Creata da: Russell T. Davies
Network: BBC/Starz
Non credo di sbagliare dicendo che la sfortuna abbia ingiustamente toccato Torchwood: da serie minore, uno spin-off di Doctor Who “solo” con più sesso e violenza, a raffinato, crudele e struggente dramma fantascientifico, Torchwood dà il meglio di sé quando mamma BBC decide di chiuderla concedendole però un’ultima breccia televisiva nel 2009, abbandonando la struttura episodica per una mini-serie straziante e spietata, Children of the Earth, forse quanto di più spigoloso e nero abbia mai visto in tv. Poi iniziano a girare le chiacchiere, a quanto sembra il soggetto per una quarta stagione è già scritto e si aspetta solo il beneplacito della rete inglese, e nel tardo 2010 si ha l’ufficializzazione: Torchwood risorge ma sbarca in America per una collaborazione BBC/Starz che preannuncia meraviglie. Da una parte le cupissime tematiche affrontate da Davies e il prevalere di un’originale e spinta sessualità omo, dall’altra il coraggio della rete statunitense nel non porsi limiti in quanto a violenza e erotismo (Spartacus e Camelot).
Il risultato purtroppo non è all’altezza delle aspettative, e Miracle Day finirà per deludere soprattutto per questi aspetti poco sfruttati, ma sarebbe sbagliato parlare di prodotto mediocre quando, in realtà, la four season di Torchwood, che si può anche vedere come una sorta di restart della saga ed è quindi indirizzata anche a chi non conosce l’universo che gravita attorno a Doctor Who, è un’opera singolare e per certi aspetti di notevole interesse.
La partenza è fulminante, lo spunto iniziale minaccioso e dalle incredibili potenzialità: un giorno, all’improvviso, la gente smette di morire. È il giorno del miracolo, è il giorno in cui la morte è stata sconfitta, ma c’è ben poco da gioire nell’abbracciare un’immortalità così scomoda e sgradevole: se la morte è morta, il dolore continua invece a esistere, trasformandosi in tormento eterno, un supplizio infernale per chi avrebbe dovuto morire e invece vive, come l’agente Rex Matheson, che non-muore dopo essere stato colpito fatalmente al cuore da delle travi d’acciaio. Le conseguenze di un simile evento sono pertanto apocalittiche e hanno chiaramente gravi riscontri politici, sociali, sanitari ed economici, argomenti ottimamente trattati nella prima parte della stagione, che si rivela essere a tratti eccellente per credibilità e atmosfera drammatica, con un centellinato rilascio di informazioni utili alla risoluzione finale, strategia vincete che Davies ha già brillantemente applicato in Children of the Earth e negli episodi più lunghi e complessi di Doctor Who.
I problemi nascono più che altro in una seconda metà dove la trama inizia a perdere di mordente e si abbassa drasticamente di qualità e attenzione prima di riprendersi nell’ottimo finale, di ampio respiro epico nell’insolita e curiosa costruzione soprannaturale. Si avverte infatti una certa sfasatura, un avanzamento insicuro e inconsistente, una sorta di occasionale superficialità e a tratti addirittura un compromesso a sbrigativi tempi televisivi, come se il soggetto fosse stato pensato per una mini-serie e soltanto in seguito allungato e annacquato per raggiungere una lunghezza televisiva minima (dieci episodi), e se da una parte troviamo buoni alti come l’episodio che racconta la storia tra Jack e Angelo, dall’altra si incappa in bassi tremendi come il rapimento della famiglia di Gwen o l’intervento diretto della CIA in casa di Angelo.
Ciò che rimane del team Torchwood, Jack e Gwen, riprende vita con nuovi membri che non potranno affettivamente mai rimpiazzare Ianto e gli altri, ma che tutto sommato, pur assestandosi su classiche caratterizzazioni (il negro duro, severo ma simpatico, l’esperta informatica figa e un po’ svampita), fanno il loro dovere. Sorprendono i villain, una bravissima Lauren Ambrose nei panni dell’agguerrita promoter farmaceutica, e soprattutto uno straordinario, straordinario Bill Pullman nell’ostico ruolo di un pedofilo che diventa idolo della folle. E splendida si conferma Eve Myles, convinta, intensa, decisa, perfettamente e meravigliosamente a suo agio in un ruolo che lei stessa ha praticamente costruito, e che sempre meglio trova partner ideale nel divertente Rhys, meno impulsivo e brontolone che in passato, ma di sincera e tenera simpatia. A non convincere pienamente è però lui, il capitano Jack Harkness, che, per quanto sempre rocciosamente interpretato da John Borrowman, si ritrova privo dell’irruenza e del potere delle scorse stagioni: dal “se non fai come dico io ti sparo in faccia” all’attuale buonismo sorridente, Jack perde quel fascino maledetto e carismatico del leader positivo ma all’occorrenza cattivo e spietato, e, come se non bastasse, il delicato argomento omosessuale che tanto aveva brillato in precedenza, facendo della carica erotica di Jack una sorta di elemento quasi soprannaturale, ora viene sminuito (Jack va semplicemente in un locale per gay e si tromba il barista, tutto qua) e addirittura ridicolizzato da un umorismo sbarazzino e tipicamente americano, che nulla c’entra con l’accento ironico british con cui si sottolineava precedentemente l’esuberanza sessuale del personaggio.
Ed è proprio l’intervento a stelle e strisce a farsi sentire (mal)volentieri più di una volta, dalle improvvise mosse da eroina di Gwen a certe roboanti sequenze action che non si incastrano particolarmente bene con quelle atmosfere britanniche che permangono nella serie. Leggerezza in fase di scrittura o supervisione spicciola di Starz non ci è dato saperlo, resta il rammarico per tanti piccoli (e grandi) tocchi che danneggiano un prodotto potenzialmente sfavillante e che invece è soltanto discreto. E fa ancora più male sapere che Starz, per ora, non sembra intenzionata a rinnovare la serie...
Network: BBC/Starz
Non credo di sbagliare dicendo che la sfortuna abbia ingiustamente toccato Torchwood: da serie minore, uno spin-off di Doctor Who “solo” con più sesso e violenza, a raffinato, crudele e struggente dramma fantascientifico, Torchwood dà il meglio di sé quando mamma BBC decide di chiuderla concedendole però un’ultima breccia televisiva nel 2009, abbandonando la struttura episodica per una mini-serie straziante e spietata, Children of the Earth, forse quanto di più spigoloso e nero abbia mai visto in tv. Poi iniziano a girare le chiacchiere, a quanto sembra il soggetto per una quarta stagione è già scritto e si aspetta solo il beneplacito della rete inglese, e nel tardo 2010 si ha l’ufficializzazione: Torchwood risorge ma sbarca in America per una collaborazione BBC/Starz che preannuncia meraviglie. Da una parte le cupissime tematiche affrontate da Davies e il prevalere di un’originale e spinta sessualità omo, dall’altra il coraggio della rete statunitense nel non porsi limiti in quanto a violenza e erotismo (Spartacus e Camelot).
Il risultato purtroppo non è all’altezza delle aspettative, e Miracle Day finirà per deludere soprattutto per questi aspetti poco sfruttati, ma sarebbe sbagliato parlare di prodotto mediocre quando, in realtà, la four season di Torchwood, che si può anche vedere come una sorta di restart della saga ed è quindi indirizzata anche a chi non conosce l’universo che gravita attorno a Doctor Who, è un’opera singolare e per certi aspetti di notevole interesse.
La partenza è fulminante, lo spunto iniziale minaccioso e dalle incredibili potenzialità: un giorno, all’improvviso, la gente smette di morire. È il giorno del miracolo, è il giorno in cui la morte è stata sconfitta, ma c’è ben poco da gioire nell’abbracciare un’immortalità così scomoda e sgradevole: se la morte è morta, il dolore continua invece a esistere, trasformandosi in tormento eterno, un supplizio infernale per chi avrebbe dovuto morire e invece vive, come l’agente Rex Matheson, che non-muore dopo essere stato colpito fatalmente al cuore da delle travi d’acciaio. Le conseguenze di un simile evento sono pertanto apocalittiche e hanno chiaramente gravi riscontri politici, sociali, sanitari ed economici, argomenti ottimamente trattati nella prima parte della stagione, che si rivela essere a tratti eccellente per credibilità e atmosfera drammatica, con un centellinato rilascio di informazioni utili alla risoluzione finale, strategia vincete che Davies ha già brillantemente applicato in Children of the Earth e negli episodi più lunghi e complessi di Doctor Who.
I problemi nascono più che altro in una seconda metà dove la trama inizia a perdere di mordente e si abbassa drasticamente di qualità e attenzione prima di riprendersi nell’ottimo finale, di ampio respiro epico nell’insolita e curiosa costruzione soprannaturale. Si avverte infatti una certa sfasatura, un avanzamento insicuro e inconsistente, una sorta di occasionale superficialità e a tratti addirittura un compromesso a sbrigativi tempi televisivi, come se il soggetto fosse stato pensato per una mini-serie e soltanto in seguito allungato e annacquato per raggiungere una lunghezza televisiva minima (dieci episodi), e se da una parte troviamo buoni alti come l’episodio che racconta la storia tra Jack e Angelo, dall’altra si incappa in bassi tremendi come il rapimento della famiglia di Gwen o l’intervento diretto della CIA in casa di Angelo.
Ciò che rimane del team Torchwood, Jack e Gwen, riprende vita con nuovi membri che non potranno affettivamente mai rimpiazzare Ianto e gli altri, ma che tutto sommato, pur assestandosi su classiche caratterizzazioni (il negro duro, severo ma simpatico, l’esperta informatica figa e un po’ svampita), fanno il loro dovere. Sorprendono i villain, una bravissima Lauren Ambrose nei panni dell’agguerrita promoter farmaceutica, e soprattutto uno straordinario, straordinario Bill Pullman nell’ostico ruolo di un pedofilo che diventa idolo della folle. E splendida si conferma Eve Myles, convinta, intensa, decisa, perfettamente e meravigliosamente a suo agio in un ruolo che lei stessa ha praticamente costruito, e che sempre meglio trova partner ideale nel divertente Rhys, meno impulsivo e brontolone che in passato, ma di sincera e tenera simpatia. A non convincere pienamente è però lui, il capitano Jack Harkness, che, per quanto sempre rocciosamente interpretato da John Borrowman, si ritrova privo dell’irruenza e del potere delle scorse stagioni: dal “se non fai come dico io ti sparo in faccia” all’attuale buonismo sorridente, Jack perde quel fascino maledetto e carismatico del leader positivo ma all’occorrenza cattivo e spietato, e, come se non bastasse, il delicato argomento omosessuale che tanto aveva brillato in precedenza, facendo della carica erotica di Jack una sorta di elemento quasi soprannaturale, ora viene sminuito (Jack va semplicemente in un locale per gay e si tromba il barista, tutto qua) e addirittura ridicolizzato da un umorismo sbarazzino e tipicamente americano, che nulla c’entra con l’accento ironico british con cui si sottolineava precedentemente l’esuberanza sessuale del personaggio.
Ed è proprio l’intervento a stelle e strisce a farsi sentire (mal)volentieri più di una volta, dalle improvvise mosse da eroina di Gwen a certe roboanti sequenze action che non si incastrano particolarmente bene con quelle atmosfere britanniche che permangono nella serie. Leggerezza in fase di scrittura o supervisione spicciola di Starz non ci è dato saperlo, resta il rammarico per tanti piccoli (e grandi) tocchi che danneggiano un prodotto potenzialmente sfavillante e che invece è soltanto discreto. E fa ancora più male sapere che Starz, per ora, non sembra intenzionata a rinnovare la serie...
Le collaborazioni USA su serie Uk, non hanno mai portato a buoni risultati; basta ricordare a come il Produttore Freidemberg rovinò la seconda stagione di SPAZIO 1999 . Probabilmente sarà che gli Yankees ritengono le serie Inglesi troppo "cerebrali" e allora per risolvere, seocndo loro, gli immettono dosi eccessive di umorismo greve.
RispondiEliminaMy two cents.
Mah, guarda, non è l'umorismo in sé, la serie originale ne è piena, è proprio un modo di fare americano che nulla ha a che vedere con quello inglese: l'eroina deve fare le capriole e poi sparare come un robot a un elicottero e farlo esplodere e cose del genere, insomma.
RispondiEliminaMa sul fatto che gli yankees ritengano cerebrali le serie british, e per questo bisogna rovinarle (vedi i remake dei vari Being Human e Life on Mars, di cui ho sentito parlare male ovunque) concordo. :)
Su questa stagione ho letto opinioni che vanno da "qualcosa si può salvare" al "è tutto un disastro".
RispondiEliminaTutte avevano in comune la critica all'eccessiva lunghezza e annacquamento della trama.
E fino lì siamo d'accordo. Spero che RTD, se mai ve ne sarà occasione, riconsideri l'ipotesi di tornare a un formato più compresso.
Un po' meno condivido le critiche ad alcuni personaggi (Rhys e Rex su tutti) e ai tentativi di eliminare Jack e Gwen. Uno come Jack trova sempre qualcuno desideroso di fargli la pelle :D
Ciò che critico io, soprattutto, sono i lunghi momenti di chiacchiericcio e psicodrammi che finora si erano sempre evitati (anche il Doctor dà gli spiegoni, ma nel frattempo corre!). Minutaggio sprecato.
La maggior parte di quei momento sono negli episodi 2-6, quindi, in un certo senso, mi trovo in disaccordo con te, dando un voto più basso alla prima metà rispetto alla seconda.
Ottima recitazione del cast inglese, mentre quello americano (con le eccezioni di Pullmann, Ambrose e De Lancie) non è sempre stato efficace. Eve Myles è inarrivabile. :)
All'inizio anch'io ho trovato Barrowman un po' sotto tono, ma, col senno di poi, si può dire tranquillamente che abbia interpretato un Jack in un momento davvero particolare, e di grande debolezza, della sua lunga vita. Certo, avesse avuto un po' dello spirito fatalista che aveva ai tempi di The Doctor dances (era mortale anche lì, in fondo)forse sarebbe risultato più simpatico, ma occorre ammettere che per lui è passato taaaanto tempo da allora.
In conlusione spero che la Starz (ancora meglio la BBC) ci ripensi - anch'io son dell'idea che molte negatività siano colpa loro e degli autori americani, l'episodio 2 ne offre un campionario completo - e ci regali una quinta stagione.
Diciamo che ciò che apprezzo della prima metà è il voler creare lo stato apocalittico che imperversa nel mondo, e come atmosfera ci riesce benissimo. E' vero, la scelta di episodi a loro modo autoconclusivi (i leader politici estremisti, il killer che vuole uccidere Jack...) danneggia un po' e annacqua il tutto, ma penso che tutto sommato funzionino bene. (E comunque io ho trovato il secondo episodio, per quanto alla fine sia totalmente inutile, davvero ben scritto e coinvolgente ;) ).
RispondiEliminaLa seconda parte diventa invece un po' action all'americana, è tutto più svelto ma molto meno credibile, e boh, prima dell'accoppiata finale ho anche sbadigliato un po', oltre a rimanere perplesso (la CIA nella casa di Angelo e quello che trovano sotto il pavimento, madò, che puntata terribile).
Nel complesso comunque conservo già un bel ricordo di questa serie, di certo non grido al disastro. Ma speriamo, speriamo nella quinta. :)