Mindwarp (1992)

By Simone Corà | venerdì 7 luglio 2017 | 11:44

Nel lontano 1992, il primo horror prodotto da Fangoria era una badilata ultrasplatter e divertentissima                                                                  

Facciamo un salto indietro. Nel 1990 la rivista Fangoria, dal 1979 magazine numero uno in quanto a critica e approfondimento horror per molti, molti anni a venire, decide di dire la propria in ambito cinematografico e finanzia un progetto ambizioso ma destinato presto ad arenarsi. Delle intenzioni di produrre un film horror all’anno non rimangono che tre strambe pellicole sanguinarie, di cui forse solo una, la prima, realmente interessante, ben costruita e con un valore da offrire al popolo affamato: Mindwarp (Children of the Night e Severed Ties saranno le altre due, entrambe molto interessanti anche se non all’altezza della prima, vedremo di parlarne più avanti). Scritto da John Brancato e Michael Ferris sotto lo pseudonimo di Henry Dominick (nome che tornerà più volte in campo sci-fi dietro a produzioni sempre dubbiose, come la gestione del Terminator post-Cameron) e diretto dal mestierante Steve Barnett, Mindwarp nasce e si mostra come film sci-fi, con un piacevole tocco cyberpunk su quegli stessi argomenti che, qualche anno più tardi, le Wachoski (quando erano ancora Bros) perfezioneranno mondialmente in Matrix. Ovviamente lo abbiamo visto tutti e sappiamo benissimo di cosa stiamo parlando: l’idea è quella di un futuro dove le persone dormono consapevolmente tutto il tempo e trascorrono la propria vita all’interno di un’esistenza virtuale dalla quale si scollegano solo per sgranchirsi i muscoli e mangiare. Ma al di fuori delle megacittà dove abita chi può permettersi tale lusso, tra i quali Judy, decisa a dare un taglio a questa non-vita, ci sono le deadlands dominate da tribù di mostri cannibali e poveri bastardi che cercano di sfangarla. Tra i pochi che ce la fanno, c’è lui.


Bruce Campbell proveniva da una serie di film cult (Maniac Cop, Sundown) ma incapaci di reggere il peso di un Evil Dead 2 e dare lustro all’esuberanza attoriale e alla faccia da culo con cui si era fatto conoscere e amare. Di certo Mindwarp non alza l’asticella delle qualità generale in cui in parte ristagnava la sua carriera ma, nel momento in cui il film sveste i panni tecnologici, affonda gli artigli in uno scenario horror talmente sanguinoso e truculento che sembra paradossalmente somigliare a un rodaggio per quello che succederà qualche mese dopo ne L’armata delle tenebre. Stover, il personaggio che interpreta, non è in fondo così diverso dal più famoso addetto al reparto ferramenta del cinema, è giusto un po’ meno coglione ma affronta l’orrore con la stessa grinta e la mole di facce buffe, e quando inizia la gorefest non ce n’è per nessuno: mutilazioni, sventramenti, sgozzamenti, occhi estirpati, sanguisughe che strisciano sottopelle e macchinari per tritare le persone, il tutto annaffiato da incessanti, davvero incessanti fiotti di sangue. Mindwarp è uno degli ultimi esemplari di film splatter genuini, dove l’opera vive proprio per l’abbondanza di liquido rosso che inzuppa la celluloide dall’inizio alla fine e, senza una tale abbondanza, forse non ci sarebbe poi molto di che scrivere. Tra un eroe dell’horror a spandere carisma e un altro a fare da raggelante villain (Angus Scrimm, uno che la sa lunga in quanto a malvagità glaciale), una protagonista femminile come Judy potrebbe rimanere stritolata, ma Marta Martin ruggisce e si scatena per non fare la solita principessa che attende di venire salvata, e in più di un’occasione è lei a trascinare la battaglia violentissima e a sovvertire i ruoli.

Un film easy ma piacevolissimo, pieno di cazzotti contro i mostri e assurdi geyser di sangue.

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