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I migliori horror del 2017

By Simone Corà | giovedì 28 dicembre 2017 | 00:01

Il meglio del meglio dell'horror 2017                                                                               
                                                                      

L’horror nel 2017 ha saputo riprendersi dal raffreddore concettuale che aveva bloccato ogni buon intuito del 2016, un’annata ben poco interessante e con molti più interrogativi che piacevoli conferme. Quest’anno abbiamo avuto un traino di pubblico e, anche se per fortuna solo parzialmente, critica con IT, che in qualche modo è riuscito a sciogliere certi meccanismi ingrippati nelle major raccogliendo i fantastiliardi al botteghino pur con un divieto ai minori con cui, fino all’altro giorno, sembrava impensabile presentare un horror mainstream. Fa sorridere che questo sia stato possibile grazie a un film banale, malconcio e che nulla offre in più rispetto alla mediocrità generale del cinema-Wan, ma si spera che con una porta sfondata con così tanto clamore possa seguire un approccio cinematografico all’horror ben più coraggioso anche da parte dei vari colossi. Il rated-R non è di certo la chiave per fare bel cinema, ma sarà quanto meno utile per uscire dai confini disenyani che sono stati settati negli ultimi anni. Meglio un Logan con artigli di adamantio che fracassano crani piuttosto che un Kong: Skull Island, pur piacevole e pieno di mostri enormi, dove non si versa una goccia di sangue.
In fondo, mai come adesso il cinema più tradizionale sembra sempre più tingersi di un orrore che forse in passato si preferiva mantenere ingabbiato in un suo preciso schema. Lo stesso Kong: Skull Island, PG-13 a parte che lo rende innocuo come un peluche, è un incredibile tentativo degli studios di creare qualcosa di bellissimo e sinceramente di genere con uno spirito di totale divertimento che avevano invece clamorosamente ciccato in Godzilla un paio d’anni fa.
Abbiamo un meraviglioso western violentissimo e senza speranza come Brimstone che si avvicina così tanto a certi frangenti dell’horror da diventare quasi la miglior proposta in ambito torture mai vista negli ultimi anni. Del Toro e i suoi mostri vincono il Leone D’Oro. La Norvegia indirizza l’horror telecinetico Thelma lungo la strada degli oscar. Lanthimos, con lo straordinario mix di horror e tragedia greca The Killing of a Sacred Deer, si becca la miglior sceneggiatura a Cannes. Sono segnali abbastanza chiari, o almeno questa è la speranza, di come l’horror stia nuovamente guadagnando il rispetto meritato, staccandosi lentamente da un semplice concezione di jumpscare idioti con cui spaventare lo spettatore occasionale e/o prodotto preconfezionato da vendere a un pubblico prettamente adolescenziale. Forse si sta finalmente raggiungendo una piena coscienza di cosa l’horror possa essere, e questo non può che farmi tifare per un 2018 che già attendo con l’acquolina.
Nel mentre, è impossibile sottrarsi anche quest’anno alla top ten dei migliori horror. Via.
 
Tramite Netflix arriva dal Messico un piccolo gioiello a metà tra la fantascienza e l’horror con un gusto retrò che ha ben pochi rivali. Una stazione degli autobus intrappolata nello spazio e nel tempo da un’anomalia che muta la fisionomia di tutte le persone in un uomo barbuto e dal grilletto facile. Nel mezzo invasioni aliene, comics dall’influenza soprannaturale, poteri telecinetici e improvvisi esplosioni gore in una storia in bianco e nero che profuma di Rod Sterling e Ai confini della realtà.
 
La nuova sfida sembra essere quella di trovare approcci diversi e brillanti nel trattare gli zombie. It Stains the Sands Red ci riesce con due personaggi legati, anche letteralmente, da un mix di humor e redenzione davvero irresistibile. Una donna di facili costumi con un passato da dimenticare e un morto vivente appresso a lei che non le dà scampo: attorno a loro solo un deserto sconfinato. Un’opera originale e sfolgorante che mostra come basti un’idea vincente per portarsi a casa il film.
 
Il film metal dell’anno è un grandissimo esempio di semplicità ed eleganza, che in una durata esigua e in una storia pressoché elementare sfoggia elementi genuini e gestiti alla perfezione. Una storia di fantasmi sepolti, quadri che parlano e assassini inespressivi, ma anche e soprattutto di legami famigliari dove la musica gioca un ruolo per la prima volta fondamentale e non accessorio.
 
7. MAYHEM
La vera sorpresa del 2017 arriva da un regista, Joe Lynch, che è dovuto passare per varie, sgangherate dimostrazioni di bontà cinematografica prima di avere la vera occasione per spaccare il culo a tutti. Mayhem sfoggia un lusso di ironia esagerata e personaggi strabordanti grazie a un semplice cavillo narrativo che inchioda dal primo all’ultimo minuto. Cosa succederebbe se nel grattacielo dove ha sede un’importante società d’avvocati si spargesse un virus che solletica i peggiori istinti primordiali? The Belko Experiment, che ha un incipit diverso ma il medesimo svolgimento, offre una risposta blanda e solo parzialmente soddisfacente, Mayhem invece lo batte con una goleada di personaggi che si svuotano da ogni perbenismo e remora affettiva, diventando tutti mediamente cattivi e violenti in una scalata videoludica verso il vertice a suon di dialoghi che non sbagliano un colpo.
 
Un progetto coraggioso e solidissimo che tratta l’occulto e la magia nera con un rigore che era difficilmente adattabile alla struttura e ai tempi di un film. E invece A Dark Song tramuta un lungo, ipnotico, asfissiante, e convulso rituale di evocazione in un’opera dove vengono esposte debolezze e decisioni per mezzo di una donna che ha perso il figlio ed è disposta a tutto per poter parlare di nuovo con lui. Umiliazione, servilismo, vergogna, sottomissione: il senso di colpa assume molte forme e diventa base di partenza per una furiosa purificazione fisica e spirituale. Un horror infernale con una parte conclusiva di atmosfere rarefatte e incubi sofisticati.
 
5. RAW
Un coming of age dove il prendere coscienza di sé stessi, il primo approccio con l’età adulta e l’affrontare la realtà oltre la sfera famigliare ha il sapore della carne umana, un film che fa della purezza della sua protagonista l’espediente ideale per individuare la molte difficoltà, i dispetti, le invidie e le rivalità che un adolescente deve superare per capire e accettare il suo ruolo nel mondo. Una cannibale nascosta nell’animo innocente di una matricola universitaria è l’anima irruenta e primitiva con cui tutti devono scendere a compromessi, qui però di mezzo ci sono dita amputate, cadaveri sbranati e un difetto genetico famigliare che sarebbe stato meglio sapere prima. Un film che ha molto da dire e che lo fa molto meglio di altri che hanno già affrontato l’argomento (Thelma, per esempio, che ne è una copia esatta con la telecinesi al posto del cannibalismo). Grande prova.
 
Un monolite che affronta il post apocalisse con un carico di pessimismo cosmico, ma anche e soprattutto una storia di sincera, sofferta quotidianità in un mondo che per una virgola non è più il nostro. La storia di una famiglia e dell’impossibile convivenza con altri sopravvissuti in una realtà fragile, incerta, dominata dal terrore per qualsiasi cosa provenga dall’esterno. Grandi personaggi, un Joel Edgerton indimenticabile, e un’angoscia onnipresente che picchia forte nelle reni.
 
Un film che parla di razzismo e diretto da un comico è sicuramente il più strambo biglietto da visita possibile per il nostro genere preferito, ma Get Out è peso massimo della stagione 2017 e una vetta parecchio importante toccata dal cinema più impegnato. Prodotto dalla Blumhouse con i soliti quattro spiccioli, diventa in poco tempo non solo un’ottima fonte di guadagni, ma anche uno schiaffo incredibile al moralismo borghese. La storia è quella di uno stranger in a strange land, dove una famiglia perbene sembra nascondere terrori antichi dietro sguardi sbilenchi e sorrisi sornioni. Difficile aggiungere altro a un film che si scopre secondo dopo secondo, nella sua ironia insistita e nella sua inquietudine che toglie aria. Come sempre bravissimo Daniel Kaluuya: l’educazione con cui risponde alla mole di stranezze che lo circondano è una prova da cinque stelle.
 
Un grumo di grovigli tentacolari e abissi cosmici, un vortice che abbraccia Lovecraft, Barker, Gordon e Yuzna e sazia finalmente quella fame di mostruosità artigianale che l’horror invocava, con questa consistenza, da tanto tempo. Difficile individuare qualcosa in una storia che mette troppa carne al fuoco per essere anche solo minimamente comprensibile, ma alla fine non importa più di tanto perché il gioco funziona con i suoi elementi chiave: bestie enormi che strisciano, mostruosità infernali che si nutrono di carne e realtà aliene da infarto. L’horror nella sua massima espressione visiva, un atto d’amore per il passato e allo stesso tempo un nuovo punto di partenza per il futuro
 
1. THE KILLING OF A SACRED DEER
Dopo l’agghiacciante distopia di The Lobster, Lanthimos ritorna con una tragedia greca travestita da horror purissimo. La vendetta di un ragazzo per il padre deceduto a causa delle disattenzioni di un chirurgo dà il via a due ore di angoscia e disagio, rendendo di fatto il film una lunga e vana lotta contro il compiersi di un destino/castigo divino che in alcun modo può essere evitato. Due attori straordinari come Colin Farrell e Nicole Kidman impreziosiscono un lavoro alieno e geometrico pressoché perfetto da ogni punto di vista, ma il vero fulcro del film è Barry Keoghan, che con la sua gelida parlata gentile e il suo sguardo sofferto resterà per parecchio tempo nei miei incubi.

 

15 commenti:

  1. Devo ancora vedermi "The killing of a sacred deer" e "Mayhem" conto di farlo in questi giorni, per il resto sono molto d'accordo con la tua lista. Cheers!

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  2. Ciao Simone, de-lurko per una volta (cavoli, credo che siano ormai anni che non commento in Rete, anyway sappi che ti seguo sempre) per farti i complimenti per il blog, per le scelte e per il tuo stare (inteso sia in italiano che in inglese) horror.

    Sto compilando anche io la lista 2017 (anche se ho preferito la "modalità Oscar" con segnalazioni ai vari reparti, almeno mi evita un po' di "corsa al migliore" che mi mette sempre a disagio per mia indole e attitudine) e parecchi nomi ricorrono in comune: è un piacere aggiunto anche se non certo indispensabile.

    The Killing of a Sacred Deer dovrebbe essere fatto vedere agli studenti del liceo classico quando cominciano a leggere e pensare ad Agamennone e sua figlia e in generale al concetto di sacrificio nei classici, ed è così "diverso" dalla media (sceneggiatura di titanio, dialoghi al laser, ambienti desertici e desolati, recitazione robotica e spiazzante) che diventa boccata d'ossigeno persino in questi anni di gran forma per l'horror, che non richiedono per nostra fortuna boccate d'ossigeno, ma ben vengano ugualmente.

    Quindi, niente: grazie per quel che scrivi, dacci dentro anche nel 2018!

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    1. Sono addirittura riuscito a evocare Elvezio! Un piacere ritrovarti, qui e su LaTelaNera, felice che anche tu sei sempre horror e in fondo in fondo non puoi fare a meno di scriverne. :)

      Il film di Lanthimos mi ha stregato come pochi altri, è un horror d'avanguardia, innovativo, riuscitissimo, uno splendore raggelante dal primo all'ultimo minuto. Credo che quest'anno sia ben più di una spanna sopra qualsiasi cosa, davvero irraggiungibile.

      Poi, sì, qua si fa il possibile, tra alti e bassi nel mio piccolo insisto sempre :)

      (Oh, poi magari ti scriverò una mail, ma se a marzo passi a Cartoomics ci si becca e ti offro un birrone, dai :) )

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  3. Grande Lanthimos alla 1!
    The Void a questo punto mi incuriosisce...
    Get Out interessante, però considerate tutte le lodi sentite mi aspettavo qualcosa di più di un episodio medio di Black Mirror.
    Invece Thelma mi è piaciuto (quasi) quanto Raw.

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    1. Anche a me Thelma è piaciuto, eh, elegantissimo e maestoso, però la struttura è identica, e a parità di storia e argomenti credo che Raw si prenda una bella distanza dal film norvegese.

      The Void, be', io sono di parte e con tutte queste cose di tentacoli e slime e mostri mi sono subito brillati gli occhi. Di difetti ne ha molti ma credo di poter dire che sia comunque una visione abbastanza incredibile.

      Get Out, sì, in parte è vero, però ci sono quei piccoli accorgimenti e quelle sfumature che lo rendono un film che il cinema aveva bisogno di sfoggiare.

      E Lanthimos, be', cosa dire, un film della madonna. :)

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  4. Il film di Lanthimos è straordinario sotto molti punti di vista, anche se l’idea è parecchio simile al racconto THE BOX di Ketchum da cui hanno tratto un cortometraggio nell’antologia di Netflix “XO XO” di registe donne.
    Ho quasi avuto l’impressione di vedere certe scene sovrapporsi.

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  5. Tre di questi sono anche nella mia lista dei migliori dell'anni, degli altri sette ho visto solo Raw... che contrariamente a TUTTI non mi ha fatto impazzire. Forse potrei provare a riguardarlo, ma prima mi recupero il primo della tua classifica ;)

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  6. Bella lista, come al solito ;)
    Qui la mia:
    http://electrictattoos.tumblr.com/post/169521527444
    L

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  7. Magnifiche le prime due posizioni!
    "The void" nel suo casino finale l'ho adorato. Visivamente potente come pochi.

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  9. Quando riprendi a fare recensioni?Da quando hai smesso non riesco più a trovare un film horror decente. I tuoi suggerimenti erano una garanzia.

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  10. Ciao signore e Signora,
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