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Mostruosa nostalgia: The Rift (La cosa degli abissi) (1990)

By Simone Corà | mercoledì 24 maggio 2017 | 10:00

Un sottomarino finisce in una grotta piena di mostri. Sembra una barzelletta, ma sarà un massacro.                                                                                                          

Uscito in quello spicchio di tempo dove i grandi produttori sembrava impazziti per gli horror acquatici fatti di basi sottomarine e mostri ciclopici, The Rift (da noi La cosa degli abissi, e non capisco l’uso del singolare quando di "cose" ce ne sono moltissime) è indubbiamente il titolo minore di una lista di prodotti eccellenti che abbiamo visto tutti (The Abyss, Leviathan) e altri purtroppo ingiustamente dimenticati (il migliore di tutti, Deepstar Six), ma per quanto non possa permettersi un reale confronto con le botte di effetti speciali finanziate da una passione fantascientifica ancora sana e vincente, sa comunque difendersi benino a colpi di mostri succulenti e sconvolgenti esplosioni gore.

J.P. Simon è il regista dei cult Pieces e Slugs, e non è quindi un mistero che l’autore spagnolo sia in fissa con l’horror più truculento e malsano. È facile così capire perché, non appena i nostri eroi mettono piede nella grotta sotterranea, il film si trasformi da scialbo thriller politico a gustosissima festa di frattaglie. Creature cieche e dalle bocche gigantesche si affacciano dalle pareti di roccia, grossi bestioni strisciano e mordono causando alcune morti esageratamente sanguinarie, fluidi mutageni sciolgono corpi ancora vivi e sorprendenti esseri tentacolari minacciano la truppa di marine sempre più striminzita. Gli effetti speciali artigianali sono splendidi, e si rimane meravigliosamente a bocca aperta in queste sequenze infernali.
Purtroppo The Rift è molto spartano negli ambienti, piuttosto rozzo ed elementare nell’esecuzione, con una storia che per buona parte sembra una qualsiasi sciocchezza da guerra fredda televisiva che in quegli anni funzionavano bene, e J.P. Simon fa sprofondare senza troppo impegno questo sottomarino, nonostante sia pilotato dai volti ben conosciuti come quelli di L. Ree Ermey, Jacka Scalia e Ray Wise, tra vicende noiosette, rivalità militari e furtarelli un po’ sciocchini. 
La storia è quella di un sottomarino sperimentale utilizzato per il recupero di un sottomarino gemello, scomparso nei pressi di una frattura della crosta terrestre, e, be', il resto è giusto un'aggiunta per avere un minimo di minutaggio prima dei mostri grossi. Ma bisogna pure mettere uno stralcio di storia in una baraonda di bestiame, no?


Il fulcro, se non si fosse ancora capito, sono infatti i mostri grossi, e non c’è nulla di male in una cosa fatta con amore e con una sporca esperienza che cosparge il film di una (s)gradevole patina nociva, tanto che quando i deliri lovecraftiani e gli orrori bavosi passano in secondo piano si può entrare in un piacevole stand by mentre una vaga trama prosegue in un’anonimità davvero eccessiva. I personaggi non sono così scemi per una derisione figlia di un “so bad so good”, di certo non spiccano per intelletto o spigliata simpatica, ma si limitano a fare quello che serve per portare il sottomarino da A a B e poter quindi sforacchiare un po’ di mostri. 
Va comunque detto che l’ingenua banalità dell’intreccio ha una sua dignità e rimane ben salda fino alla fine, ma non c’è mai abbastanza mordente per caricare i personaggi e identificarsi con le loro idiozie cospirazioniste, né chiaramente con i grandi valori patriottici che tracimano da sgrugni severi e petti in fuori. Ma tanto chi se ne frega, ci sono i mostri grossi e fanculo tutto il resto. 
The Rift è quindi un film abbastanza strano e che sembra fatto per stare con un piede in due scarpe, con l’intenzione di accontentare un certo pubblico facilone da una parte e stuzzicarne uno più avido di gore dall’altra. Difficile appagare il primo, di sicuro va meglio con il secondo che, in fondo, sa anche accontentarsi, perché, diciamolo, la carneficina di marinai e mostri è potente, feroce, spiazzante e decisa, fatta da uno che ci crede così pienamente da non avere interesse in nient’altro. Ma chissà in che cosa poteva trasformarsi questo piccolo horror sottomarino se solo fosse stato confezionato con più cura. Vale la pena recuperarlo, a me ha comunque fatto piacere rivederlo dopo tanto tempo e credo che anche a qualche altro goremaniac possa fare lo stesso effetto. 

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