Bisogna stringergli le mani e scuoterle forte, a Samuel Marolla. Pubblica un’antologia di racconti per Mondadori, la splendida Malarazza, lavora per la Bonelli firmando la sceneggiatura di un numero di Dampyr (La locanda delle ultime feste), e adesso, che potrebbe spiccare un balzo ancora più grande, che potrebbe conquistare il mondo, sceglie di regalare questo suo primo romanzo. Regalare, sì, dato che 0,99 € non sono nulla, perché nulla, al giorno d’oggi, costa meno, se non un caffè, ma chissà se, qui in Italia, questo regalo verrà apprezzato. Se non è gratis, l’autoproduzione in e-book è una strada rischiosa, falla pagare anche un misero sputo e le probabilità che il lettore medio decida di “risparmiare” quell’euro per poi, in libreria, comprare l’ultima novità spendendone 25 non è così inverosimile.
E questo sarebbe un vero peccato, perché Il colosso addormentato, al di là di un paio di irrilevanti nei, è un ottimo romanzo, e meriterebbe ogni tipo di pubblicità, di passaparola, di propaganda.
A metà strada tra zombie-story e suggestioni carpenteriane, seguiamo le vicende di questo cupo Indiana Jones, inviato in Medio Oriente assieme a un’unità di Alpini per studiare l’incredibile reperto recuperato all’interno di una formazione rocciosa, una gigantesca statua alta oltre trecento metri, che si rivelerà causa di orrori mostruosi e ancestrali. Lo spunto, com’è facile intuire, è semplice, un orrore pseudo-archeologico proveniente da un passato dimenticato, un orrore che si tinge tanto di sulfuree atmosfere lovecraftiane quanto di moderni, adrenalinici terrori, il tutto mescolato con un’inquietudine sovrastante e annichilente che Marolla ha già avuto modo di mostrare nei suoi racconti precedenti.
Tolto un incipit forse eccessivamente schematico, necessario per dare più che altro il via alla storia quando, invece, un addentrarsi più calmo avrebbe permesso un maggior spessore introduttivo, Il colosso addormentato soffoca subito il lettore con cieli narrativi plumbei e senza speranza. L’orrore infatti è sempre presente, sia nelle descrizioni del sito che custodisce il colosso, sia nei segnali primordiali che fanno presagire quanto stia per accadere. Marolla costruisce periodi lunghissimi e densi, densi di un lessico del terrore sfruttato con maestria e di una costruzione narrativa ipnotica, dove i punti svaniscono in favore delle virgole, valanghe di virgole che creano un voluto e difficilissimo smarrimento e, se vogliamo, un sublime stordimento tipico dell’incubo. E se nelle notevoli scene d’azione si rimane basiti per la scorrevolezza e l’agilità del testo nonostante queste frasi lunghe anche una cartella intera, nei momenti più tetri e opprimenti (su tutti il breve soggiorno nella cittadina vicino alla base militare) Marolla forgia parentesi di angoscia, ombre di pura materia sinistra, che distorcono la normale visione della realtà e feriscono con iniezioni di paura, paura, che raramente uno scrittore del terrore è in grado di ricreare.
Che 160 pagine siano forse pochine, considerando alcune sezioni che meritavano, nella contestualizzazione generale, una consistenza più definita (penso all’attacco dell’esercito afghano, o ad alcuni salti un po’ bruschi), è un’imperfezione di relativa importanza: c’è così tanto, in questo breve romanzo, così tanta qualità narrativa (i dialoghi straordinari, che da soli costruiscono personaggi molto intriganti come il Pulè o il colonnello Tam), così tanta sicurezza stilistica da poter permettersi di modellare la punteggiatura come gli pare, così tanta meraviglia perturbante, e si parla di orrore vero, quello che scorre nelle vene fino a raggiungere il cervello e cancellare i sensi, da rendere Il colosso addormentato una lettura obbligatoria per chi bazzica in questi luoghi dell’horror su cellulosa.
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Il buon Marolla merita di essere sostenuto sempre e comunque, io mi sa che lo comprerò dopo aver finito di leggere una cosuccia nomata Disgrazieti Tafani di tal Corrò, o qualcosa del genere...:P
RispondiEliminaLo recensirò anch'io, perché è davvero un ottimo romanzo.
RispondiEliminaIo ne ho apprezzatto anche la relativa brevità. Mi ha ricordato quei romanzi degli anni '70, in cui non era ancora obbligatorio scrivere saghe o tomi di 1000 pagine.
Ottimi i richiami a Carpenter, a La fortezza e a una miriade di piccoli grandi capolavori del recente passato.
Questo è il citazionismo che mi piace.
@ Nick: bravo!
RispondiElimina@ Alex: vero, un sacco di citazioni/omaggi, tutti ben mescolati in una storia coi controcazzi.
questa non te la leggo perchè devo leggerlo pure io, a breve
RispondiElimina:)
l'ho comprato tempo fa direttamente dal sito dell'autore, ma l'ho letto ed apprezzato solo ora.
RispondiEliminala brevità, o forse meglio la concisione, in realtà me lo ha fatto gustare meglio.
Poi i pochi personaggi presenti sono ben delineati, mai fuori fuoco, dialoghi sempre credibili.
complimenti all'autore
comprato al volo dal suo sito personale, comunque mi chiedo perchè svendersi a tal punto...
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