Regia: Yudai Yamaguchi, Jun’ichi Yamamoto
Sceneggiatura: Junya Kato
Yoji, ragazzo solitario e senza amici, divide le sue giornate tra il pesante lavoro in fabbrica, dove è perseguitato dalle angherie dei colleghi, e i sogni su Sachiko, una graziosa fanciulla di cui è segretamente innamorato.
Una sera, dopo un’infelice serata al cinema a luci rosse, Yoji entra per caso in possesso di una creatura simile a un ragno. Ancora non sa che si tratta di un Necroborg, un parassita che prende controllo di un corpo altrui e lo trasforma in una sanguinaria macchina da guera.
Low-budget dal Sol Levante, dove creature aliene armate fino ai denti si combattono l’una contro l’altra alla faccia degli umani, che vengono usati come semplici involucri per mettere in pratica i loro oscuri piani. Data la trama, che evidenzia chiaramente quali saranno i tasti premuti, si potrà quindi sguazzare tra litri di sangue, vagonate di budella, occhi estirpati e quant’altro di goduriosamente splatter possano permettere le infinite armi costruite dai Necroborg.
Ci si muove a metà strada tra serietà e demenza (anche se l’ago della bilancia pende pesantemente più sulla prima che sulla seconda), con una buona aggiunta di delirio dovuto ai combattimenti tra Necroborg che, per via delle armature in gommapiuma e dei pochi fondi a disposizione, non possono che ricordare le tremende creature affrontate dai Power Rangers.
Il maggior punto di riferimento è il masterpiece Tetsuo, di Shinya Tsukamoto, di cui ricalca – con stile, bisogna ammetterlo – l’ingengeria biorobotica che sfruttano i Necroborg, e una certa frenesia schizofrenica nei vari scontri disseminati nella pellicola.
La serietà sta comunque alla base di Meatball Machine, e la tristezza che filtra dalla squallida vita che si è costruito Yoji, è ben descritta e realistica. Si convive con la sua miseria e i suoi sogni irrealizzabili, si soffre per la sua incapacità di comunicare e si prova la stessa rabbia quando le cose si mettono male.
Una simile drammaticità viene spezzata da iniezioni grottesche, che a volte sfiorano il comico (raggiungendo risultati esilaranti nell’epilogo), che stemperano la gravità della situazione e sembrano quasi ridicolizzare, con intelligenza, quanto costruito.
Meatball Machine, come la sua illustre fonte di ispirazione, è un film in gran parte muto, e i dialoghi, sempre brevi e sintetitici, vengono raggruppati in occasioni particolari, importanti ai fini della comprensione della trama (inaspettatamente articolata e con un paio di colpi di scena ben assestati). Per il resto il film si regge sugli sguardi intensi e sofferenti di Issei Takahashi e Aoba Kawai, e su tonnellate di scontri e botte da orbi.
Botte da orbi che garantiscono un altissimo livello gore, nonché momenti di una crudeltà esasperata e stordente. L’esagerazione viene sfiorata più volte, per mezzo di citazioni-omaggi a non finire (il parassita è una versione più lercia e rozza di un facehugger, le armi che fabbricano i Necroborg non possono che far pensare a un Predator dagli occhi a mandorla) ma ottime intuizione visive (la nascita del primo Necroborg, lunga e disturbante) controbilanciano una certa voglia di strafare.
Meatball Machine è un film piccolo, destinato a un mercato ancora più piccolo, ma ha molte carte da giocare. Non vederlo sarebbe un errore.
0 commenti:
Posta un commento