2006, Spagna, colore, 70 minuti
Regia: Juame Balaguerò
Sceneggiatura: Juame Balaguerò, Alberto Marini
Mario e Clara, felice coppia in attesa di un bambino, sono alla ricerca di una nuova casa in cui vivere ora che la loro famiglia sta per ingrandirsi. Incuriositi da un’offerta economica per un appartamento in periferia, vengono accolti da un’agente immobiliare speranzosa, che li conduce in un locale però vecchio, sporco, apparentemente abbandonato. Come il condominio, l’appartamento è trascurato e coperto di polvere, e quando Clara insiste per andarsene da quel posto lurido, l’agente immobiliare ferisce Mario con un tostapane. È l’inizio di un incubo.
To let, titolo internazionale, abbracciato anche dalla versione italiana, dell’originale Para entrar a vivir, è il contributo dell’ottimo Juame Balaguerò ai Masters of Horror spagnoli, le cosidette Peliculas para no dormir. La formula è grosso modo identica ai fratellini a stelle e strisce, compresa la complessiva qualità tremenda, e quindi ecco riuniti i maggiori cineasti del terrore iberici per altrettanti episodi orrorifici della durata di poco più di un’ora.
È facile riconoscere il tocco di Balaguerò in questa pellicola sudicia e bagnata: gli ambienti logori, bui, ricoperti di muffa e insetti, mostrano il suo amore malsano per una certa sgradevolezza contestuale, elemento presente in tutti i suoi film, come se, in qualche modo, l’orrore e i suoi derivati possano esistere, respirare e crescere soltanto in habitat tenebrosi, lerci, dimenticati.
Fotografia e scenografia appaiono quindi subito aspetti cardine per garantire l’immersione, cosa che riesce in pieno grazie a un’illuminazione sfocata, distante, irraggiungibile, che copre di caligine gli interni
di un locale sinistramente arredato.
Per il resto, come facilmente intuibile dalla sinossi, To let è un ordinario torture-movie con pochi guizzi e ancora meno sorprese, che si àncora abbastanza saldamente a cliché che, nonostante la breve vita di un sottogenere tanto gettonato, sono già da tempo privi di risorse appetitose.
Una volta capito che non si tratta di una ghost-story, come certi intuzioni potevano lasciar trapelare, la follia schizofrenica e sanguinaria della perfida agente immobiliare esplode in maniera piuttosto palese, e il film si incanala in schemi classici, fatti di fughe traballanti, nascondigli improvvisati, respiri mozzati, ritrovamenti fortuiti (quei maledetti cellulari che suonano sempre nei momenti meno opportuni), sevizie dolorose e quindi nuove fughe ancora.
Niente che non si conosca già a memoria, quindi, ma bisogna dare atto a Balaguerò di aver comunque costruito un giocattolino di discreta tensione, che nella sua banalità non annoia mai e, anzi, assesta anche un paio di buoni momenti di tensione. To let è poco più di un compitino svolto con mestiere, ma il mestiere del regista spagnolo è comunque avanti anni luce rispetto a quello mostrato dai suoi colleghi negli atroci Masters of Horror, probabilmente quanto di più brutto e infimo poteva regalarci la scena horror odierna, e nei restanti, brutti cuginetti spagnoli.
Dispiace quindi che non si sia lavorato con più attenzione sui personaggi, lasciandoli marcire in scontati manichini. Imprigionare l’agente immobiliare in una figura standardizzata dalle risate prive di senno e dai discorsi deliranti poteva essere una facile tentazione registica, ma un personaggio come Mario, così soggetto ai calci e ai pugni e, in generale, all’essere stupidamente sopraffatto, doveva essere reso più credibile attraverso una personalità fragile e goffa. Stesso discorso per l’uomo incatenato al secondo piano, appiccicato a una grossolana figura maschile dagli occhi folli e dalla testa pelata che non lascia dubbi su cosa possa fare nella parte finale.
Pellicola sufficiente, in definitiva, che permette comunque un’ora piacevole di visioni sgradevoli e distorte, ma se non vi portate dietro gli antistaminici per la vostra allergia ai torture-movie, c’è il rischio che possiate starnutire dall’inizio alla fine.
Regia: Juame Balaguerò
Sceneggiatura: Juame Balaguerò, Alberto Marini
Mario e Clara, felice coppia in attesa di un bambino, sono alla ricerca di una nuova casa in cui vivere ora che la loro famiglia sta per ingrandirsi. Incuriositi da un’offerta economica per un appartamento in periferia, vengono accolti da un’agente immobiliare speranzosa, che li conduce in un locale però vecchio, sporco, apparentemente abbandonato. Come il condominio, l’appartamento è trascurato e coperto di polvere, e quando Clara insiste per andarsene da quel posto lurido, l’agente immobiliare ferisce Mario con un tostapane. È l’inizio di un incubo.
To let, titolo internazionale, abbracciato anche dalla versione italiana, dell’originale Para entrar a vivir, è il contributo dell’ottimo Juame Balaguerò ai Masters of Horror spagnoli, le cosidette Peliculas para no dormir. La formula è grosso modo identica ai fratellini a stelle e strisce, compresa la complessiva qualità tremenda, e quindi ecco riuniti i maggiori cineasti del terrore iberici per altrettanti episodi orrorifici della durata di poco più di un’ora.
È facile riconoscere il tocco di Balaguerò in questa pellicola sudicia e bagnata: gli ambienti logori, bui, ricoperti di muffa e insetti, mostrano il suo amore malsano per una certa sgradevolezza contestuale, elemento presente in tutti i suoi film, come se, in qualche modo, l’orrore e i suoi derivati possano esistere, respirare e crescere soltanto in habitat tenebrosi, lerci, dimenticati.
Fotografia e scenografia appaiono quindi subito aspetti cardine per garantire l’immersione, cosa che riesce in pieno grazie a un’illuminazione sfocata, distante, irraggiungibile, che copre di caligine gli interni
di un locale sinistramente arredato.
Per il resto, come facilmente intuibile dalla sinossi, To let è un ordinario torture-movie con pochi guizzi e ancora meno sorprese, che si àncora abbastanza saldamente a cliché che, nonostante la breve vita di un sottogenere tanto gettonato, sono già da tempo privi di risorse appetitose.
Una volta capito che non si tratta di una ghost-story, come certi intuzioni potevano lasciar trapelare, la follia schizofrenica e sanguinaria della perfida agente immobiliare esplode in maniera piuttosto palese, e il film si incanala in schemi classici, fatti di fughe traballanti, nascondigli improvvisati, respiri mozzati, ritrovamenti fortuiti (quei maledetti cellulari che suonano sempre nei momenti meno opportuni), sevizie dolorose e quindi nuove fughe ancora.
Niente che non si conosca già a memoria, quindi, ma bisogna dare atto a Balaguerò di aver comunque costruito un giocattolino di discreta tensione, che nella sua banalità non annoia mai e, anzi, assesta anche un paio di buoni momenti di tensione. To let è poco più di un compitino svolto con mestiere, ma il mestiere del regista spagnolo è comunque avanti anni luce rispetto a quello mostrato dai suoi colleghi negli atroci Masters of Horror, probabilmente quanto di più brutto e infimo poteva regalarci la scena horror odierna, e nei restanti, brutti cuginetti spagnoli.
Dispiace quindi che non si sia lavorato con più attenzione sui personaggi, lasciandoli marcire in scontati manichini. Imprigionare l’agente immobiliare in una figura standardizzata dalle risate prive di senno e dai discorsi deliranti poteva essere una facile tentazione registica, ma un personaggio come Mario, così soggetto ai calci e ai pugni e, in generale, all’essere stupidamente sopraffatto, doveva essere reso più credibile attraverso una personalità fragile e goffa. Stesso discorso per l’uomo incatenato al secondo piano, appiccicato a una grossolana figura maschile dagli occhi folli e dalla testa pelata che non lascia dubbi su cosa possa fare nella parte finale.
Pellicola sufficiente, in definitiva, che permette comunque un’ora piacevole di visioni sgradevoli e distorte, ma se non vi portate dietro gli antistaminici per la vostra allergia ai torture-movie, c’è il rischio che possiate starnutire dall’inizio alla fine.
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