranoia, violenza e pazzia che rischia di sgretolare non solo le fondamenta del club, ma i rapporti stessi tra i vari motociclisti.
Ne esce quindi un quadro molto nero, simile per certi versi a quanto accadeva nella stagione due, dove non c’era alcun modo, per i SAMCRO, di contrastare la malvagità di Zobelle. Solo che qui il nemico è frammentato e distribuito in ognuno dei componenti del club, con una porzione naturalmente più grande che spetta a Clay, un Ron Perlman mai così cattivo, spigoloso e folle. Per poter funzionare credibilmente, tale intreccio necessitava di personaggi solidi e ben inquadrati, e dato che il suo meglio Sons of Anarchy l’ha sempre dato proprio nella caratura carismatica di ogni singola figura, anche stavolta ci troviamo con protagonisti perfetti e calati in ruoli che sembrano scriversi da soli, con recitazioni molto sentite da parte di un cast sempre più a suo agio e sempre più credibile nel vestirsi di pelle e borchie e atteggiarsi da duri romanticoni. Il tormento interiore di Jax, le difficoltà di Juice, i ricordi che affliggono Opie, tutto gira squisitamente bene, con un bilanciamento ottimale di sentimenti e impulsività.
È una sorta di cambio di rotta, questa stagione, che conservando i preziosi punti forti della serie imbastisce una nuova strada da percorrere ed evita così il rischio di un possibile riciclo di idee e situazioni (come accaduto per esempio con il sempre più pessimo Dexter). Si cambiano le carte in tavola e si spiana la via per una quinta stagione che promette faville: difficile infatti aspettarsi di meno dopo un finale da brividi, intenso ed emozionante e capace, nei suoi pochi minuti di durata, di riassumere lo spirito caldo e vissuto di tutto Sons of Anarchy.
Recensione di Sons of Anarchy - stagione uno
Recensione di Sons of Anarchy - stagione due
Recensione di Sons of Anarchy - stagione tre
Ahem... attendo risposta... (minkione)
RispondiEliminaCrescizz
Ma come, non ti è arrivata? Io attendevo la tua... Mo' ti riscrivo
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