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Anguish (2015)

By Simone Corà | giovedì 7 gennaio 2016 | 00:01

Tra dramma sociale e possession demoniaca, un film che ha qualcosa da dire                          

Prima recensione dell’anno con l’ultimo horror visto nel 2015, si inizia bene perché è giusto partire carichi, poi nei prossimi giorni, mentre il 2016 comincia a ingranare, mi dedico a qualche recupero degli anni scorsi. Via.

Questo bisogno di affrontare temi difficili e mostruosamente delicati che attraversa parecchio cinema indipendente, potrebbe essere sinonimo di quell’altezzosità che a volte è facile attribuire a un qualche branco di autori interessati forse a far parlare più di se stessi che delle loro creazioni.
Nell’horror è per fortuna cosa ancora strana e di complicata manipolazione, chi si muove nell’indie non ha di solito mezzi e risorse per dare forma alle sue visioni e di certo non ha quel carattere per mettere insegnamenti o pensieri distillati davanti alle più oneste carnosità mostruose che si tenta di plasmare, ma se per un The Babadook è giusto inchinarsi di fronte a un pensiero profondo e altissimo è ben più normale fronteggiare opere sbilenche come Some Kind of Hate, dove le argomentazioni viscerali sono trattate con quell’inflessibilità che rischia di spezzare un film ancora troppo rigidino ed esile per sopportarla.

Anguish, a partire dal titolo, mette subito sul tavolo tutte le sue intenzioni, e a tratteggiare la quotidianità di una famiglia a pezzi non lesina certo sui dolori e sulle molte problematicità. L’adolescente Tess è affetta da disturbi mentali non del tutto chiari e curabili, sua madre è molto giovane e forse rimpiange una vita più semplice e normale che, con un marito soldato in missione all’estero, ora non può avere: su di lei ricade ogni responsabilità e quando le crisi di Tess si fanno più frequenti e importanti non sa dove sbattere la testa.
Sonny Mallhi non è l’ultimo arrivato ma tra varie produzioni e una manciata di sceneggiature poco interessanti non appare di certo come garanzia sufficiente per dipingere simili tragedie, e invece ciò che riesce meglio, almeno in questa prima parte del film, è cosa difficilissima come la naturalezza con cui emerge il caos di una famiglia povera americana, dedita a ogni tipo di stereotipo culturale: nell’esercito lui, molto credente lei, hanno avuto una figlia quand’erano poco più che adolescenti.
Ai problemi di ogni giorno (pillole da prendere, discussioni, il padre lontano che non torna) si sommano quelli nuovi di Tess, e Mallhi sorprende ancora con una gestione degli eventi soprannaturali estremamente sottile e ambigua: ogni situazione fuori dalla norma di cui è protagonista la ragazza potrebbe essere perfettamente giustificabile dalla malattia che la divora, le cadute, i balzi e le visioni potrebbero nascere dalla sua mente e non avere alcun riscontro sul (suo) piano reale, e sono circostanze terribili che la gettano in una confusione e in una paura che da sola non può gestire.


Questo non significa che si tratti di esperienze di poco conto o, peggio, legate a visività già espresse negli infiniti film a tema demoniaco: con una regia deliziosa, lenta, sofferta e molto accorta Mallhi crea alcune sequenze di inquietante meraviglia con zero elementi.
Si priva degli improvvisi sbalzi di volume come vorrebbe certo cinema di genere, rallenta il montaggio evitando tagli bruschi e feroci, e dilata l’angoscia sviluppando l’orrore con le stesse caratteristiche della quotidianità. L’ombra che insegue Tess al capanno o la forza che di colpo la scaraventa a terra sono momenti inaspettati e che colpiscono lasciando ferite che guariscono male, l’infezione si propaga e, nonostante Anguish diventi nella seconda metà un film propriamente horror, abbandonando non so quanto volutamente l’equilibrio precedente, continua a mettere a disagio con scene forti e, sebbene classiche nella direzione narrativa, visivamente stimolanti.
E questo grazie a un uso del sonoro anomalo, molto più violento e scomodo dell’ordinario, quasi perforante nel martellare la testa così come Tess picchia la fronte sulle pareti.

Il cinema di Mallhi sembra essere fatto solo di accenni, di piccole porzioni, segmenti che creano un prodotto personale e che in parte si distanzia dalla comune possessione cinematografica. Ogni frammento è motivato da scelte utili a costruire un personaggio complesso eppure umano, anche quando dentro il suo corpo sembra esserci ben altro.
Gli interventi musicali dal sapore folk e le lunghe scene sullo skate ridefiniscono Tess nonostante l’inferno che la distrugge, e sebbene gli altri personaggi forse vengano strumentalizzati per narrare la storia, privandoli di quegli aspetti più profondi che apparivano nella prima metà, Anguish trasmette sino in fondo disagio e malessere, trovando nella chiusura (l’inevitabile “tratto da una storia vera”, che in parte ridimensiona intenti e capacità) l’unico vero tasto dolente.

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