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Recensione: Il circo dei vampiri, di Richard Laymon

By Simone Corà | martedì 4 ottobre 2011 | 08:00

Gargoyle Books, 2011
384 pagine, 16 Euro

Grossa, imperdonabile lacuna è quella di non aver mai letto un Laymon in tutti questi anni di indigestioni horror: vuoi la poca cura con cui è stato tradotto (e tagliato) in Italia, vuoi la superficiale idea di un bravo mestierante di genere e poco più, per quanto anche Brian Keene, autore che ammiro parecchio, lo citi tra le sue influenze maggiori, sono sempre stato refrattario ad avvicinarmi a uno degli scrittori horror più prolifici e onesti di sempre. Quale migliore occasione, allora, per rimediare a un simile errore, provandolo con Il circo dei vampiri, romanzo assai curioso, a suo modo particolarmente originale, che gli è valso il Bram Stoker Award quasi a coronamento di una carriera feconda di titoli prima della morte nel 2001, e da poco pubblicato da Gargoyle?

Il circo dei vampiri si può inquadrare in quel fortunato filone orrorifico/formativo con ambientazione retrò che tanto ha meravigliato con gli onnipresenti e onnicitati IT e Stand by me di Stephen King, L’estate della paura di Dan Simmons e In fondo alla palude di Joe Lansdale: la storia è quella di tre amici quindicenni e di un’attrazione circense, il circo dei vampiri appunto, che giunta in città promette di far conoscere al pubblico pagante una pericolosa e autentica succhiasangue. Se lo spunto sembra il più classico, il più semplice per costruire un intreccio in cui amicizia sincera e primi amori siano i valori con cui vincere certe inconsce paure adolescenziale irte di zanne e sempre affamate, il romanzo di Laymon mostra carattere e personalità sfruttando l’orrore per parlare d’altro: buona parte della storia, e parliamo di almeno 300 pagine su 384, è infatti dedicata alla giornata di Dwight, Rusty e Slim, del loro avventurarsi nella zona meno ospitale della città, del loro incontro con un rabbioso cane randagio, del loro rapporto con i genitori, della loro amicizia che si sta trasformando in altro, e soprattutto della loro scoperta della sessualità, aspetto decisamente importante nella costruzione narrativa.

Il circo dei vampiri si discosta pertanto da una comune struttura orrorifica, ed è bene sottolinearlo perché chi si aspetta battaglie sanguinarie e mostri aberranti non troverà niente di tutto ciò. Laymon si prende infatti tutto il tempo necessario per imbastire il racconto delle avventure/disavventure di Dwight e compari: con meticolosa profondità segue le loro vicende, descrivendole attraverso dialoghi chilometrici che, con riuscite punte di ironia, si sbarazzano di ogni tipo di luogo comune affrontando classici argomenti con un’originalità narrativa impressionante, fatta di riflessioni opportune e argute, deliri divertiti e divertenti mai fuori posto, e corpose digressioni che stupiscono per naturalezza e veridicità. Su tutto, spicca una componente erotica che, per quanto prorompente e dilagante, non è mai eccessiva o troppo urlata, anzi, viene sostenuta con il giusto piglio, offrendo un esame veritiero e tremendamente credibile dell’adolescenza masturbatoria maschile. La sicurezza narrativa di Laymon è schiacciante, la padronanza stilistica è sintetica e precisa, il ritmo è perfetto: raramente, davvero raramente ho letto una penna tanto abile nel delineare personaggi e farli vivere con una simile intensità.

L’orrore, ovviamente, non manca, e pur essendo letteralmente relegato a un terribile, devastante squarcio finale, è un’ombra minacciosa che incombe costantemente sui ragazzi, è un’ambiguità comportamentale che confonde e rende sospettosi, è un incongruente e cupo punto di domanda che segue la giornata dei tre protagonisti, fatto di piccoli cenni che disturbano, gettano inquietudine, spiazzano, mettono a disagio. Prima dell’esplosione ormonale/sanguinaria nelle ultime cinquanta pagine, in un corposo e soddisfacente duello tra le due anime del romanzo (la sfuggente soprannaturalità e la morbosità carnale), non sono pochi i momenti che fanno salire un brivido sulla schiena perché imprevisti, impossibili, senza spiegazione, terribilmente credibili nel far strisciare il perturbante nel quotidiano (la scomparsa di Slim, il libro masticato, quando Lee non risponde al telefono).

Non servirebbe nemmeno dire che il vampirismo, tanto nel suo attuale e ridicolo romanticismo quanto nella sua visione più classica e tenebrosa, ha poco o nulla a che vedere con Il circo dei vampiri, il cui titolo è sublime nel portare ulteriore disordine nel lettore, già provato dalla solare eppure asfissiante, melmosa atmosfera respirata nell’intero romanzo. Siamo infatti di fronte a un’opera che azzardo definire unica, un lavoro che solo un autore con lunga esperienza alle spalle può permettersi di scrivere con tale delicatezza orrorifica, con tale sensibilità soprannaturale.

In questo 2011 di buone squisitezze narrative ma ancora privo di un vero e proprio titolo capace di rimanere impresso, di farsi ricordare da queste parti, ho probabilmente trovato la miglior lettura dell’anno. Peccato per i tanti, troppi, imperdonabili refusi.

2 commenti:

  1. Con Laymn accadeva spesso che l'horror fosse solo un pretesto per narrare di altro, in uno dei suoi lavori più famosi: LA BARA, la Vampira entrava in scena nell'ultima pagina.

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  2. Lo recupererò sicuramente, assieme alla saga della Beast House. :)

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