Sceneggiatura: David J. Schow
Cast: R. Lee Ermey, Jordana Brewster, Andrew Bryniarski, Taylor Handley, Matthew Bomer, Diora Baird, Heather Kafka, Lee Tergesen, Marietta Marich, and Terrence Evans
Produzione: USA
Anno: 2006
Prima di partire per il Vietnam, i due fratelli Eric e Dean, e le rispettive fidanzate, fanno un ultimo viaggio. Ma dopo un incidente, incontreranno personaggi singolari come lo sceriffo e Tomas, un simpatico ragazzone di due metri a cui piace tanto la motosega.
Che qualcuno sentisse la necessità di conoscere il passato di Leatherface e dei suoi familiari schizzati è una realtà vera quanto la voglia di camminare a testa in giù portando uno zaino pieno di sassi. Se Marcus Nispel non aveva poi sfigurato con il remake dell’opus magnum di Tobe Hooper, la paura per un disastro inguardabile con questo prequel a firma Jonathan Liebesman diventa tangibile già durante i primi minuti, dove liquami organici e putridume inconcepibile traboccano dallo schermo, in una telenovela di sfortune tanto cruenti quanto improbabili.
Ma lo scempio devastante è sorprendentemente scansato, grazie a un riuscito lavoro psicologico in fase di sceneggiatura, che crea di una manciata di eroi abili ad assaltarsi verbalmente in un contesto narrativo (la guerra del Vietnam) finalmente credibile (a differenza degli scapestrati colleghi de NAQP versione 2003, brufolosi burattini totalmente fuori luogo in quei seventies così marcati).
Purtroppo, è questa l’unica novità di un intreccio che non presenta uno straccio di storia che tenga a galla novanta minuti, ma soltanto un sadismo gustoso, immotivato, e soprattutto improbabile nella sua ostentazione virulenta del rapporto sangue/motosega. Non che si voglia ricercare la finezza nella costruzione di trama, né tanto meno contenere lo straripante tsunami di fluidi organici, ma solamente fornire uno straccio di giustificazione alla carneficina che ora, visto che si tratta di un prequel, si esige di conoscere. Diventa infatti inutile e irritante nascondere ogni risposta dietro alla follia della famiglia Hewitt, che in più di un’occasione presenta fallacie narrative e comportamentali abissali. L’insensatezza di fondo non è più sostituibile da martellate alle ginocchia, tagliole alle caviglie e gole squarciate: il dubbio e il mistero che animavano l’originale e, in maniera minore, il remake non trovano spazio in una pellicola come The Beginning, e il fascino perverso si perde in uno sterminio di buoni propositi.
Tuttavia, possiamo rimpinzarci con questa violenza fisica che raggiunge livelli di crudeltà forse mai visti prima in un prodotto destinato al cinema, e di questo, e solo di questo, dobbiamo essere grati al satanico produttore Michel Bay, serpe del cinema horror & dintorni come il suo cuginastro di celluloide Sam Raimi.
A poco serve sottolineare il buon lavoro di un Liebesman ispirato, direttore di inquadrature singolari e sempre riuscite, e di una splendida fotografia, opaca e oscura. In un film come The Beginning si tratta soltanto di aspetti secondari di una messinscena della ferocia umana. Se amate le scorpacciate di budella, avrete di che esserne sazi, ma è d’uopo armarsi contro una probabile digestione.
Che qualcuno sentisse la necessità di conoscere il passato di Leatherface e dei suoi familiari schizzati è una realtà vera quanto la voglia di camminare a testa in giù portando uno zaino pieno di sassi. Se Marcus Nispel non aveva poi sfigurato con il remake dell’opus magnum di Tobe Hooper, la paura per un disastro inguardabile con questo prequel a firma Jonathan Liebesman diventa tangibile già durante i primi minuti, dove liquami organici e putridume inconcepibile traboccano dallo schermo, in una telenovela di sfortune tanto cruenti quanto improbabili.
Ma lo scempio devastante è sorprendentemente scansato, grazie a un riuscito lavoro psicologico in fase di sceneggiatura, che crea di una manciata di eroi abili ad assaltarsi verbalmente in un contesto narrativo (la guerra del Vietnam) finalmente credibile (a differenza degli scapestrati colleghi de NAQP versione 2003, brufolosi burattini totalmente fuori luogo in quei seventies così marcati).
Purtroppo, è questa l’unica novità di un intreccio che non presenta uno straccio di storia che tenga a galla novanta minuti, ma soltanto un sadismo gustoso, immotivato, e soprattutto improbabile nella sua ostentazione virulenta del rapporto sangue/motosega. Non che si voglia ricercare la finezza nella costruzione di trama, né tanto meno contenere lo straripante tsunami di fluidi organici, ma solamente fornire uno straccio di giustificazione alla carneficina che ora, visto che si tratta di un prequel, si esige di conoscere. Diventa infatti inutile e irritante nascondere ogni risposta dietro alla follia della famiglia Hewitt, che in più di un’occasione presenta fallacie narrative e comportamentali abissali. L’insensatezza di fondo non è più sostituibile da martellate alle ginocchia, tagliole alle caviglie e gole squarciate: il dubbio e il mistero che animavano l’originale e, in maniera minore, il remake non trovano spazio in una pellicola come The Beginning, e il fascino perverso si perde in uno sterminio di buoni propositi.
Tuttavia, possiamo rimpinzarci con questa violenza fisica che raggiunge livelli di crudeltà forse mai visti prima in un prodotto destinato al cinema, e di questo, e solo di questo, dobbiamo essere grati al satanico produttore Michel Bay, serpe del cinema horror & dintorni come il suo cuginastro di celluloide Sam Raimi.
A poco serve sottolineare il buon lavoro di un Liebesman ispirato, direttore di inquadrature singolari e sempre riuscite, e di una splendida fotografia, opaca e oscura. In un film come The Beginning si tratta soltanto di aspetti secondari di una messinscena della ferocia umana. Se amate le scorpacciate di budella, avrete di che esserne sazi, ma è d’uopo armarsi contro una probabile digestione.
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