La storia di una ragazza con una sorella incastrata
nel suo cervello. Ah, una sorella cattiva, con una predilizione per la carne
umana.
Mi sembra che Cody Calahan sia uno che ci arriva
sempre dopo, quando i furbi, i curiosi e soprattutto i più bravi ci sono già
passati, e il mondo dell’horror si sta già spostando verso la prossima tendenza
da spolpare. Con Antisocial arrivava parecchio
in ritardo sulla questione zombie sociale (tra l'altro dovrebbe essere in uscita un sequel che, boh, non so in quanti possa attrarre), ma se con i morti viventi mezzo
mondo ha cercato di dire la propria e in fondo si può anche perdonarne
l’ingenuità, con questo nuovo Let Her Out poteva essere più difficile accettare la ripetizione di un argomento già
sfruttato senza avere poi così tante cose da dire, ma per fortuna, nonostante
le basse ambizioni, il film funziona benino e si presta anche a una gradevole
visione.
Non che ci sia molto da approfondire, la
tematica è riconducibile a quella di un doppelganger primitivo e impossibile da
controllare, un mostro che abita sottopelle e dentro le carni e saltuariamente
deve uscire per saziare una fame di sangue e violenza, e Calahan la sviluppa in
maniera piuttosto essenziale, limitandosi a una funzionalità espressiva senza
faticare troppo. E va bene così, non mi dispiace questo approccio all’horror, credo
che ci sia posto per tutti a patto di un impegno creativo/produttivo che
dimostri, prima di tutto, di avere intenzioni solide e un minimo di
preparazione – se poi a mancare sono il vero talento e l’ingegno più arguto
pazienza, siamo sommersi da film mediocri e vediamo quanto meno di spulciare
quelli più meritevoli.
Ci sono accorgimenti kinghiani piacevolmente
nascosti che rimandano a quel La metà oscura che era stato ben ricreato da George Romero, riferimenti più o meno
velati al cinema body horror esploso negli ultimi anni, ci sono le stomacate
brutali alla Eat e i preziosismi
grafici che richiamano inevitabilmente The Neon Demon, ma in questa ragnatela di facili ispirazioni quello che viene a
mancare è un guizzo di personalità. È un aspetto forse non fondamentale nei
primi passi cinematografici, ma che diventa essenziale se le aspirazioni sono
così trattenute e se i tentativi orrorifici così miti: Let Her Out ha ottimi elementi, come il montaggio di grande
effetto, gli improvvisi cliffhanger che lasciano storditi e la buona
costruzione a tasselli che gradualmente vanno a incastrarsi, e non dovrebbe
essere impresa impossibile farli maturare con un po’ di impegno. La profondità
narrativa, si spera, arriverà di conseguenza.
Ciò che rimane di questa ragazza semplice e
carina, che scopre di avere i resti di una sorella incorporati nel cervello, è
l’esplosione animalesca che prende il sopravvento e annienta chiunque ne
intralci la strada, e una manciata di scene di automutilazione di una ferocia
ripugnate. Ferite che crescono sotto medicazioni di fortuna e una muta di pelle
grondante liquidi luccicanti accompagnano un’impostazione da slasher che non ha
nelle costruzioni degli omicidi il suo punto di forza, ma nei malesseri fisici
che li precedono. E in questo bisogna dire che Calahan sa il fatto suo, come
esposto nell’affascinante e cruento prologo e nell’imponente sbudellata finale.
Il circo dei personaggi ha una sua
rispettabilità e i dialoghi non girano a vuoto, il cast pende forse per una
ricerca di volti troppo ammiccanti per il pubblico giovane ma lavora bene e
questo è l’importante. Let Her Out è
quindi un film già visto e di cui forse nessuno aveva bisogno ma, dato che c’è,
una sbirciatina di certo non farà male.
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