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Mostruosa nostalgia: Graveyard Shift (1990)

By Simone Corà | martedì 9 maggio 2017 | 00:01

A caccia di topi giganti nel sotterraneo di un’enorme fabbrica. Da un racconto di Stephen King.                                                                                                                                    

Mentre veniamo stritolati tra il trailer superbo di un IT e quello flaccido di una Torre nera, potrebbe essere buona cosa ingannare quest’attesa kinghiana con un film da noi poco conosciuto del 1990, tratto da uno dei racconti più genuini del Re. Graveyard Shift (che significa letteralmente “turno di notte”, traduzione del tutto ignorata, come è usanza ben nota, dalla titolazione italiana, che inganna che uno sciocco La creatura del cimitero) è tratto da quella rapida storiella contenuta in Scheletri ("Secondo turno di notte"), dove un gruppo di operai veniva sconvolto da un’invasione di topi nello scantinato di un’enorme fabbrica. Un racconto semplice, pulito, con una grande suggestiona ripugnante stimolata dall’orrore scoperto nel piano inferiore. 
Il film è una versione abbastanza fedele all’originale, con una sceneggiatura che cattura eroi e antagonisti, antipatie e fatiche, e li scaraventa in un mastodontico fabbricato che da solo si eleva a vero personaggio principale. Tra i suoi macchinari sporchi e le mura di mattoni opprimenti colano sudore per il lavoro e disgusto per l’infestante presenza dei topi, e lo squadrone di manovali sottomessi da un imprenditore tiranno ben visualizza empatia e rivalsa proletaria da guadagnare a suon di estintori e teste mozzate.

Anche se la natura roditrice della mostruosità che vive nel sottosuolo viene trasformata in uno smisurato ratto pipistrello mutante, abbandonando il taglio lovecraftiano dei toponi giganti, il film ne guadagna meravigliosamente in potenza visiva. L’ottima meccatronica, il sangue abbondante e l’intelligenza della creatura (agevolati da un budget sostanzioso) creano un avversario importante, furbo, massiccio e difficile da uccidere, che si palesa solo negli ultimi furiosi minuti dopo un intero film di ammiccamenti tentacolari e zanne sospette. Il lungo scontro finale, collocato in uno sconfinato cimitero d’ossa e ruderi edilizi, arriva dopo una spossante discesa verso gli abissi dello stabilimento, un gorgo di paranoia, paura e acque stagnanti sempre ben raffigurato da un regista, Ralph Singleton (subentrato addirittura a Tom Savini), che non avrà più molta fortuna nel cinema. 
Più che buoni i personaggi e le loro motivazioni, mitologico il despota a capo della fabbrica, davvero inesauribile in quanto a cattiveria e scorrettezza, e come sempre una garanzia Brad Dourif nel consueto ruolo da special guest. C’è quindi un bel qualcosa in più rispetto al mero volatile zannuto di cui parlare, e ciò che spinge una storia, comunque sempre compatta, è proprio la schiettezza narrativa e una carrellata di dialoghi sagaci e ironici a cura di John Esposito, che come il regista non troverà purtroppo mai grandi opportunità.

4 commenti:

  1. me lo segno, mi hai fatto venire la curiosità, lo voglio vedere ^_^

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  2. Il racconto è da sempre uno dei miei preferiti di King, semplicissimo ma davvero, davvero efficace. Qui la storia è un po' diversa ma ne guadagna in mostruosità e ferocia :)

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