Sceneggiatura: Eli Roth
Cast: Jay Hernandez, Bijou Phillips, Milan Knazko, Jordan Ladd, Richard Burgi, Roman Janecka, Roger Bart, Edwige Fenech, Lauren German
Durata: 96’
Produzione: USA
Anno: 2007
Tre studentesse americane, in viaggio per l’Europa, giungono in un piccolo paesino della Slovecchia, dove, abilmente raggirate, diventeranno protagoniste di uno sconcertante passatempo locale.
Avvicinarsi e dare uno sguardo privo di pregiudizi alla terza prova su lunga distanza del raccomandato Eli Roth, è impresa alquanto ardua. Mente e viscere ne escono logorati per via dell’operato traballante del giovane cineasta – si ha la vaga sensazione che si ricorderanno più i suoi svezzatori e ignobili propagandatori, Lynch e Tarantino, che l’effettivo curriculum a suo nome, che, per chiunque avesse spento il cervello negli ultimi tempi, risponde al nome dell’aggressione grondante dubbi di Cabin Fever, e al genocidio intellettuale che fa capo a Hostel eccidio primo.
Lasciando perdere attacchi moralistici più o meno sentiti al modo sporco di fare cinema di Roth, occhi e orecchie si sintonizzano subito su un ambo di pecche che perseguita (o da cui non riesce a liberarsi) il compagno di panini alle budella di Tarantino. Molti infatti sono i limiti che la natura pone al signor Roth, riscontrabili, primo, in una lacunosa ricostruzione psicologica dei protagonisti – inquadrati fin dal primo istante nel mare mostrum dei cliché di genere – e secondo, nella struttura stessa del film, che vivacchia di imbarazzanti incertezze decisionali.
La vera sostanza della pellicola (posto che se ne possa trovare una, e, una volta accidentalmente afferrata, si abbia anche il coraggio di annunciarlo) viene pertanto ostacolata, soffocata, strozzata da uno strato di superficialità sconcertante, ora virante verso l’american-pie-lifestyle, ora verso una spropositata mole di grottesco humor demenziale, che strappa risate e punti di domanda, nel tentativo si smorzare l’assalto putrescente del quadro generale.
Sopra tutto questo, gesticola la bieca camera da presa di Roth, che, al contrario di quanto si ostini a farci credere, risulta ancora vergine in quanto a tensione, sussulti e scariche emozionali.
Ma, a scanso di equivoci, diamo a Roth quel che è di Roth. Sempre presenti le sue incredibili capacità di delineare le civiltà locali in un pressappochismo da far venire i brividi, legato a un indiscutibile visione semplicistica e grossolana ormai diventata marchio di fabbrica. Sempre presenti metri e metri di carne femminile in esposizione, indiscussa protagonista di una sfilata di bellezze che toglie il fiato, ma anche un minimo di buon senso critico che imponga perlomeno uno scossone di capo di fronte a cotanta volgarità. Sempre presenti le palate di interiora, sangue, piselli mozzati, e ogni goduriosa prelibatezza torturatrice (ma senza mai esagerare troppo, lasciando così alla sola pubblicità e a un terremotante VM18 il compito di disgustare la platea mocciosa). Sempre presenti le meravigliose location, che saziano gli occhi con affascinanti virtuosismi naturalistici, e che, con la giusta combinazione porno-sadistica, ingozzano anche di quell’aspetto malvagio che ognuno di noi sanguinari maniaci dell’horror nasconde dentro di sé.
Ma se Roth ci regala in abbondanza tutto questo truculento bendiddio, cos’è che manca, allora?
Un film, forse.
Perché in Hostel – part II non c’è grinta, non c’è passione, non c’è stile. Roth è il paraculo del cinema, perso in un mondo citazionista che ha come papà Quentin Tarantino e come mamma qualsiasi vagina appaia ben esposta nella sua realtà su celluloide. Parliamo di exploitation, allora, di film di puro intrattenimento, ed è vero, qui non ci si scappa. Il sequel di Hostel di certo non induce allo sbadiglio facile, né al lancio incondizionato di vari esponenti nel mondo ortofrutticolo. Perché, mi duole dirlo, che Chtulhu mi possa tagliare la lingua, Hostel, parte prima compresa, diverte. Tolte le tette, i dialoghi, e buona parte del substrato psicologico che lo avvolge. E un vago sentore di apprezzamento verso l’operato di Roth, sia mai che ammetta una cosa del genere.
Intrattenimento. Stupido, balordo, strafottente.
Ecco, forse a mr Roth basta questo. Far divertire (a suo modo). Nel più bieco e malato uso delle tecniche registiche. Se c’è sangue, sesso e finta cattiveria a iosa, tanto meglio. La profondità lasciamola pure a qualcun altro.
E alla fine, cosa resta da dire? Che da un lato Hostel – part II funziona, nel suo inguardabile susseguirsi di false efferatezze e terribili propositi introspettivi. Dall’altro, invece, fallisce miseramente in ogni parte lo si vivisezioni con serio cinismo critico.
Il voto sta lì, probabilmente nel mezzo, decidete voi qual è.
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