A caccia di topi giganti nel sotterraneo di
un’enorme fabbrica. Da un racconto di Stephen King.
Mentre veniamo stritolati tra il trailer superbo
di un IT e quello flaccido di una Torre nera, potrebbe essere buona cosa
ingannare quest’attesa kinghiana con un film da noi poco conosciuto del 1990, tratto
da uno dei racconti più genuini del Re. Graveyard Shift (che significa letteralmente “turno di notte”, traduzione del tutto
ignorata, come è usanza ben nota, dalla titolazione italiana, che inganna che
uno sciocco La creatura del cimitero)
è tratto da quella rapida storiella contenuta in Scheletri ("Secondo turno di notte"), dove un gruppo di operai veniva sconvolto da
un’invasione di topi nello scantinato di un’enorme fabbrica. Un racconto semplice,
pulito, con una grande suggestiona ripugnante stimolata dall’orrore scoperto nel
piano inferiore.
Il film è una versione abbastanza fedele
all’originale, con una sceneggiatura che cattura eroi e antagonisti, antipatie
e fatiche, e li scaraventa in un mastodontico fabbricato che da solo si eleva a
vero personaggio principale. Tra i suoi macchinari sporchi e le mura di mattoni
opprimenti colano sudore per il lavoro e disgusto per l’infestante presenza dei
topi, e lo squadrone di manovali sottomessi da un imprenditore tiranno ben
visualizza empatia e rivalsa proletaria da guadagnare a suon di estintori e
teste mozzate.
Anche se la natura roditrice della mostruosità
che vive nel sottosuolo viene trasformata in uno smisurato ratto pipistrello
mutante, abbandonando il taglio lovecraftiano dei toponi giganti, il film ne
guadagna meravigliosamente in potenza visiva. L’ottima meccatronica, il sangue
abbondante e l’intelligenza della creatura (agevolati da un budget sostanzioso) creano un avversario importante,
furbo, massiccio e difficile da uccidere, che si palesa solo negli ultimi
furiosi minuti dopo un intero film di ammiccamenti tentacolari e zanne
sospette. Il lungo scontro finale, collocato in uno sconfinato cimitero d’ossa
e ruderi edilizi, arriva dopo una spossante discesa verso gli abissi dello
stabilimento, un gorgo di paranoia, paura e acque stagnanti sempre ben raffigurato
da un regista, Ralph Singleton (subentrato addirittura a Tom Savini), che non avrà più molta fortuna nel cinema.
Più che buoni i personaggi e le loro
motivazioni, mitologico il despota a capo della fabbrica, davvero inesauribile
in quanto a cattiveria e scorrettezza, e come sempre una garanzia Brad Dourif
nel consueto ruolo da special guest. C’è quindi un bel qualcosa in più rispetto
al mero volatile zannuto di cui parlare, e ciò che spinge una storia, comunque
sempre compatta, è proprio la schiettezza narrativa e una carrellata di
dialoghi sagaci e ironici a cura di John Esposito, che come il regista non
troverà purtroppo mai grandi opportunità.
me lo segno, mi hai fatto venire la curiosità, lo voglio vedere ^_^
RispondiEliminaOttimo! Poi fammi sapere se ti è piaciuto :)
Eliminacontaci ;)
EliminaIl racconto è da sempre uno dei miei preferiti di King, semplicissimo ma davvero, davvero efficace. Qui la storia è un po' diversa ma ne guadagna in mostruosità e ferocia :)
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