La Corona di Ghiaccio
By Simone Corà | domenica 6 luglio 2008 | 23:47
di Terry Pratchett
357 pagine
Mondadori
17 euro
Tiffany è una giovane strega di talento: a nove anni ha sconfitto la crudele Regina delle Fate e a undici si è liberata di un antico demone che si era impossessato del suo corpo. Ma affrontare un corteggiatore è ben altra impresa... soprattutto se si tratta dell’Invernaio, con tanto di rose di ghiaccio e dichirazioni di brina sui vetri. Se Tiffany non riesce a farlo ragionare, la primavera potrebbe non tornare mai più. La piccola grande strega avrà bisogno dell’aiuto delle sue colleghe, dei consigli della Dea Delle Cose Che Si incastrano Nei Cassetti e, che lo voglia o no, anche dell’incontrollabile contributo dei minuscoli Nac Mac Feegle.
Quando arriva il momento di recensire il proprio scrittore preferito, l’incubo di un’improvvisa stasi critica e relativa assenza ingiustificata di parole, termini e commenti appropriati, può portare a terribili momenti di sconforto e tentativi si suicidio. D’altro canto, essere oggettivi quando qualsiasi cosa scriva Pratchett, si sa, diventa oro purissimo, mi permette di essere un po’ più tranquillo nello stendere qualcosa che assomigli a una recensione.
La Corona di Ghiaccio è la terza puntata della saga della piccola strega Tiffany e delle sue ancora più piccole guardie del corpo, i Nac Mac Feegle. E questo terzo episodio spazza definitivamente via anche il dubbio più minuscolo circa la qualità narrativa dell’ultimo Pratchett, che sembrava essersi offuscata proprio con il primo appuntamento di questa nuovo ciclo di storie ambientato nel Mondo Disco (L’Intrepida Tiffany e i Piccoli Uomini Liberi), ma che già con il secondo capitolo (Un Cappello pieno di Stelle), nonostante una certa macchinosità di fondo, rischiarava il cielo e sconfiggeva le nubi creative.
Lasciata quindi da parte un’improbabile limitazione dettata dalla dicitura only for children – caratteristica che aveva condannato il primo episodio della saga, rendendolo goffo e mal bilanciato tra semplice favola e sottile british sense of humor –, La Corona di Ghiaccio, come il suo predecessore, mostra un Pratchett in forma smagliante, capace di una fluidità e scorrevolezza narrativa che riassumono quasi trent’anni di onorata carriera (e che, probabilmente, segnerà l’apice stilistico dello scrittore inglese, a causa dell’ahimé terribile malattia recentemente diagnosticatagli).
Digerita una sorta di contorsione discorsiva riscontrabile saltuariamente in Un Cappello pieno di Stelle, La Corona di Ghiaccio, tolto uno zoppiccante prologo dalle venature epiche e poetiche, è un irresistibile frullato di invenzioni, giochi di parole, dialoghi brillanti (il linguaggio dei Nac Mac Feegle, nella sua mistura di antichità e parole inventante, è qualcosa di incontenbile) e spassossime caratterizzazioni. I numerosi personaggi vivono di personalità tanto buffe quanto intelligenti, e se da una parte il romanzo diventa opera di formazione per la crescita dell’ormai adolescente Tiffany, dall’altra prende piede un innesto spiaccatamente sociale, che mette in ginocchio frivolezze e debolezze umane, filtrate e condannate da un umorismo a tratti addirittura commovente.
La filosofia di vita delle streghe del Mondo Disco, infatti, senza mai lasciarsi andare a sterili moralismi e stupide retoriche, si addentra nella filosofia umana del pianeta Terra, criticandola in un modo così semplice e naturale da creare una parte a sé stante del romanzo, lasciando in disparte la trama vera e propria.
L’ennesima splendida conferma, dunque, per l’autore che più di chiunque altro mi ha convinto a imbracciare tastiera e monitor, e che tutt’ora continua a essere forse il mio unico punto di riferimento nell’universo narrativo. Faro che, tra una risata e un’altra, permette anche di non guardare troppo tristemente al futuro, quando la natura crudele deciderà di concludere il suo inevitabile corso.
Una postilla: magari sarebbe ora che qualcuno mettesse da parte certi paraocchi e gli concedesse una seconda chance.
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