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Recensione: The Devil's Rock

By Simone Corà | martedì 27 marzo 2012 | 12:00

2011, Nuova Zelanda, colore, 83 minuti
Regia: Paul Campion
Sceneggiatura: Paul Campion, Paul Finch, Brett Ihaka

Una sola ambientazione, quattro personaggi e un soggetto semplice semplice, poco altro, giusto qualche cerchio magico e una secchiata di viscere, per fare di The Devil’s Rock una gradevole e onesta visione. Sulla scia dei vari Deathwatch e Outpost che tanto si fanno apprezzare, nonostante lacune, intoppi e ingenuità, per la sempre piacevole commistione tra scenario di guerra e horror, l’esordio direct-to-video del neozelandese Paul Campion (che ha però un curriculum niente male come addetto agli effetti speciali sui maggiori blockbuster recenti) è un bel b-movie, limitato nei mezzi e povero nella messinscena, ma gestito con un gusto che fa sempre piacere assaporare.

Siamo alla vigilia de D-Day, e in una minuscola isola vicina alle coste francesi un avamposto nazista controlla un enorme cannone che metterebbe in serio pericolo lo sbarco degli alleati. È chiaro che i due soldati inviati per sabotare l’arme tedesca incontreranno ben altro, ma non è tanto nel plot, in sé parecchio esile, che vanno ricercati i buoni spunti di The Devil’s Rock, bensì nella buona atmosfera ricreata, un ambiente sinistro e ostile ottimamente visualizzato dalla discesa nell’orrore narrata nei primi minuti con un efficace prologo: in un silenzio notturno e spettrale, con un ritmo scandito dal respiro teso dei due soldati, il rimbombo delle inspiegabili grida femminili e le immagini del minaccioso edificio crucco che si staglia sulla costa e dai corpi sbudellati che affollano i suoi freddi corridoi sono di grande, grande effetto.

Nel momento in cui l’orrore diventa limpido il film perde quel suo tocco perturbante, ma mantiene un’aura occulta e misteriosa, ben resa dalla scarsa, opaca illuminazione del luogo, che inquadra perfettamente l’essenza infernale di The Devil’s Rock. Perché se la demonessa evocata e incatenato al muro appare fin troppo classico nelle sue intenzioni carnivore e soprattutto nelle tentazioni femminili con cui cerca di giocare gli umani, è proprio nella costruzione dello scenario che Paul Campion centra il bersaglio, con pentacoli, incantesimi arcani, tomi demoniaci, candele, cadaveri, pezzi di carne, viscere e tanto, tanto sangue nel quale inzuppare squisitamente il tutto. Atmosfera che rimane meritevole e interessante anche laddove il teatrino rischia di cadere, con la demonessa che gironzola nella stanza e minaccia i due protagonisti negando allo spettatore le sue nudità.

La vicenda si sviluppa senza troppe sorprese, ma è ben strutturata nei suoi due-tre momenti che rafforzano la narrazione (le motivazioni del crucco per stringere un patto con il soldato alleato), con un dialogo più che discreto e con una regia dinamica e attenta, con cui Campion dimostra di cavarsela all’interno delle due stanze in cui è ambientato l’intero film. Il finale è adeguato e giusto, e non poteva esserci conclusione migliore di un film piccolo e innocuo ma che sarebbe un peccato lasciarsi scappare.

4 commenti:

  1. Molto carino. E poi, bruttina la moglie, eh?

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    1. ps: outpost l'ho trovato piuttosto noioso e quel Deathwatch mi sa che me lo sono fatto scappare. Vaccazzozza, recupero!

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  2. Bruttina si, specie quando si trasforma in demona... ;)

    Outpost si, così così, lo si dimentica subito anche se resta il fascino dell'idea. Da Deathwatch invece mi aspettavo di più, ha una buonissima prima parte psicologica ma poi l'orrore lascia un po' d'amaro in bocca...

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    1. Che è un po' come comparare un film normale alla sua controparte dell'Asylum. Su su, torna ad ascoltare i Children of Bodom... XD

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